1^ maggio non per tutti

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Il 24 aprile 2013 in Bangladesh è avvenuto il peggior disastro dell’industria tessile nel mondo: l’edificio commerciale di otto piani denominato Rana Plaza, che ospitava cinque fabbriche di abbigliamento, una banca e un mercato, è crollato nelle prime ore della mattina a Savar, Dhaka, seppellendo 1133 lavoratori, soprattutto donne, sotto le macerie.

Una di loro, Nanznin Akhter Nazma, è sopravvissuta al crollo dell’edificio, raccontando all’ong Action Aid la storia, che ha consentito di avviare un’indagine per individuare i bisogni delle vittime e sviluppare un piano di reintegro e reinserimento che possa rispondere ai bisogni attuali e futuri: “Il giorno prima che la fabbrica crollasse abbiamo saputo che si era aperta una crepa al secondo piano ma i supervisori ci dissero che l’edificio era sicuro e che ci avrebbero trattenuto un mese di paga se non fossimo andati al lavoro…

In due, Jewel ed io guadagnavamo 10000/11000 taka bengalesi (127/140 dollari) al mese: per noi lo stipendio era davvero importante… Volevamo lasciare il lavoro dopo aver ricevuto lo stipendio di maggio. I miei sogni sono rimasti sotto le macerie del Rana Plaza… Ho perso mio padre quando ero bambina e anche mio suocero e mia suocera sono morti. Negli ultimi anni ho dovuto occuparmi di mio fratello di 6 anni e di mia sorella di 16 anni perché anche mia madre è morta”.

Questa storia è soltanto l’iceberg di un mondo del lavoro ‘sommerso’, fatto di sfruttamento, di lavoro minorile ed aumento della disoccupazione, tantoché nel 2013 essa è aumentata di 5.000.000 di persone, raggiungendo la cifra di quasi 202.000.000 persone. Tale aumento è più evidente nelle regioni dell’Asia e orientale e meridionale, che rappresentano oltre il 45% dei nuovi cercatori di lavoro, seguita dall’Africa sub-sahariana e dall’Europa.

Nello scorso anno la disoccupazione ha toccato la cifra di 62.000.000 di posti di lavoro persi con 32.000.000 nuovi disoccupati, 23.000.000 persone licenziate che non riescono più a trovare lavoro; mentre sono 7.000.000 coloro che hanno rinunciato a cercarlo. Sulla base di questa tendenza, la disoccupazione globale è destinata a superare i 215.000.000 di disoccupati nel 2018. Durante questi anni, saranno creati circa 40.000.000 nuovi posti di lavoro ogni anno, che è inferiore ai 42.600.000 di persone in cerca di prima occupazione.

Anche in Europa, purtroppo nel silenzio generale, sta crescendo il ‘lavoro forzato’: secondo uno studio dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) i lavoratori forzati sono 940.000, di cui le vittime di sfruttamento sessuale sarebbero 270.000 (30%) mentre le vittime di sfruttamento per lavoro 670.000 (70%). Le donne costituiscono la maggioranza (58%). La regione con il più alto tasso di lavoro forzato è l’Europa centrale e del Sud-Est, insieme alla Comunità degli Stati Indipendenti. Su 19 Paesi, 13 sono confinanti con paesi UE.

Davanti a tali ‘drammi’ la Chiesa ha una precisa posizione, espressa energicamente dalla Dottrina Sociale della Chiesa; molti papi hanno alzato la loro voce contro la ‘discriminazione’ lavorativa; nell’esortazione apostolica ‘Evangelii Gaudium’ (n. 53) papa Francesco sottolinea: “Così come il comandamento ‘non uccidere’ pone un limite chiaro per assicurare il valore della vita umana, oggi dobbiamo dire ‘no a un’economia dell’esclusione e della iniquità’. Questa economia uccide.

Non è possibile che non faccia notizia il fatto che muoia assiderato un anziano ridotto a vivere per strada, mentre lo sia il ribasso di due punti in borsa. Questo è esclusione. Non si può più tollerare il fatto che si getti il cibo, quando c’è gente che soffre la fame. Questo è iniquità. Oggi tutto entra nel gioco della competitività e della legge del più forte, dove il potente mangia il più debole.

Come conseguenza di questa situazione, grandi masse di popolazione si vedono escluse ed emarginate: senza lavoro, senza prospettive, senza vie di uscita. Si considera l’essere umano in se stesso come un bene di consumo, che si può usare e poi gettare”. Riflettendo su tale paragrafo dell’esortazione la Commissione per i problemi sociali, il lavoro, la giustizia e la pace della Cei, nel messaggio ai lavoratori per questa giornata in cui si festeggia san Giuseppe lavoratore, commentando il brano della ‘pesca miracolosa’ ribadisce:

“Gesù utilizza un metodo acuto, penetrante, coinvolgente. Non indica strade comode, risolutive, né, tanto meno, scorciatoie clientelari o sbrigative. Ma si siede sulla barca e dalla barca insegna alle folle. E’ un vero Maestro. Un autentico educatore. Promuove, non si sostituisce. Punta sulla qualità, sull’innovazione, sulla formazione… Poiché la crisi attuale (ce ne rendiamo conto ogni giorno di più) non è povertà di mezzi ma carenza di fini! Don Lorenzo Milani, sempre più prezioso e ascoltato, ce lo ricorda con il suo diuturno impegno nella scuola di Barbiana. Esigente, esemplare, durissima.

Perché animata da un cuore che ama: I care! E perciò poteva chiedere tanto! Tutto ai suoi ragazzi… (Gesù) li invita con decisione a lanciare le reti: Duc in altum! E richiede a loro, lui falegname, inesperto di lago, di pescare di giorno. Cioè in condizioni precarie. Come per tanti giovani, oggi. In quella precarietà che scoraggia e delude. Duc in altum! Cioè rischiare, investire. Intraprendere. Questo è il verbo che dovrebbe uscire dalle nostre comunità cristiane, dalle nostre parrocchie.

Non tenere i denari alla posta o in banca. Ma investirli, guardare avanti, mettercela tutta, perché quei pochi soldi che oggi abbiamo non restino ammuffiti nella buca sottoterra della paura, ma diventino talenti preziosi, con coraggio e lungimiranza. Per il bene comune. Per il futuro dei nostri giovani”.

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