La Chiesa per una scuola libera e buona

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Ieri papa Francesco ha incontrato in piazza San Pietro 300.000 persone del mondo della scuola e dell’associazionismo cattolico, dicendo che l’incontro è stato una festa per la scuola: “Amo la scuola perché è sinonimo di apertura alla realtà. Almeno così dovrebbe essere! Ma non sempre riesce ad esserlo, e allora vuol dire che bisogna cambiare un po’ l’impostazione. Andare a scuola significa aprire la mente e il cuore alla realtà, nella ricchezza dei suoi aspetti, delle sue dimensioni. E noi non abbiamo diritto ad aver paura della realtà! La scuola ci insegna a capire la realtà. Andare a scuola significa aprire la mente e il cuore alla realtà, nella ricchezza dei suoi aspetti, delle sue dimensioni.

E questo è bellissimo! Nei primi anni si impara a 360 gradi, poi piano piano si approfondisce un indirizzo e infine ci si specializza. Ma se uno ha imparato a imparare, è questo il segreto, imparare ad imparare!, questo gli rimane per sempre, rimane una persona aperta alla realtà! Questo lo insegnava anche un grande educatore italiano, che era un prete: Don Lorenzo Milani… E poi amo la scuola perché ci educa al vero, al bene e al bello. Vanno insieme tutti e tre. L’educazione non può essere neutra. O è positiva o è negativa; o arricchisce o impoverisce; o fa crescere la persona o la deprime, persino può corromperla”.

E nel libro, edito da La Scuola, ‘La mia scuola’,  curato da Fulvio De Giorgi, il card. Bergoglio si interrogava: “Cosa possiamo fare noi maestri, ieri simboli viventi di un progetto di società libera e in cerca di futuro, oggi con ridotta considerazione sociale e impossibilitati a vivere in modo dignitoso del nostro lavoro? Cosa può fare l’insieme della comunità educativa, lei stessa attraversata da tante situazioni di discontinuità e sradicamento?..

Non consentiamo che la mentalità individualista e competitiva, così radicata nella nostra cultura, finisca per colonizzare anche le nostre scuole. Troviamo la forza di insegnare e addirittura esigere la generosità, la benevolenza, il primato del bene comune. L’uguaglianza e il rispetto di tutti: stranieri (di paesi confinanti), poveri, indigenti.

Combattiamo, nelle nostre scuole, ogni forma di discriminazione e di pregiudizio… O siamo in grado di formare uomini e donne con questa nuova mentalità, o avremo fallito la nostra missione… Se nelle nostre scuole non viene dato vita a un nuovo modo di essere uomini e donne, a un’altra cultura e a un’altra società, stiamo perdendo tempo”.

Quindi la scuola è sempre stata al centro della sfida educativa della Chiesa, come è stato delineato dalla Cei negli orientamenti pastorali ‘Educare alla vita buona del Vangelo’: “La scuola ha il compito di trasmettere il patrimonio culturale elaborato nel passato, aiutare a leggere il presente, far acquisire le competenze per costruire il futuro, concorrere, mediante lo studio e la formazione di una coscienza critica, alla formazione del cittadino e alla crescita del senso del bene comune”.

Perciò l’incontro con il papa è stato un momento per sottolineare la validità della scuola nella formazione di un Paese, come ha ricordato, nei giorni precedenti l’incontro, il cardinal Agostino Vallini, vicario di Roma: “Desidero precisare che non sarà un’esibizione, posso garantirlo, per mostrare alla società italiana che i cattolici sono tanti né tantomeno un’occasione per chiedere fondi per le scuole cattoliche. Assolutamente no, non è quella la sede… Il 10 maggio vogliamo piuttosto manifestare a tutti che la Chiesa non abbandona il campo, anzi vuole rinnovare il proprio impegno educativo a favore di tutti”.

Ma in Italia la malizia non manca e subito c’è chi ha pensato che la Chiesa con questo incontro abbia voluto chiedere un finanziamento ‘statale’, impugnando la Costituzione Italiana. Scansando ogni dubbio, lo stesso vicario ha ricordato che durante la discussione per l’approvazione dell’emendamento all’articolo 30 della Costituzione Italiana,  proposto dal liberale Epicarmo Corbino, che recita ‘Enti privati hanno il diritto di istituire scuole e istituti di educazione senza oneri per lo Stato’, Giuseppe Dossetti aveva precisato:

“Dagli inizi del lavoro in sede di Sottocommissione sul problema della scuola, sempre, fino a questa ultima riunione, noi ci siamo preoccupati fondamentalmente di una cosa e di una cosa soltanto: cioè, di assicurare che quella libertà di insegnamento e quella libertà di scuola, che tutti i settori dell’Assemblea hanno dichiarato di volere riconosciute, venissero garantite dalla Costituzione come libertà non soltanto nominali e apparenti, ma sostanziali e concrete…

Non abbiamo mai inteso con questo risolvere il problema di eventuali aiuti economici da parte dello Stato alla scuola non statale, ma garantire in modo concreto ed effettivo la libertà di questa scuola e la parità dei suoi alunni rispetto a quelli della scuola statale”. Ed un anno più tardi, nel 1947, don Luigi Sturzo scriveva: “Finché la scuola in Italia non sarà libera, neppure gli italiani saranno liberi: essi saranno servi, servi dello Stato, del partito, delle organizzazioni private o pubbliche di ogni specie…

La scuola, vera, libera, gioiosa, piena di entusiasmi giovanili, sviluppata in un ambiente adatto, con insegnanti impegnati nella nobile funzione di educatori, non può germogliare nell’atmosfera pesante creata dal monopolio burocratico statale”. Alcuni anni più tardi, don Lorenzo Milani, citato da papa Francesco, nella famosa ‘Lettera ad una professoressa’, ha sottolineato il valore di una scuola libera di educare:

“La nostra scuola è privata… A poco a poco abbiamo scoperto che questa è una scuola particolare: non c’è né voti, né pagelle, né rischio di bocciare o di ripetere. Con le molte ore e i molti giorni di scuola che facciamo, gli esami ci restano piuttosto facili, per cui possiamo permetterci di passare quasi tutto l’anno senza pensarci. Però non li trascuriamo del tutto perché vogliamo contentare i nostri genitori con quel pezzo di carta che stimano tanto, altrimenti non ci manderebbero più a scuola.

Comunque ci avanza una tale abbondanza di ore che possiamo utilizzarle per approfondire le materie del programma o per studiare di nuove più appassionanti. Questa scuola dunque, senza paure, più profonda e più ricca, dopo pochi giorni ha appassionato ognuno di noi a venirci. Non solo: dopo pochi mesi ognuno di noi si è affezionato anche al sapere in sé. Ma ci restava da fare ancora una scoperta: anche amare il sapere può essere egoismo.

Il priore ci propone un ideale più alto: cercare il sapere solo per usarlo al servizio del prossimo, per es. dedicarci da grandi all’insegnamento, alla politica, al sindacato, all’apostolato o simili… Ma il priore dice che non potremo far nulla per il prossimo, in nessun campo, finché non sapremo comunicare”.

Sono trascorsi molti anni da questi personaggi, che hanno educato gli italiani al rispetto dell’art. 30 della Costituzione italiana, ‘E’ dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli’, ma ancor oggi valido più che mai, come ha sottolineato la Commissione Scuola del Forum delle Famiglie: “Educare non significa solo creare individui dal comportamento corretto ma accogliere, favorirne la vita di relazioni senza mai giudicare.

Oggi nelle nuove generazioni vi sono, a volte, ancora resistenze. L’educazione non è parcellizzabile, deve essere un tutt’uno nella persona umana, che si sviluppa man mano che questa percorre il cammino della vita, si plasma col patto di corresponsabilità educativa fra tutte le agenzie educative; spetta agli adulti il compito e la responsabilità di indicare il valore del vivere civile, del rispetto reciproco, della convivenza nel mutuo soccorso”.

Infine, durante la sua Assemblea nazionale, anche l’Azione Cattolica Italiana ha sottolineato l’importanza della libertà di educazione nelle scuole: “Prendersi cura, corresponsabilità, partecipazione, accoglienza e professionalità sono a nostro avviso i connotati dell’essere buoni insegnanti per questo tempo; sono tratti distintivi del nostro desiderio e impegno a vivere secondo il Vangelo da laici, nel mondo della scuola, la nostra professione;

ci rendono impegnati insieme a chi vuole condividere con noi uno stile, un progetto, un’idea alta e profonda di scuola, avendo a cuore il presente e il futuro di ciascun alunno e dell’intero Paese… Famiglia e scuola devono ridisegnare la propria relazione e il profilo della loro alleanza educativa in grado di andare ben oltre la deriva della reciproca delega e il formalismo di una partecipazione solo strumentale e sopportata:devono insieme superare la deriva intrapresa dell’abbandono della prospettiva educativa, ben più preoccupante del comunque problematico abbandono scolastico”.

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