Italia: tengono i matrimoni religiosi
L’Istat ha pubblicato nei giorni scorsi il report della situazione matrimoniale in Italia nel 2012, in cui le separazioni sono state 88.288 e i divorzi 51.319, entrambi in calo rispetto all’anno precedente (rispettivamente -0,6% e -4,6%). Anche i tassi di separazione e di divorzio, in continua crescita dal 1995, hanno una battuta d’arresto nel 2012. Per ogni 1.000 matrimoni si contano 311 separazioni e 174 divorzi. La durata media del matrimonio al momento dell’iscrizione a ruolo del procedimento risulta pari a 16 anni per le separazioni e a 19 anni per i divorzi.
Per un’analisi più dettagliata della geografia e delle principali caratteristiche dell’instabilità coniugale l’Istat fa riferimento alle separazioni legali, le quali rappresentano in Italia l’evento più esplicativo del fenomeno dello scioglimento delle unioni coniugali6 considerando che non tutte le separazioni legali si convertono successivamente in divorzi. A titolo di esempio si consideri che su 100 separazioni pronunciate in Italia nel 1998, poco più di 60 sono giunte al divorzio nel decennio successivo.
Il fenomeno dell’instabilità coniugale presenta ancora oggi una distribuzione non omogenea sul territorio. A livello di ripartizioni nel 2012 si va da un minimo di 245,8 separazioni per 1.000 matrimoni al Sud, ad un massimo di 371,9 nel Nord-ovest). Nel 1995 solo in Valle d’Aosta si registravano più di 300 separazioni per 1.000 matrimoni, mentre nel 2012 si collocano al di sopra di questa soglia quasi tutte le regioni del Centro-Nord (con l’eccezione del Veneto, del Trentino-Alto Adige e delle Marche).
Gli incrementi più consistenti, però, si sono osservati nel Mezzogiorno, dove i valori sono più che raddoppiati (ad esempio, si è passati da 70,1 a 270,5 separazioni per 1.000 matrimoni in Campania e da 95,3 a 318,1 in Sardegna). Le regioni del Nord e del Centro hanno fatto registrare, tra nello stesso periodo, un incremento più contenuto. L’unica eccezione è rappresentata dall’Umbria, dove il valore del tasso è cresciuto di quasi tre volte. Per una corretta interpretazione di questi dati si deve considerare che le separazioni registrate in un anno di calendario corrispondono a diverse durate di matrimonio e sono il risultato del comportamento di coppie che si sono sposate in anni diversi (coorti di matrimoni).
Dopo il fatidico settimo anno di matrimonio sono sopravvissute 955 nozze su 1.000 celebrate nel 1985, 926 su 1.000 del 1995 e 917 su 1.000 del 2005; in altri termini le unioni interrotte da una separazione sono quasi raddoppiate, passando dal 4,5% della coorte di matrimonio del 1985 al 9,3% osservato per la coorte del 2005. Però questi valori osservati sul totale dei matrimoni celebrati nei singoli anni variano molto a seconda del rito di celebrazione del matrimonio. Mettendo a confronto i matrimoni del 1995 con quelli del 2005 si osserva come la propensione a separarsi nei matrimoni celebrati con il rito religioso sia molto inferiore e molto più stabile nel tempo rispetto a quella nelle nozze civili.
Dopo sette anni i matrimoni religiosi sopravviventi sono praticamente gli stessi per le due coorti di matrimonio considerate (rispettivamente 933 e 935 su 1.000). I matrimoni civili sopravviventi scendono a 897 per la coorte del 1995 e a 880 per quella del 2005. Nel 2012 all’atto della separazione i mariti hanno mediamente 47 anni e le mogli 44. Analizzando la distribuzione per età si nota come la classe più numerosa sia quella tra i 40 e i 44 anni per le mogli (19.036 separazioni, il 21,6% del totale) mentre per i mariti la 45-49 (18.461 pari al 20,9%).
Questo innalzamento dell’età alla separazione è il risultato della sempre maggiore propensione allo scioglimento delle unioni di lunga durata, ma soprattutto di un processo di invecchiamento complessivo della popolazione dei coniugati, dovuto alla posticipazione del matrimonio. La drastica diminuzione delle separazioni sotto i 30 anni (sia per gli uomini che per le donne), ad esempio, è la naturale conseguenza della riduzione dei matrimoni nella stessa fascia di età: poco più di un matrimonio su quattro vede attualmente entrambi gli sposi sotto i 30 anni.
Più precisamente si tratta del 21,5% di tutti i matrimoni celebrati nel 2012, quota che sale al 25,2% se si fa riferimento solo ai primi matrimoni. Parallelamente, sono andate aumentando, sia in valori assoluti sia percentuali, le separazioni delle classi di età più elevate, con almeno uno sposo ultrasessantenne. Le separazioni che riguardano uomini ultrasessantenni sono passate da 4.247 del 2000 a 11.265 del 2012 (dal 5,9% al 12,8% del totale delle separazioni). Per le donne over60, nello stesso periodo, si va dalle 2.555 del 2000 (pari al 3,6%) alle 7.569 del 2012 (8,6%).
Tra i separati del 2012, il 39,0% dei mariti ha, come titolo di studio più elevato, il diploma di scuola media inferiore, il 41,0% quello di scuola media superiore; fra le mogli il 44,3% ha un titolo di scuola media superiore e il 33,9% uno di scuola media inferiore. Il 16,0% delle mogli possiede un titolo universitario, contro il 13,5% dei mariti. Tale distribuzione è il risultato, in parte, del progressivo aumento del livello di istruzione della popolazione generale e, quindi, anche di quella dei coniugati. Nel 2012 65.064 separazioni (il 73,3% del totale) e 33.975 divorzi (il 66,2% del totale) hanno riguardato coppie con figli.
I figli coinvolti sono stati 112.253 nelle separazioni e 53.553 nei divorzi. Poco meno della metà (48,7%) delle separazioni e un terzo (33,1%) dei divorzi riguardano matrimoni con almeno un figlio minore di 18 anni. Il numero di figli minori che sono stati affidati nel 2012 è stato pari a 65.064 nelle separazioni e a 22.653 nei divorzi. Nelle separazioni, il 54,5% dei figli affidati ha meno di 11 anni. In caso di divorzio i figli sono generalmente più grandi: la quota di quelli al di sotto degli 11 anni scende al 32,1% del totale.
Per quanto riguarda il tipo di affidamento, sia nelle separazioni che nei divorzi, negli ultimi anni si è verificata una netta inversione di tendenza. Infatti, con l’entrata in vigore della Legge 54/2006, è stato introdotto, come modalità ordinaria, l’istituto dell’affido condiviso dei figli minori tra i due coniugi.
Secondo la nuova legge entrambi i genitori ex-coniugi conservano la potestà genitoriale (che prima spettava esclusivamente al genitore affidatario) e devono provvedere al sostentamento economico dei figli in misura proporzionale al reddito. Nel 2012 le separazioni con figli in affido condiviso sono state l’89,9% contro l’8,8% di quelle con figli affidati esclusivamente alla madre. La quota di affidamenti concessi al padre continua a rimanere su livelli molto bassi.
Infine, l’affidamento dei minori a terzi è una categoria residuale che interessa meno dell’1% dei bambini. Il ricorso all’affidamento condiviso è legato anche alla scelta del rito con cui si concludono la separazione o il divorzio. Infatti, questa tipologia di affidamento viene prescelta nel 90,8% delle separazioni consensuali contro l’85,1% di quelle giudiziali e nel 77,7% dei divorzi consensuali rispetto a un 66,2% di quelli chiusi con il rito giudiziale.