Il papa riceve il Centro Volontari della Sofferenza

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Sabato 17 maggio papa Francesco riceve in udienza privata i fedeli del Centro Volontari della Sofferenza e dei Silenziosi Operai della Croce, fondate dal beato don Luigi Novarese. L’incontro avviene ad un anno dalla beatificazione del fondatore (11 maggio 2013), nato a Casale Monferrato (Alessandria) nel 1914 e morto a Rocca Priora (Roma) nel 1984, che san Giovanni Paolo II ha definito ‘l’apostolo degli ammalati’.

Anzi, quest’anno ricorre il centenario della nascita e l’udienza con papa Francesco rappresenta una data significativa nella storia delle Associazioni e nella biografia del fondatore: il 17 maggio 1931 i medici dell’ospedale Santa Corona di Pietra Ligure hanno certificato la ‘completa guarigione’ del beato Novarese dalla tubercolosi ossea che lo aveva colpito all’età di 9 anni.

Alcuni anni più tardi, sempre nello stesso giorno, il 17 maggio 1943, egli fonda la Lega Sacerdotale Mariana, associazione che aveva lo scopo di venire in aiuto ai preti feriti, infermi o in gravi condizioni economiche a causa della guerra; e quattro anni dopo, il 17 maggio 1947, inizia il Centro Volontari della Sofferenza, dando l’avvio a un nuovo apostolato fra i malati.

Con questo incontro speciale gli aderenti all’associazione si apprestano a celebrare anche i 100 anni della nascita del loro fondatore, che mise al centro della sua missione il malato coinvolgendo la società alla sensibilità verso i deboli e recuperando ai deboli la dignità e il valore di soggetti attivi.

In un convegno, svoltosi lo scorso 5 aprile a Pescara, don Armando Aufiero, presidente della Confederazione Internazionale CVS, ha sottolineato che il beato Luigi Novarese è stato il pioniere di una nuova visione del soffrire: la sua peculiarità è stata quella di stimolare i disabili, i sofferenti ad essere soggetti attivi nel mondo e nella Chiesa, investendo la loro sofferenza nella dimensione ecclesiale ‘dell’unione al corpo mistico di Cristo, immersi nella realtà salvifica della sua morte e risurrezione’.

Ma quale è stata la sua spiritualità? Innanzitutto, visto i tempi in cui visse, ha messo al centro della sua missione il malato ed il disabile, che fino a poco tempo fa era considerato dalla società come una ‘disgrazia di Dio’: “La dignità della persona è al di sopra di tutto, qualunque sia la sua condizione”. Nel mensile ‘L’Ancora’ del marzo 1951, il beato degli ammalati spiega cosa significa accettare la sofferenza, secondo la volontà di Dio:

“Dinanzi al dolore poi, difficilmente vediamo subito la grande missione sociale che ci viene affidata. Perché racchiusi forse in ospedale, inchiodati magari in un letto, o abbandonati dagli antichi amici, ci consideriamo degli strappati alla vita, degli isolati, oppure, sì, diciamolo pure, ci consideriamo degli infetti, da cui bisogna fuggire, mentre invece Dio in realtà ci pone a perno della vita stessa che noi vediamo trascorrere, dando proprio a noi, che sembriamo i più deboli, la possibilità, (‘se vogliamo’) di regolare il passo della vita stessa. Il nostro ospedale, o sanatorio, o letto, diventerebbe, se noi lo volessimo, la centrale della vera vita, la miniera da cui scaturiscono tanti tesori.

Tutto questo ad una condizione sola, che noi regoliamo il nostro passo su quello di Dio, come Gesù e come la sua e nostra dolcissima divina Madre, Maria Santissima. Il nostro povero ‘Sì’ esce quindi talvolta a stento, anzi, non vorrebbe scaturire dal nostro cuore: è la nostra povera umanità che si ribella. Ed è naturale, fratelli miei ; in croce si sta male, si soffre; quindi come Gesù noi possiamo pregare il Padre celeste: ‘Se è possibile, passi da me questo calice’: però dobbiamo ancora soggiungere con dolce ed amorevole accettazione: ‘non la mia, ma la tua volontà sia fatta’…

Con questa accettazione noi acquistiamo la nostra vera fisionomia e la nostra vera personalità, perché ci riconosciamo figli di Dio, che, uniti a Lui, ci adoperiamo per l’avvento del suo regno tra tutti i fratelli componenti il genere umano… Con un sì, noi possiamo donare un’altra rotta alla nostra vita , l’amaro dolore si cambierà in fecondo bene”.

Ed un mese fa, 3 aprile, papa Francesco ha proclamato venerabile il tolentinate Luigi Rocchi, anche lui ‘Volontario della Sofferenza’, morto a 47 anni di cui 25 anni trascorsi immobile nel letto perché affetto dal morbo di Duchenne, che nelle sue lettere scrive:

“Volontario della sofferenza non è una persona che ‘soffre volontariamente’, ma una persona che ‘offre’ volentieri a Dio la propria sofferenza… per l’esperienza che ho io della sofferenza, esperienza lunga, dato che con questo spietato male sono nato e presto mi ha ridotto alla totale immobilità, con progressione molto dolorosa, posso dire che la sofferenza é una rivelazione: ti porta a vedere al di là delle cose, ti riscopre valori essenziali eterni della vita.

Soprattutto ti fa sentire che sei un nulla, e che chi ti dà realtà è il grande Amore di Dio per te e per ogni creatura. Ho sofferto e soffro molto, ma sempre ho sentito e sento una Presenza che mi dice: Coraggio, Io sono con te!”

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