La Santa Sede al WIPO: “Lo sviluppo bisogna che sia integrale”

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C’è bisogno di uno “sviluppo integrale”, che coinvolga anche il diritto di proprietà intellettuale. E per questo l’obiettivo è “di tradurre in realtà il nostro obiettivo comune: un sistema di proprietà intellettuale accessibile ed efficiente” che porti benessere per tutti. Parola di Silvano Maria Tomasi, osservatore permanete della Santa Sede presso l’Ufficio ONU di Ginevra. Lo scorso 8 maggio, la Santa Sede ha partecipato alla 53esima serie di incontri delle assemblee della World Intellectual Property Organization (WIPO).

Nel suo indirizzo all’assemblea, Tomasi ha marcato ancora una volta l’impegno della Santa Sede per il bene comune. E il bene comune passa anche per una nuova disciplina della proprietà intellettuale. La Santa Sede si era battuta moltissimo alla conferenza di Marrakech, che era sfociata in un trattato per facilitare l’accesso ai libri delle persone con disabilità visive. E la strada deve essere in fondo quella sperimentata in quel trattato.

Per questo Tomasi sottolinea che “la Santa Sede si aspetta che questa organizzazione continuerà ad essere guidata nella direzione giusta e si terrà pronta a cooperare”, perché “in molte aree del globo hanno visto un considerevole sviluppo, e anche se questo era stato raggiunto attraverso differenti strategie ed è segnato da continue sfide, ognuna di queste aree prende posto tra i poteri destinati a giocare un ruolo chiave nel futuro”.

Ma – ammonisce Tomasi – “il progresso di tipo meramente economico e tecnologico è insufficiente. Lo sviluppo ha bisogno di essere integrale”.

Sì – aggiunge il nunzio – la Santa Sede riconosce “il ruolo del sistema di protezione della proprietà intellettuale nel promuovere la produzione letteraria, scientifica e artistica e, generalmente, l’attività inventiva allo scopo del bene comune”. Ma allo stesso tempo “enfatizza le dimensioni etiche e sociali che in un modo unico coinvolgono la persona umana e la sua azione”.

Tomasi ricorda che già Giovanni Paolo II, nel suo indirizzo alla Campagna contro il debito, aveva sottolineato che “i frutti dei progressi scientifici, piuttosto che essere posti al servizio dell’intera comunità umana, sono distribuiti in un modo tale che ingiuste ineguaglianza sono in realtà accresciute o persino rese permanenti”.

La Santa Sede si batte per appianare gli squilibri. Il successo del trattato di Marrakech ne è una prova. Il trattato – dice Tomasi – prova che la sola legge del profitto non dovrebbe porre limiti non dovuti a quanto è essenziale all’educazione o alla lotta contro la fame, il disagio, la povertà”.

L’obiettivo è quello di destinare tutte le risorse, anche quelle intellettuali, al bene comune. “L’immaginazione umana è piena di risorse ed è capace di trovare risposte alle sfide che confrontano la famiglia umana. Tutte le nazioni forniscono unici doni provenienti dalle loro tradizioni economiche, sociali, culturali e spirituali”, dice Tomasi. E allora – afferma il nunzio – “mettere i nostri talenti al servizio del bene comune ci aiuterà nell’affrontare le sfide odierne e future”.

Quali gli obiettivi futuri del WIPO? Tomasi ne delinea tre: il raggiungimento di un accordo su uno strumento legale internazionale che assicuri l’effettiva protezione di risorse genetica, conoscenza delle tradizioni, espressioni culturali tradizionali e folklore; il proseguimento delle negoziazioni sul trattata sulla Protezione delle Organizzazioni di diffusione, tenendo in considerazione i rapidi sviluppi tecnologici; e soprattutto la ratifica ed entrata in vigore del Trattato di Marrakech.

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