Il Cardinal Vegliò a Lampedusa invoca ospitalità e condivisione

“Dov’è il tuo fratello?”: risuona ancora quella domanda, in questa isola, Lampedusa, in mezzo al Mediterraneo. Primo approdo per tanti migranti che fuggono dall’Africa e dal Medio Oriente, ma anche prima testimone di tante vite spezzate dal mare. Papa Francesco era venuto a Lampedusa l’8 luglio scorso, una delle sue prime uscite, spinto dai fatti di cronaca che raccontavano di naufragi e morti.
Ieri ha mandato un messaggio a questa chiesa: “Mi reco ancora una volta spiritualmenteal largo del mare Mediterraneo per piangere con quanti sono nel dolore e per gettare i fiori dellapreghiera di suffragio per le donne, gli uomini e i bambini che sono vittime di un dramma chesembra senza fine”. E ha invocato “ospitalità e condivisione” ma anche “che le istituzioni europee, siano piùcoraggiose e generose nel soccorso ai profughi”.Oggi è il cardinale Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti,a celebrare la Messa nella parrocchia di San Gerlando. “Dov’è tuo fratello?” Un anno dopo, questo interrogativo “ci mette di fronte alla realtà dei fatti, chiedendoci se in questi mesi è cambiato qualcosa o se ancora permane la ‘globalizzazione dell’indifferenza’, denunciata dal Santo Padre”.
Il cardinale rende omaggio a “tanti piccoli passi, tante mani tese, tante braccia che si sono aperte”. Agli abitanti di Lampedusa, “che sono stati capaci di gesti di generosità, soprattutto nel guardare i migranti negli occhi e nel dire a ciascuno di loro: ‘Tu sei mio fratello’.E con voi, si deve riconoscere la generosità dell’Italia” che “di fatto, prima di preoccuparsi di difendere le sue frontiere, è stata attenta ai drammi dell’immigrazione. Ma la solidarietà impegna tutta la Comunità dell’Unione e si allarga fino ad interpellare la Comunità internazionale, talvolta anche suscitando in tutti sentimenti di vergogna di fronte ai cadaveri di tante persone che hanno trovato la morte nelle difficili traversate”. Vegliò non lascia cadere l’argomento: “correttamente gestita, nella regolarità e nella sicurezza, essa (l’emigrazione, ndr) non è una minaccia, ma può essere un’opportunità per l’Europa, che oggi appare stanca e invecchiata.Prego il Signore che le istituzioni dell’Unione Europea e l’intera Comunità internazionale si lascino convincere ad agire con maggiore coordinamento e con autentico spirito di collaborazione, per la creazione di un mondo più giusto, più solidale, più umano”.
La presenza e l’arrivo di tante persone “è un grave problema che in un modo o in un altro dovremo cercare di risolvere” ammette il porporato. Tuttavia, “è umano e cristiano avere verso tutti comprensione, tolleranza e solidarietà. Con quale coraggio possiamo respingere, ributtare in mare o rimandare al Paese d’origine chi scappa sotto minaccia della sua stessa esistenza?” Da questa domanda sorge anche “l’importante questione della giusta distribuzione della ricchezza mondiale”. Poi la condivisione di un suo ricordo degli anni in cui era nunzio in Senegal: “ero sempre impressionato e commosso quando visitavo la ‘Casa degli Schiavi’, nell’isola di Goreé, da dove sono partiti tantissimi, forse milioni di giovani africani, portati come schiavi nelle Americhe. In passato come nel presente, l’Africa viene depauperata non solo delle sue risorse, ma anche delle sue forze giovanili”. Vegliò ha concluso l’omelia con una preghiera a Dio, chiedendo “che la tua tenerezza si espanda da mare a mare. Dacci un cuore come il tuo, capace di guardare al fratello e accoglierlo con braccia aperte,sentendoci responsabili gli uni degli altri.Fa di noi collaboratori nella costruzione del tuo Regno,perché tutti abbiamo la vita e l’abbiamo in abbondanza”.