Famiglia: grande proletaria ed imprenditrice

“Questi matrimoni che non vogliono i figli, che vogliono rimanere senza fecondità. Questa cultura del benessere di dieci anni fa ci ha convinto: ‘E’ meglio non avere i figli! E’ meglio! Così tu puoi andare a conoscere il mondo, in vacanza, puoi avere una villa in campagna, tu stai tranquillo’…
Ma è meglio forse, o più comodo, avere un cagnolino, due gatti, e l’amore va ai due gatti e al cagnolino. E’ vero o no questo? Lo avete visto voi? E alla fine questo matrimonio arriva alla vecchiaia in solitudine, con l’amarezza della cattiva solitudine. Non è fecondo, non fa quello che Gesù fa con la sua Chiesa: la fa fecondare”: lo ha affermato papa Francesco nell’omelia della messa a Santa Marta celebrata lunedì 2 giugno.
Ho colto questo pensiero per avviare una mia riflessione sulla famiglia, dopo la bella festa del battesimo di Maddalena, la terza nata in otto anni di matrimonio. Ho fatto due calcoli: chi ha più di due figli è un nuovo ‘proletario’, ma al contempo è un nuovo ‘imprenditore’. Ed è ecco allora la provocazione che mi sono fatto. La povertà, in Italia, non dovrebbe essere il nuovo status per chi desidera ‘mettere su’ famiglia e garantire in questo modo il progresso dello Stato. Uso questo termine in modo appropriato perché oggi costruire in generale, in Italia rispetto alla Francia od ad altri stati europei, è proprio una impresa pioneristica, come agli albori della prima industrializzazione.
Perciò la famiglia è sicuramente una realtà economica, in quanto la sua dinamica generativa produce di per sé benessere per tutta la società. Se la famiglia non adempisse alla funzione per cui è chiamata non esisterebbe progresso sociale ed economico, perché in base a leggi economiche una società che consuma solo senza produrre, è destinata a scomparire. Quindi la famiglia, che ‘produce figli’, come si diceva alla fine dell’Ottocento, è il grande fermento proletario che fornisce la materia prima; ma allo stesso tempo si trasforma in imprenditrice che mette in circolo i ‘beni primari’ per alimentare la speranza nel futuro.
In questo caso le due parole non si elidono a vicenda, ma si completano e permettono lo sviluppo. D’altronde la famiglia in uno stato di diritto ha il principale ruolo sociale, come ha affermato papa Leone XIII nell’enciclica ‘Rerum Novarum’ (n. 10): “Come la convivenza civile così la famiglia, secondo quello che abbiamo detto, è una società retta da potere proprio, che è quello paterno.
Entro i limiti determinati dal fine suo, la famiglia ha dunque, per la scelta e l’uso dei mezzi necessari alla sua conservazione e alla sua legittima indipendenza, diritti almeno eguali a quelli della società civile. Diciamo almeno eguali, perché essendo il consorzio domestico logicamente e storicamente anteriore al civile, anteriori altresì e più naturali ne debbono essere i diritti e i doveri.
Che se l’uomo, se la famiglia, entrando a far parte della società civile, trovassero nello Stato non aiuto, ma offesa, non tutela, ma diminuzione dei propri diritti, la civile convivenza sarebbe piuttosto da fuggire che da desiderare”. Anche la Costituzione Pastorale ‘Gaudium ed Spes’ ha evidenziato le competenze della famiglia, che produce i benefici di una educazione che permette di formare adulti responsabili, capaci di stringere legami, di dare il meglio di sé nella vita personale e professionale, e quelli derivanti dalla creazione di reti molteplici tramite le quali la solidarietà prende forma.
Ed il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, fedele al magistero dei papi, sottolinea l’importanza della famiglia nella società (n. 213): “La famiglia, comunità naturale in cui si esperimenta la socialità umana, contribuisce in modo unico e insostituibile al bene della società… Una società a misura di famiglia è la migliore garanzia contro ogni deriva di tipo individualista o collettivista, perché in essa la persona è sempre al centro dell’attenzione in quanto fine e mai come mezzo… Senza famiglie forti nella comunione e stabili nell’impegno, i popoli si indeboliscono.
Nella famiglia vengono inculcati fin dai primi anni di vita i valori morali, si trasmette il patrimonio spirituale della comunità religiosa e quello culturale della Nazione. In essa si fa l’apprendistato delle responsabilità sociali e della solidarietà”. Su tale linea le conclusioni della Settimana Sociale, svoltasi lo scorso settembre a Torino, hanno ribadito la grande importanza della famiglia nel mantenere un livello economico elevato per la nostra Nazione:
“Per il bene comune della nostra comunità nazionale è dunque necessario e urgentissimo che la pressione fiscale sia abbassata e allo stesso tempo anche riformata in modo da riconoscere lo specifico e costoso contributo che l’istituto familiare fornisce alla collettività già solo perché esercita le proprie specifiche funzioni”.