In simplicitate cordis
Perché ho voluto dare questo titolo alla mia nuova composizione: In simplicitate cordis, Ordinario della Messa per Assemblea, Coro a 4 voci dispari e organo, dedicata al Papa san Giovanni XXIII?
Certi linguaggi popolari confondono la semplicità evangelica con la semplicioneria ingenua, sprovveduta e grossolana degli sciocchi. Semplicità cristiana non è puro atteggiamento psicologico ma luce in splendore di verità e bellezza, purezza di cuore e di sguardo, umiltà di spirito e di vita. La semplicità è una delle qualità di Gesù il quale “svuotò se stesso” e, rinunciando alle prerogative divine, s’incarnò per diventare carne della nostra umana natura (cf Fil 2, 5-11). Come Cristo, anche il cristiano, vivendo la sua vita di fede in simplicitate cordis, è pienamente configurato al suo unico Signore e Maestro.
Nel discorso della montagna, Gesù istruisce i suoi discepoli e dice loro di avere l’occhio semplice, come riflesso e luminosità di cuore: La lucerna del corpo è l’occhio, se dunque il tuo occhio è chiaro, tutto il corpo sarà nella luce (Mt 6,22). Il Maestro poi li esorta a essere semplici come le colombe e furbi come i serpenti (Mt 10,16). Una semplicità che è candore interiore, purezza di cuore, vivacità di spirito e incapacità di pensare e operare il male. In effetti, la furbizia, armonizzata con la semplicità, è intuizione e preveggenza, prudenza e decisione. La sola furbizia senza la semplicità è sottoprodotto dell’intelligenza, la usa soltanto il losco, il falso, il tenebroso, il contorto. La semplicità che vuole Gesù, si oppone a complicazione, a doppiezza, a violenza, a volgarità, all’avidità di avere e di potere, al successo senza scrupoli, a manipolazioni disoneste.
E’ illuminante la parabola, più che del fattore “infedele”, come spesso è qualificata, del fattore “furbo”, un impiegato di alto livello che, non amministrando bene, perde la fiducia del suo padrone (cf Lc 16, 1-13). A Gesù, in effetti, non interessa l’infedeltà del fattore, evidentemente riprovevole, ma la risolutezza con cui mette al sicuro il proprio futuro. Gesù desidera solo che i figli della luce usino bene la furbizia pronta, decisa e radicale per operare il bene.
San Paolo, scrivendo ai romani, li esorta a essere semplici “di fronte al male”, cioè a vivere nella semplicità sia quando si riceve il male, che mai dev’essere ricambiato a nessuna condizione, sia nel non operare il male, presentandosi al mondo nella totale innocenza e trasparenza: Vi raccomando, fratelli, di guardarvi da coloro che provocano divisioni e ostacoli contro l’insegnamento che avete appreso: tenetevi lontani da loro. Costoro, infatti, non servono Cristo nostro Signore, ma il proprio ventre e, con belle parole e discorsi affascinanti, ingannano il cuore dei semplici. La fama della vostra obbedienza è giunta a tutti: mentre dunque mi rallegro di voi, voglio che siate saggi nel bene e immuni dal male (Rm 16,17-19). Anche nella lettera ai Filippesi, l’apostolo insegna che la semplicità è la qualità propria dei figli di Dio che vivono in rapporto d’amore col Padre, ed esorta: Siate irreprensibili e semplici, figli di Dio immacolati in mezzo a una generazione perversa e degenere, nella quale dovete risplendere come astri nel mondo, tenendo alta la parola di vita (Fil 2,15).
Gli Atti degli Apostoli ci descrivono che la Chiesa, uscita dal vortice della Pentecoste, viveva in concordia nella letizia e in semplicità di cuore (cf Atti 2,46). Solo così, la comunità si armonizzava per vivere in comunione realizzando l’unità nella verità. La semplicità è pienezza di carità, splendore di verità, amore di comunione, disinteresse nel donare, accortezza nel respingere il male e furbizia nell’operare il bene. Soltanto il sapiente possiede questa virtù evangelica. Lo sciocco, invece, è doppio, egoista, invidioso, ambiguo, malizioso e malevolo. La semplicità è assenza di complessità o di complicazioni, è sintesi armoniosa e feconda di perfezione. Dio è semplicità assoluta perché è sintesi di tutte le perfezioni.
Il semplice è beato perché possiede il tesoro più prezioso e amato: la sapienza divina. Semplicità e sapienza sono doni squisiti dello Spirito. Scaturiscono dalla verità e la costruiscono. Il semplice è l’asceta che tende a raggiungere l’essenziale delle cose e ne diffonde la luce e la fragranza. Il semplice, con la sua intelligenza intuitiva e chiara, opera in profondità più che in apparenza. Sulla via della semplicità, che è la qualità dei miti delle Beatitudini, il credente progredisce e porta frutti di bene e di bellezza, perché si mette sulla via della Provvidenza e dell’abbandono in Dio.
La ricerca della verità nella semplicità non è facile. Essa, infatti, proprio perché cerca e desidera soltanto la verità, non può che seguire l’itinerario della Croce. La semplicità è insieme, scienza e sapienza della croce. Essa conduce sempre al martirio, non, però, a un martirio di fallimento e di disonore, ma al martirio di vittoria e di gloria.
Dinanzi alle mille tensioni e alle innumerevoli questioni che ci investono drammaticamente giorno dopo giorno, si esigono risposte chiare che fanno emergere la verità all’interno della sapiente semplicità. Il vero credente, che vive nella semplicità evangelica, sa attendere con lo spirito di pazienza e con il cuore ricolmo d’amore. Solo allora le angosce, generate dalle torbide tortuosità diaboliche, si risolveranno in mistica profezia di semplicità evangelica come risposta luminosa offerta all’uomo spirituale che vive il suo impegno nella verità della carità, nella libertà di spirito e nell’umiltà di cuore.
Papa Giovanni è santo. E’ santo perché, in simplicitate cordis, fu vero Profeta del suo tempo.
Profeta di mistero e di comunione, seppe rendere visibile il Mistero attraverso la comunione della Chiesa a lui affidata.
Profeta di unità e di concordia, offrì la sua vita per realizzare l’ut unum sint nella Chiesa di Cristo che è Madre di misericordia, di perdono e di speranza; che è comunità dove c’è spazio per tutti, dove ognuno deve sentirsi chiamato per nome, dove tutti sono corresponsabili per il progetto di liberazione e di risurrezione.
Profeta in povertà di spirito al servizio dell’amore, appariva come trasparenza di Cristo povero e servo.
Profeta ricolmo di Spirito Santo, fu testimone dell’incontro con il Cristo Risorto. Uomo di speranza contro ogni speranza fu capace di offrire all’uomo risposte totali e definitive.
Profeta della perenne Pentecoste, gridò all’umanità che esiste una violenza più forte dell’odio, della guerra, del terrore: la violenza dell’amore. Annunziò che c’è una felicità più vera, più autentica del possesso, del potere, di ogni forma di droga: ritrovare se stessi come dono che Dio vuole fare a tutta quanta l’umanità.
Papa Giovanni è santo perché, nella semplicità di cuore, assecondando il soffio dello Spirito, offrì alla Chiesa il dono profetico del Concilio Ecumenico Vaticano II. Il Concilio faceva parte di questo Soffio: anzi, era questo Soffio!
A custodire il ricordo di quegli anni straordinari siamo ancora in molti. Lo ricordiamo come evento profetico che si è impresso nella memoria e, più ancora, nella coscienza di tutta la Chiesa. Lo ricordiamo non come visione di scene ecclesiali esterne e coreografiche ma come opera straordinaria dello Spirito Santo. Per usare un’espressione cara allo stesso Giovanni XXIII e a Paolo VI, si trattò di una “nuova Pentecoste”.
Ed è proprio in riferimento all’azione dello Spirito Santo che papa Francesco è tornato a parlare con forza del Concilio Vaticano II e dell’urgenza di farne tesoro per la vita della Chiesa. “Oggi – ha detto il Papa in una sua omelia a Santa Marta – sembra che siamo tutti contenti per la presenza dello Spirito santo, ma non è vero. Questa tentazione ancora è di oggi. Un solo esempio: pensiamo al Concilio. Il Concilio è stato un’opera bella dello Spirito Santo. Pensate a papa Giovanni: sembrava un parroco buono e lui è stato obbediente allo Spirito Santo e ha fatto quello. Ma dopo 50 anni abbiamo fatto tutto quello che ci ha detto lo Spirito Santo nel Concilio?”.
Questo interrogativo interpella fortemente la coscienza di tutti i credenti convinti di essere Chiesa, Corpo-Sposa di Cristo. Il Concilio fu squisito gesto d’amore dello Spirito Santo, di Papa Giovanni XXIII e dei Padri conciliari. La recezione senza amore respinge ogni novità frutto di profezia. La storia insegna che la vera profezia è sofferta testimonianza, ma la testimonianza comporta sempre il martirio.