Piero Marini ricorda “San” Giovanni Paolo II in un libro intervista

In occasione della canonizzazione di Giovanni Paolo II e Giovanni XXIII tante sono le pubblicazioni che stanno costellando l’evento. Tra queste ce n’è una che raccoglie i ricordi personali di uno dei più stretti collaboratori di Giovanni Paolo II, l’Arcivescovo Piero Marini che per più di diciotto anni gli è stato accanto come Maestro delle Celebrazioni Pontificie.
Il libro intervista nato da questo colloquio si intitola “Giovanni Paolo II. Ricordi su un papa santo”, edito dalla casa editrice Tau ed è stato curato da Luigi Maria Epicoco. Al suo interno sono raccolti diversi e suggestivi ricordi. Ve ne riproponiamo un breve stralcio.
Lungo i ventisette anni di pontificato di Giovanni Paolo II, diverse sono state le persone che gli sono rimaste accanto. La caratteristica principale di queste persone sta nella grande capacità di essere sempre rimaste un passo indietro. Servire Pietro significa servire la paternità che raccoglie in sé tutta la Chiesa sparsa nel mondo. Non c’è spazio per individualismi quando lo scopo è servire il bene di tutti. Il Papa è un bene comune. Nella comunione con lui la Chiesa trova costantemente la sua vera forma, il suo vero essere, la sua sorgente di unità con lo stesso Cristo, unico vero Pastore e Capo della Chiesa. Di questo unico Pastore, Pietro ne è semplicemente il Vicario. Ci sono tuttavia figure che entrano ormai in modo familiare e quasi indissociabile nel contesto umano, spirituale e pastorale di Giovanni Paolo II. Oltre al fedele e instancabile segretario, ora Cardinale, Mons. Stanislao Dziwisz, che già dai tempi in cui Giovanni Paolo II era Arcivescovo di Cracovia gli è stato a fianco, c’è un’altra figura indelebilmente legata all’immagine di Giovanni Paolo II, l’Arcivescovo Piero Marini.
Per oltre diciotto anni, Mons. Piero Marini, è stato il Maestro delle Cerimonie papali, e in particolar modo la figura che era accanto al Santo Padre durante tutte le cerimonie a cui ha preso parte sia in Vaticano che in altre parti del mondo. Gli occhi, il cuore e la memoria di Mons. Marini sono un punto di vista privilegiato su questo paesaggio immenso di santità che è stato ed è Giovanni Paolo II. Raramente ha concesso interviste a tal proposito, e questa nostra conversazione la considero un privilegio per me e un dono a tutti.
La sua figura alta, ieratica, serena, elegante è rimasta intatta nel tempo. Queste pagine non possono registrare gli occhi chiari e profondi dei suoi racconti, ma di certo fanno intuire come la storia sia fatta di due spazi: quello che tutti vedono, e quello che gli altri non possono vedere. Mons. Marini è un uomo che ha avuto la grazia di poter vivere entrambi questi spazi. La santità di Giovanni Paolo II non è solo un fatto mediatico, essa è innanzitutto una santità a tutto tondo. Mi colpì una volta Mons. Dziwisz, segretario particolare di Giovanni Paolo II, quando disse che il Papa era la stessa persona sia quando si trovava davanti a pochi amici che davanti a folle oceaniche di milioni di persone. La testimonianza di Mons. Marini conferma questa descrizione, e ci restituisce la santità di un papa che è stato innanzitutto e profondamente uomo.
Non abbiamo avuto molto tempo per parlarci ma reputo prezioso questo tempo perché segnato da pennellate di ricordi su Giovanni Paolo II, cariche dei colori della gratitudine.
Tantissime domande avrei voluto fare all’Arcivescovo Marini, ma il tempo è tiranno ed è giusto che molto rimanga anche custodito nell’esperienza personale ed intima di ciascuno.
La nostra curiosità non nasce dal bisogno di scoop, ma dall’affetto sincero per un Papa che ha fatto da padre a intere generazioni di uomini e donne, cristiani e non.
Spero che queste pagine siano un atto di devozione a questo nuovo Santo.
E’ la devozione migliore, perché è la devozione di chi fa memoria, la devozione di chi l’ha amato e continua ad amarlo sinceramente.
Eccelenza quando è stata l’ultima volta che ha incontrato Giovanni Paolo II?
Gli ultimi periodi di vita del papa sono periodi un po’ difficili per tutti, dalla sua presenza al Gemelli, dall’ attesa del suo ritorno in Vaticano; i giorni che egli ha trascorso in preparazione alla Pasqua del 2005, quando si è presentato alla finestra del suo studio e ci ha dato l’ultima benedizione. E voleva parlare e non è riuscito a parlare, testimoniando fino in fondo il desiderio di annunciare il Vangelo e di dare la testimonianza della Parola ai suoi. Ecco, queste sono state le ultime apparizioni in pubblico. Come quelle immagini del Venerdì Santo, quando nella sua Cappella, teneva in mano la Croce e seguiva la Via Crucis al Colosseo. Era la Via Crucis che lui stesso aveva presieduto tante volte.
Ricordo però in modo particolare, la visita che gli ho fatto qualche ora prima della sua morte. Ero in contatto con il medico del papa, al quale avevo detto di avvisarmi quando era il momento più opportuno per poterlo salutare un’ultima volta. E così fu. Mi arrivò una sua telefonata e mi disse: “Guardi il Papa è entrato nell’ultima fase della sua vita”. Allora chiamai il segretario e gli chiesi se potevo andare a salutare un’ultima volta il Papa. Era verso mezzogiorno e Mons. Stanislao mi accompagnò da lui nella sua stanza. Era la prima volta che vedevo un letto al centro della stanza e capii subito il motivo. Dietro al letto c’era un medico e un infermiere che davano l’ossigeno al papa, e lo aiutavano a respirare. Aveva questa cannula che gli usciva dalla gola e andava proprio dietro il letto. A ogni respiro veniva aiutato.
Un’altra cosa che mi colpii fu la presenza di una donna. Appena entrato sulla sinistra, c’era la signora Poltawska, quell’amica del papa fin dai tempi della sua gioventù. Molti anni prima era stata colpita da un tumore. Per lei il futuro Papa aveva scritto a Padre Pio per chiedere preghiere e guarigione. Ottenne quella guarigione. E nelle ore dell’agonia di papa Wojtyla, questa donna era lì presente, come il simbolo di un intreccio straordinariamente bello di amicizia e vicinanza che mi commosse molto. Mi rasserenò l’anima vedere che papa Wojtyla, il papa che era stato circondato da tante folle, non moriva solo, perché molte volte i papi muoiono da soli. Pensiamo a Pio XII a Castel Gandolfo, pensiamo a Paolo VI. Mentre, invece altri papi, come papa Giovanni morirono circondati dall’affetto di tutta la cristianità. Gente che in ginocchio, a Piazza San Pietro, pregava per lui.
La stessa sorte felice toccò a Giovanni Paolo II. Tutto il mondo seguiva questi suoi ultimi momenti e Monsignor Stanislao mi accompagnò al letto del morente.
Papa Wojtyla era disteso con le mani fuori dalle lenzuola e aveva la testa chinata. Per vedere doveva alzare la testa. Aveva qualche cuscino dietro le spalle. E Mons. Stanislao gli ha parlato in polacco. Ho capito che gli diceva che c’era il Maestro delle Celebrazioni. Ha alzato gli occhi e mi ha guardato e sono rimasto solo vicino a lui. In un angolo la signora Poltawska, e io vicino a lui. In quel momento ero imbarazzato e commosso, non sapevo che cosa fare. Probabilmente un altro si sarebbe buttato in ginocchio. Io sono rimasto in piedi e gli ho detto: “Padre Santo, preghi per me e preghi per la Chiesa”. E lui ha fatto un cenno con la testa. Poi è rimasto lì ancora qualche momento, e subito dopo egli ha rotto gli indugi alzando la mano destra. Io non avevo capito cosa desiderasse dirmi con quel gesto, se volesse benedirmi o se mi stesse domandando qualcosa. Il Dottor Buzzonetti, che ogni tanto controllava lo stato del papa, ha messo dentro la testa nella stanza e mi ha detto: “Prendigli la mano perché il papa vuole salutarti”. E allora gli ho preso la mano. Il papa mi ha stretto la mano. Egli che non poteva più parlare, parlava attraverso gli altri sensi. Ha parlato attraverso lo sguardo. Ha parlato attraverso quella mano stretta. Siamo rimasti lì un po’, non so quanto, pochi secondi, o un’eternità. In quei momenti è difficile misurare il tempo. Poi ho visto qualche movimento dall’ingresso. Era arrivato il Cardinale Deskur a salutare il papa e allora è entrato di nuovo il segretario, e io ho lasciato la mano del papa. Mentre uscivo il papa ha di nuovo rialzato la testa e mi ha guardato. Ricordo quegli occhi e quello sguardo che mi accompagneranno per il resto della mia vita. Porterò con me la sensazione di bene e affetto della sua mano stretta alla mia. Erano le sue mani, quelle che sono state imposte sul mio capo nel ’98, quando il papa ha voluto ordinarmi vescovo. E quegli occhi che vedo ancora, quelle braccia distese quando mi dava l’abbraccio di pace. Sono segni di gioia e sofferenza nel suo ricordo.