L’Irlanda scongela i rapporti con la Santa Sede. E invita il Papa a visitare la nazione
Tra le nazioni che si sono prenotate per una visita di Papa Francesco, c’è anche l’Irlanda. E la notizia non è di poco conto. Perché da quando Papa Francesco è salito al soglio di Pietro, l’Irlanda ha passo dopo passo mostrato segni di disgelo nelle relazioni con la Santa Sede. Prima, l’annuncio che l’ambasciata di Irlanda presso la Santa Sede sarebbe stata riaperta, e che dunque il nuovo ambasciatore non sarebbe più stato un ambasciatore non residente. Poi, la presenza del Taoiseach Enda Kenny con una delegazione di alto livello alle canonizzazioni di domenica 27 aprile. E quindi, l’annuncio di Kenny che avrebbe invitato Papa Francesco a visitare l’Irlanda.
Una idea che Kenny ha lanciato durante un incontro con la stampa avvenuto all’Irish College poco dopo la cerimonia di canonizzazione, e che subito il primate di Irlanda, il cardinale Sean Brady, ha supportato con gioia. La Chiesa di Irlanda si sta ricostruendo dopo lo scandalo della pedofilia, chiamata da Benedetto XVI ad un esercizio di autocoscienza, e allo stesso tempo accompagnata in questa via di purificazione interna da una visita apostolica tra i cui membri figura il cardinal Sean O’Malley, arcivescovo di Boston che, dopo il lavoro che ha fatto nella sua diocesi, sta esportando il modello ovunque, anche nella neonata Pontificia Commissione per i Minori che si riunisce per la prima volta dall’1 al 3 maggio.
Di certo, il disgelo portato avanti dal governo irlandese, che in questi anni non è mai stato particolarmente tenero con la Santa Sede, viene da ragioni di opportunismo politico. Kenny ha raccontato ai giornalisti di aver detto al Papa che il suo pontificato ha portato “una straordinaria differenza nella percezione della Chiesa Cattolica”, e che in Irlanda c’è ora “una relazione più chiara e più sana tra la Chiesa e lo Stato”.
È sulla base di questo principio che il governo irlandese ha annunciato la riapertura dell’ambasciata d’Irlanda presso la Santa Sede a Roma, chiusa nel novembre del 2011.
La chiusura era stata giustificata con ragioni prettamente economiche (la necessità di tagliare i costi delle ambasciate) e con il fatto che la Santa Sede non accetta per prassi che l’ambasciatore di un qualunque Stato presso l’Italia svolga anche le mansioni di ambasciatore presso la Santa Sede. Si tratta, per la Santa Sede, di un modo per mantenere ben distinti Santa Sede ed Italia, un principio di sovranità molto forte cui non è stata concessa nessuna deroga. Nemmeno all’Irlanda, che pure era sempre stata presente con la sua ambasciata residenziale a Roma.
Kenny ha ribadito che la decisione di chiudere l’ambasciata “era basata strettamente su ragioni economiche”, e sottolineato di aspettarsi che il Tanaiste (ovvero il ministro degli Esteri irlandese) “porti all’incontro di gabinetto di mercoledì il nome di qualcuno che possa essere nominato ambasciatore presso la Santa Sede”. A chi gli faceva notare che il governo stava lanciando “segnali misti” alla Santa Sede, Kenny ha detto “si tratta di un qualcosa molto chiaro e decisivo”.
Si fa dunque un passo avanti nei rapporti tra i due Stati. Se ufficialmente erano le ragioni economiche ad aver portato alla chiusura dell’ambasciata, di fatto pesava nella crisi diplomatica la dialettica tra governo e Santa Sede riguardo il modo in cui era stato affrontato lo scandalo della pedofilia. Dalla pubblicazione del rapporto Murphy nel Novembre del 2009, i rapporti tra Santa Sede e Irlanda si erano progressivamente deteriorati. Addirittura, poco prima della chiusura dell’ambasciata, il governo irlandese aveva attaccato il segreto della confessione, e lo stesso Enda Kenny aveva detto che la Santa Sede stava rispondendo alla crisi degli abusi sessuali con “il penetrante occhio di un giurista canonico”, e non lo intendeva come un complimento.
Ma ora per Kenny le cose sono cambiate. “La Chiesa ha cominciato ad affrontare diversi problemi dell’eredità, delle cicatrici della crisi degli abusi sessuali” e “il Papa ha reso chiaro che si aspetta che il futuro della Chiesa non si basi unicamente su questi temi, ma piuttosto su povertà e diritti umani, giustizia sociale ed eguaglianza, e ha portato una straordinaria energia in questi temi sin da quando è stato eletto Papa”.
Sarebbe proprio la convenienza diplomatica ad aver portato Kenny a spostare il bilanciamento dei rapporti Irlanda/Santa Sede in favore della Santa Sede. Di fatto, la risposta agli scandali degli abusi da parte di Benedetto XVI era stata esemplare. Addirittura, era stato inviato un non diplomatico come nunzio in Irlanda, l’ex officiale della Congregazione della Dottrina della Fede Charles Brown, che aveva lavorato sulle relazioni con il governo irlandese ma soprattutto impostato giuridicamente il clero irlandese su quel diritto canonico che – aveva sottolineato Benedetto XVI nella lettera ai cattolici d’Irlanda – troppo spesso era stato dimenticato.
La diplomazia della Santa Sede secondo Benedetto, tutta basata sul concetto di verità e tesa a mettere in particolare luce le mancanze degli Stati su temi caldi come il diritto alla libertà religiosa, il diritto alla vita, l’obiezione di coscienza, e il diritto naturale mettevano in difficoltà diplomazie degli Stati che avevano fatto delle contro ideologie del gender e delle libertà personali una bandiera.
Ma ora l’asticella del dibattito si è spostata. A. Alexander Stummvoll, un ricercatore austriaco che ha pubblicato vari lavori sulla dottrina sociale della Chiesa, ha sottolineato come la Chiesa di Francesco si sia posta come “consolatore degli afflitti”, secondo una immagine in cui “concetti come misericordia, giustizia sociale, solidarietà” sono le priorità emergenti”.
Secondo Scott Thomas, professore di relazioni internazionali all’Università inglese di Bath e autorità nel campo degli studi sulla diplomazia delle religioni, “la scelta irlandese sembra essere molto pubblicitaria”.
“Chiaramente, il contesto morale etico e la dimensione di questo mercato etico è importante dopo la crisi finanziaria, e l’Irlanda non vorrebbe trovarsi dal lato sbagliato di questi temi”, ha detto Thomas. E poi ha aggiunto: “La decisione irlandese è anche parte di una politica interna. La nazione ha sì una costituzione scritta dal Labor party, ma ha anche la dimensione più larga di una cultura politica irlandese come quella di una nazione cattolica”.
E dunque, Kenny – cattolico, leader di un partito di centrodestra, ma molto attento agli umori della sua nazione – ha cercato un punto di incontro, e lo ha trovato nell’esortazione apostolica Evangelii Gaudium, la quale – sottolinea Thomas – rende chiaro esattamente in quale contesto morale il capitalismo deve operare, ovvero che l’efficienza dei mercati dipende da una informazione aperta e libera, e la fiducia è la base di una presunta efficienza del mercato. E questo fa parte di una tesi comune di critica al capitalismo che alcuni socialisti condividono con Papa Francesco”.
Sono molte le ragioni che hanno portato il governo Kenny al disgelo dei rapporti con la Santa Sede. Da vedere se il Papa accoglierà l’invito a visitare l’Irlanda. Intanto, presto ci sarà di nuovo un ambasciatore irlandese presso la Santa Sede residente a Roma. Il disgelo è appena cominciato.