Papa Francesco, un anno per cominciare una riforma della Chiesa

Quando è uscito sul balcone della loggia centrale, e ha chiesto la preghiera “del popolo per il suo vescovo”, e l’ha ricevuta a capo chino, Papa Francesco ha dato subito l’idea di quello che sarebbe stato il centro della sua predicazione: la preghiera, la spiritualità. Tanto che ha accentuato l’uso della preghiera come strumento diplomatico, come ha detto il cardinal Tarcisio Bertone, che ha collaborato con lui nei primi mesi di Pontificato. Tanto che quando prende una decisione si affida alla preghiera, come ha spiegato in un’altra intervista mons. Alfred Xuereb, che è diventato uno degli uomini di maggiore fiducia di Papa Francesco. Tanto che alla fine, in ogni momento, Papa Francesco chiede di pregare per lui. Eppure, Papa Francesco è un uomo che sa prendere decisioni forti. E lo sta facendo nell’affrontare la riforma della Curia.
Un anno dopo, non si possono ancora fare bilanci. Si può solo osservare un metodo di lavoro. Papa Francesco ascolta (anche cinquanta incontri al giorno), giudica, prende consigli. Ma poi decide. La bussola, per lui, è data da quello che si è detto nel dibattito alle Congregazioni generali. In quell’occasione, molti cardinali si trovarono d’accordo sull’idea che la Chiesa doveva andare in due direzioni. La prima era quella di intraprendere con forza il cammino della nuova evangelizzazione, già individuato da Benedetto XVI. La seconda, quella di mettere a punto una riforma dell’organizzazione della Curia, perché troppe erano state le lamentele contro la Segreteria di Stato e i primi collaboratori del Papa emerito riguardo il trattamento dei nunzi, troppe le accuse riguardo lo scandalo di Vatileaks. Accuse che sapevano più da capro espiatorio. Ma accuse alle quali il nuovo Papa doveva dare seguito, perché eletto con delle richieste precise.
E Papa Francesco lo ha cominciato a fare. Guardare indietro serve a comprendere in qualche modo come sarà il futuro. Dalle congregazioni generali, Papa Francesco è venuto con la chiara idea che il governo della Chiesa doveva essere più collegiale, e guardare al mondo, più che a Roma. Per questo, appena un mese dopo, ha nominato otto cardinali consiglieri, provenienti da ogni parte del mondo. Il primo obiettivo è quello di studiare una riforma della Pastor Bonus. Ma il secondo obiettivo, quello forse più importante, è quello di aiutare il Papa nel governo della Chiesa universale.
Poi, si era arrivati alle Congregazioni generali con una serie di accuse alla finanza vaticana, specialmente allo IOR, l’Istituto per le Opere di Religione che tutti chiamano “banca” (anche se questa non lo è) e mettono al centro di ogni scandalo (anche se c’è un rapporto del Consiglio d’Europa che ne certifica la trasparenza). Papa Francesco ha deciso di istituire una commissione che gli possa spiegare la ragione e la missione dello IOR, e che (eventualmente) sappia trovare una nuova strada per l’istituto.
La strada della commissione esterna è stata percorsa anche nel caso della gestione delle finanze della Santa Sede. Anche di queste, si era parlato abbondantemente sui giornali, anche in maniera mistificatoria. I cardinali arrivati in conclave hanno chiesto conto di tutto, e il Papa ha deciso di istituire una commissione che potesse mettere ordine alla materia e che potesse dare nuovi suggerimenti.
Quindi, si fatto un passo successivo. Ovvero, una sorta di “riforma di settore” che ha portato alla creazione di una Segreteria per l’Economia, un revisore generale (che andrà a sostituire la Prefettura degli Affari Economici) e un nuovo Consiglio dei Quindici per i problemi economico-organizzativi della Santa Sede: prima il Consiglio era formato solo da cardinali, ora da cardinali e laici. Una scelta che potrebbe essere il preludio verso una nuova struttura della Curia.
Una struttura in cui le Segreterie saranno i nuovi “ministeri”, e la Segreteria di Stato sarà solo una tra le segreteria, con compiti prettamente diplomatici. La gestione degli affari generali (attribuita oggi alla prima sezione della Segreteria di Stato) dovrebbe essere piuttosto data a un ufficio di coordinamento, un “moderator Curiae” del quale ancora non si comprende bene né il nome (ufficio generale di coordinamento?) né le funzioni.
Come ancora non si sa se Congregazioni e Pontifici Consigli resteranno, se questi ultimi saranno inseriti all’interno delle Congregazioni, se le Congregazioni manterranno tutte le loro prerogative. La riforma di Papa Francesco viene prima del progetto, perché per portare avanti una riforma della Costituzione Pastorale ci vuole tempo, studio, definizione dei problemi. E soprattutto si devono equilibrare i poteri, comprendere in che modo la missione della Chiesa possa essere portata avanti.
Sospeso tra la necessità di un equilibrio tra la volontà di andare avanti e quella di puntellare la struttura, Papa Francesco prega e ascolta. Le sue omelie della mattina nella Domus Sanctae Marthae sono spesso lette come segnali trasversali, e invece probabilmente rappresentano la parte più vera di un Papa che si sente sacerdote e che vuole ostentare questo suo essere sacerdote. E che soprattutto vuole portare avanti una riforma delle attitudini.
Una riforma delle attitudini le cui conseguenze si sono viste nell’ultimo concistoro. Papa Francesco non vuole che la nomina a vescovo di una diocesi “cardinalizia” abbia come conseguenza scontata l’essere creato cardinale. Vuole che si comprenda che il vescovo è sempre vescovo nella sua dignità, qualunque sia la provenienza. E così ha fatto scelte sorprendenti, ha pescato dal Sud del mondo, andando a nominare un cardinale di Haiti che non proviene dalla maggiore diocesi e un cardinale nelle Filippine proveniente dalla vera periferia del Paese, dove ancora la minoranza musulmana combatte una sorta di guerra civile per preservare la sua identità. Un modo per spezzare il carrierismo, per evitare che qualcuno pensasse che la porpora fosse una conseguenza di un posto acquisito, e allo stesso tempo per dare attenzione alle periferie del mondo.
Un anno dopo, la riforma di Papa Francesco sta ancora prendendo forma. E lo stesso Papa si è in qualche modo ridefinito. Alle scelte impulsive dell’inizio ha fatto contraltare una progressiva attenzione per l’istituzione. Alfred Xuereb, suo segretario particolare, un diplomatico fine ereditato da Benedetto XVI, è diventato il suo delegato nelle commissioni pontificie di riferimento e poi segretario generale della Segreteria per l’Economia. La nomina a consigliere del governatorato di Vincenzo Buonomo, che collabora con la Segreteria di Stato dalla prima metà degli anni Ottanta, ha rappresentato forse un segnale che dalle società di consulenze esterna (che in Vaticano si sono moltiplicate sotto il pontificato di Papa Francesco) si sta passando ai consulenti istituzionali, laici che ben conoscono le problematiche della Santa Sede.
La riforma di governo di Papa Francesco forse ancora deve trovare forma e compimento. E intanto il Papa è oggetto continuo di pressioni, da parte di tutti. Mentre un progetto si definisce, tutti vogliono trovare il loro posto al sole, o preparare la strada con situazioni vantaggiose. Un anno dopo, sono molti ancora i nodi da sciogliere. Nodi che resteranno anche se alla fine lo IOR scomparirà inglobato dall’Apsa, come dicono alcuni, o se il Papa caccerà uno dopo l’altro i responsabili della “sporcizia” della Chiesa che già Joseph Ratzinger aveva denunciato nella drammatica “Via Crucis” del 2005.
Un anno dopo, Papa Francesco è chiamato a delineare finalmente una visione di Chiesa da seguire. Il suo è un compito difficilissimo e durissimo. Lui ne è consapevole. E forse è per questo che chiede sempre di pregare per lui.