La Cina non ricorda piazza Tiananmen e reprime la Chiesa

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Il 4 giugno si è ricordato (poco!) il 25^ anniversario della repressione di piazza Tiananmen e le autorità cinesi hanno preso di mira 30 attivisti con l’obiettivo d’impedire qualsiasi commemorazione delle vittime del 4 giugno 1989.

L’elenco comprende Luo Xi, attivista studentesco nel 1989, posto agli arresti e Bao Tong, 81 anni, già collaboratore dell’ex leader Zhao Zyiang, che si oppose al giro di vite del 1989. Bao è stato costretto a lasciare Pechino. Le persone poste in stato di detenzione in relazione all’anniversario di Tiananmen sono almeno 66. Di queste, 18 (tra cui i noti avvocati per i diritti umani Chang Boyang e Pu Zhiqiang ) sono state incriminate e trasferite in carcere e 20 (tra cui Ding Zilin la celebre portavoce delle Madri di Tiananmen) sono state messe agli arresti domiciliari.

Altre ancora sono in attesa di una incriminazione formale o risultano scomparse. Dieci attivisti sono stati trasferiti fuori Pechino, accompagnati da agenti della sicurezza nazionale. Per l’occasione William Nee, ricercatore di Amnesty International sulla Cina, ha dichiarato: “Negli ultimi giorni, le autorità cinesi hanno intensificato la repressione, mostrando di non volersi fermare di fronte a nulla per impedire ogni commemorazione di Tiananmen. La repressione è stata più dura persino di quella del 20^ anniversario.

Le autorità devono cessare questa campagna gravemente persecutoria e rilasciare tutte le persone detenute per aver cercato di esprimere pacificamente la loro opinione su Tiananmen. Questa morsa soffocante sulla libertà d’espressione non impedirà alle persone, in Cina come in ogni altra parte del mondo, di ricordare le vittime del 4 giugno 1989″. Inoltre nei giorni precedenti l’anniversario Salil Shetty, segretario generale di Amnesty International, che si trovava nei giorni scorsi a Hong Kong per commemorare le vittime della repressione ha affermato che la massiccia persecuzione degli attivisti rivela le bugie che si nascondono dietro la maggiore apertura e le riforme proclamate dal presidente Xi Jinping:

“Il 25^ anniversario di Tiananmen doveva essere un test fondamentale per mettere alla prova le promesse di maggiore apertura. Ma il presidente Xi ha preferito la repressione alle riforme. La reazione delle autorità cinesi, quest’anno, è stata ancora più dura che in passato. L’obiettivo è sempre lo stesso: cancellare dalla memoria gli eventi del giugno 1989. Invece di continuare a giocare alla politica con i fatti storici, la leadership cinese dovrebbe fornire giustizia alle vittime.

Queste famiglie devastate dal dolore meritano una piena e aperta ammissione dei fatti da parte del loro governo. Non è troppo tardi perché Xi cambi direzione. Amnesty International lo sollecita a lanciare un’indagine pubblica e indipendente sulla violenta repressione del 1989”. Infatti da un quarto di secolo i familiari delle vittime di Tiananmen lottano per avere giustizia, pagando un elevato prezzo personale. La maggior parte delle Madri di Tiananmen è ormai anziana e parecchi dei membri originari del gruppo, sia madri che padri, sono deceduti.

Ma questo anno è stato finora segnato da un ampio giro di vite nei confronti dei sostenitori delle riforme, in particolare coloro che fanno parte del Movimento dei nuovi cittadini, le cui richieste di maggiore trasparenza e di fine della corruzione riecheggiano quelle delle proteste del 1989. Numerosi attivisti del movimento sono stati condannati a lunghe pene detentive.

Anche le chiese cattoliche sono sotto un attacco programmato dal governo cinese dalla fine di aprile, secondo quanto riportato dal New York Times, che ha rivelato un documento interno del partito comunista dello Zhejiang: in 9 pagine è stabilito un piano contro ‘i siti di culto eccessivi’. L’unica fede citata nel testo è quella cristiana: “La priorità è rimuovere le croci che si vedono dalle autostrade e dalle superstrade”. Il cristianesimo è visto come un pericolo, perché si fonda su valori universali che spaventano la leadership cinese che adora la ‘stabilità’. Secondo il documento la fede cattolica è una ‘minaccia alla sicurezza nazionale’.

Ed allo stesso modo nel mese scorso il governo cinese ha mandato un segnale di avvertimento le Organizzazioni religiose che operano nel Paese per ‘non forzare’ i bambini in loro custodia a convertirsi o adottare la fede degli amministratori, pena ‘la chiusura e un processo legale’: “I gruppi religiosi che lavorano con i bambini orfani o in gravi condizioni non devono imporre il loro credo ai giovani”.

Una fonte cattolica di AsiaNews ha commentato questa direttiva: “Come tante altre volte, si tratta di disposizioni di buon senso; dipende però da come esse vengono applicate. Infatti siamo tutti d’accordo che gli orfani non possono essere obbligati a seguire la religione di chi gestisce l’orfanotrofio o la casa di cura in cui si trovano. D’altra parte, però, non sarebbe giusto impedire per esempio che in un orfanotrofio gestito da cristiani si insegni ai bimbi a pregare e a fare il segno della croce”.

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