L’Europa di Aldo Moro è quella dei cittadini

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“Proprio su questo tema (la crisi del Vicino Oriente, ndr.), anche per l’assidua sollecitazione italiana, si è rivolta in passato l’attenzione, quasi che essa sentisse, con crescente consapevolezza, che il suo stesso destino è legato al destino di questa area, e perciò nessuno è chiamato a scegliere tra l’essere in Europa o nel Mediterraneo, poiché l’Europa intera è nel Mediterraneo”.

Sembra un discorso pronunciato pochi giorni fa, eppure è stato pronunciato il 6 dicembre 1973 al Senato dal servo di Dio, Aldo Moro (ministro degli Esteri), di cui il 9 maggio si è commemorato il 36^ anniversario della sua uccisione. Aldo Moro, nello spirito del Codice di Camaldoli, ha creduto sempre nell’Europa unita ed ha mostrato la sua tenacia nella costruzione nonostante americani e russi, per motivi distanti tra loro, volevano un ruolo secondario con il Patto di Yalta.

Con questi intenti Moro partecipò nel 1974 a Washington alla conferenza dei Paesi industrializzati, dove egli, da sempre fautore di un ruolo maggiore della Comunità Europea sul piano internazionale, si disse favorevole a un atteggiamento unitario di quest’ultima verso i Paesi produttori di petrolio (dialogo euroarabo) e sottolineò le diversità tra la Comunità stessa e gli Stati Uniti in materia di approvvigionamenti energetici e l’esigenza di una politica di cooperazione. Sulla scorta della sua concezione delle relazioni internazionali, Moro fu un convinto sostenitore del processo di integrazione europea.

Egli non considerava la CEE un traguardo ma un punto di partenza per l’unità politica, sociale e culturale dell’Europa e per ulteriori allargamenti. Nella Comunità Europea egli vedeva coniugati gli interessi della comunità internazionale e quelli dell’Italia perché l’Europa offriva a quest’ultima “uno spazio e un ambiente adatti per la sua espansione economica e per una significativa partecipazione alla politica internazionale in proporzione delle sue forze, della sua tradizione e cultura, del suo peso economico e sociale”.

A suo avviso, in Italia l’ideale dell’unità europea era sentito non solo a livello politico ma anche a livello di coscienza popolare perché corrispondeva ‘alla vocazione universale e alle più genuine tradizioni del nostro Paese’. Egli immaginava l’Europa ‘non come un’entità autarchica che si contrapponga ad altri gruppi di stati, ma come un’unione aperta alla collaborazione internazionale, una efficace presenza… nella solidarietà e non nell’indifferenza, nel grande dialogo per l’equilibrio e la pace nel mondo’. Nel discorso alla XXVI Sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, il 6 ottobre 1971, lo statista italiano sottolineava il rilievo politico dell’unificazione europea:

“Reputo doveroso aggiungere qualche parola in merito all’unione costituitasi tra diversi popoli dell’Europa Occidentale, che ha trovato la propria espressione istituzionale nella Comunità Economica Europea… E’una Comunità che, pur recando nella sua denominazione l’aggettivo ‘economica’, ha assunto un rilievo politico sempre più evidente. Questa azione unificatrice, sia economica che politica, di gran parte dell’Europa Occidentale è nata da un grande disegno: sostituire con una feconda cooperazione le diffidenze e le rivalità fra i popoli dell’area, fattori che furono all’origine di due guerre mondiali.

La Comunità, che ha rappresentato un processo importante, oserei dire sorprendente, è aperta e resterà aperta a tutti i popoli europei che si ispirano alla stessa concezione della vita politica e che intendano aderirvi… Una simile opera potrà dare ai popoli d’Europa la possibilità di far sentire più efficacemente la propria voce. E’ possibile che l’influenza così ritrovata possa riuscire dannosa a qualcuno?

La risposta è: no. Essa non è diretta, e non sarà diretta, contro alcun popolo, bensì contro la guerra, il peso degli armamenti, la fame e il sottosviluppo, contro l’iniquità, contro tutto ciò che è suscettibile di impedire i contatti liberi e fecondi fra tutti gli uomini”. Quindi il suo progetto europeo, che prevedeva la formazione di una ‘comunità allargata’, attraverso il lavoro dei singoli cittadini e la loro partecipazione nei processi decisionali, avrebbe portato senz’altro ad un’Europa diversa, attraverso quella ‘terza via’ di integrazione delle varie forze politiche in atto.

Purtroppo tale processo di integrazione dei cittadini fu reciso dal barbaro assassinio di lui e della sua scorta da parte delle Brigate Rosse. Nel suo ultimo intervento del 15 febbraio 1978 al Parlamento Italiano, quale relatore di maggioranza, a favore delle prime elezioni dirette del Parlamento Europeo così diceva:

“E’ importante che siamo concordi nel ritenere che l’Europa sia necessariamente il luogo nel quale il dibattito politico dovrà svilupparsi; il luogo nel quale trasferire le nostre opinioni ed i nostri confronti… In Italia, a differenza di altri paesi, siamo tutti, o quasi tutti, solidali sull’opportunità di far progredire l’integrazione europea…

ma vi è in sostanza da noi, pur nella permanente diversità delle nostre posizioni, un sostanziale accordo per essere europei, per ritenere che questo è il nostro destino. Vi è una vocazione europea connaturale al popolo italiano. Credo si debba sottolineare (non so in quale misura, ma certamente in larga misura) che nelle aspirazioni italiane sull’Europa vi è una autentica vocazione federalista”.

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