Aldo Moro e le lettere dalla prigionia. I testi del servo di Dio ucciso dalle Br in una drammaturgia a Roma
Il 9 maggio del 1978, dopo 55 giorni di prigionia, veniva tragicamente ucciso dalle Brigate Rosse Aldo Moro, presidente della Democrazia Cristiana e leader politico tra i più significativi dell’Italia repubblicana.
Tutta l’Italia visse quei 55 giorni, intercorsi dalla data del rapimento – il 16 marzo, dieci giorni prima di Pasqua, giorno in cui furono barbaramente trucidati i cinque uomini della sua scorta – con sentimenti di ansia e trepidazione. Su quel periodo tra i più cupi della nostra storia recente si è detto e scritto moltissimo, dai dibattiti ai processi, dalle commissioni parlamentari d’inchiesta alle ricostruzioni storiche, fino a riempire interi scaffali di biblioteca, e ancora oggi esce qualche rivelazione che sembra essere inedita. Periodicamente filtrarono dal covo del suo rapimento i testi che lo stesso Moro compose nei momenti più bui, chiuso in uno sgabuzzino di tre metri per uno, con la sola compagnia della sua coscienza e della Bibbia. Quelle lettere, trasferite da poco dalla Procura della Repubblica all’Archivio Centrale dello Stato, sono state pubblicate di recente in maniera integrale e offrono uno spaccato politico e istituzionale di quei giorni travagliati. Ma rivelano anche l’itinerario spirituale di un uomo di fede, tormentato da interrogativi profondi sulla fede e sulla libertà, sul male e sulla natura degli uomini, sulla grazia e sulla speranza. A 36 anni da quei giorni, in un’Italia che non ha mai smesso di dimenticare Aldo Moro e quanti con lui – insieme a lui, ma anche prima e dopo di lui: significativamente il 9 maggio è la data scelta per la celebrazione ufficiale del Giorno della Memoria dedicato alle vittime del terrorismo – quei testi e quelle parole vengono riproposti dall’associazione culturale Libre nel reading “Lettere dalla Prigione del Popolo. Gli ultimi giorni di Aldo Moro” che l’autore e regista televisivo Salvatore Tomai ha ricomposto in una drammaturgia che andrà in scena lunedì 12 maggio alle 21 presso la Cripta della Basilica di Cristo Re in via Podgora 3 a Roma, con le voci narranti di Gabriele Tozzi, Cristina Fondi e Alessandra Della Guardia (ingresso 10 euro).
Attraverso a quelle epistole, Salvatore Tomai ricostruisce il drammatico percorso dell’uomo politico e del credente, quasi una via dolorosa verso il Calvario. In totale, si contano 97 lettere, tra quelle recapitate e non. In qualche modo sono state considerate tutte, perché in ognuna di loro c’è qualche piccola sfumatura che permette di indagare meglio l’animo del grande statista. L’Aldo Moro che viene fuori dalla lettura di questi testi è quello un uomo di grande fede, profondamente convinto che la vita umana venga prima della ragion di stato e visibilmente angosciato per il destino dei suoi cari e della sua famiglia. Ma soprattutto emerge un uomo che, nella prigionia, fa la dolorosa esperienza della kenosis, cioè dello svuotamento di se stesso verso la piena conformazione alla Passione di Cristo. “Non si tratta – afferma l’autore della drammaturgia – di un reading di denuncia, in grado di svelare ancora qualche altra novità su uno dei più grandi misteri italiani, ma di una testimonianza che nasce dall’esigenza di indagare lo stato d’animo di un uomo che, abbandonato da tutti, si affida completamente all’abbraccio doloroso e paterno di Dio”.
E proprio la recente apertura del processo di beatificazione, intervenuta il 20 settembre 2012 ad opera del cardinale vicario di Roma Agostino Vallini, grazie alla quale Aldo Moro può essere chiamato «servo di Dio», apre più di un nuovo sguardo in questa direzione.