Olocausto
Il dramma di una storia
Ti legano ai polsi e alla vita come serpi. Ti tolgono il respiro per tapparti il grido del cuore dove urla, soffocato, il tuo terrore. Gli occhi accecati cercano, inquieti e smarriti, per vedere un volto che ti possa sorridere da amico, ma il sorriso mascherato che tutti ti rivolgono è stridulo sarcasmo come stridio di spade affilate. Tra rovi rugginosi, le tue carni, martoriate e tremanti, sono arse e immerse nel forno crematoio, come vecchia quercia della nuda terra grigia, verso la nudità delle gelide zolle. Sale verso il cielo, bigio e ottenebrato, l’acre odore di quei forni assassini da dove fuoriescono esalazione e secrezione di carne umana sgravata dalla vita. Sul tuo volto, scarnito e macerato, le lacrime, bruciate dall’odio, con urlo soffocato di morte, si fanno cenere muta.
Quanti olocausti racconta la storia politica e religiosa dell’umanità! L’inferocito dittatore continua a distruggere ancora la speranza del ritorno alla vita, a uccidere la carne del fratello che non ti appartiene, che non t’interessa e che ti è scomodo, a massacrare la fede innocente del povero, del mite, del pacifico, del giusto. Gli assetati di potere, incapaci di governo e privi di umanità e fede, per dominare hanno bisogno della dittatura che toglie il respiro al cuore e alla mente, calpesta la santa dignità della persona umana, annullandola. La storia ci tramanda che tutte le dittature siffatte, dalle sacrali alle diaboliche, apparentemente fiorenti e vincenti, covano in sé il tarlo della corruzione e della morte.
La Genesi
Come interpretare l’imperativo non uccidere che Dio consegnò a Mosè nel Decalogo? Nell’Antico Testamento troviamo tutta una lunga casistica ben precisa e completa: si può uccidere per legittima difesa e in caso di guerra, ci sono uccisioni preterintenzionali, occasionali e così via. Nel contesto delle Beatitudini, Gesù consegna ai suoi discepoli la nuova legge dell’amore: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli (Mt 5,20). La giustizia è la risposta dell’uomo al dono salvifico di Dio rivelatosi in Cristo. Non basta, quindi, che non si uccida materialmente, il vero cristiano deve eliminare ogni comportamento che ha in sé sentimenti di odio, rancore, cattiveria, gelosia, invidia, maldicenza, calunnia. Anche se questi atteggiamenti, dal punto di vista legale, possono non essere considerati omicidi, secondo il vangelo di Gesù, sono gesti di peccato che non conducono alla salvezza ma alla morte.
“Uccidere” è il verbo usato dalla Santa Scrittura che ci narra il primo assassinio, il fratricidio di Caino che dà morte ad Abele, il fratello gradito a Dio (cf Gen 4,12-36). Il libro della Genesi ci racconta anche un’altra storia, frutto di odio e d’invidiosa gelosia, quella di Giuseppe, gettato nella cisterna e poi venduto: I suoi fratelli videro Giuseppe da lontano e, prima che giungesse vicino a loro, complottarono contro di lui per farlo morire. Si dissero l’un l’altro: «Eccolo! È arrivato il signore dei sogni». Orsù, uccidiamolo e gettiamolo in una cisterna! Ed è sempre la solita storia drammatica e assassina di chi porta nascosto nel cuore il velenoso tarlo dell’invidia gelosa che fa fatica ad accogliere il fratello “amato di più” dal padre. Egli è il più piccolo, forse anche il più bravo, il più capace e, quindi, apprezzato e capito, benvoluto, cercato e riconosciuto. Arrivato a Dotan, gli levano la tunica dalle lunghe maniche, gliela tolgono come si strappa la pelle di dosso a un animale che dev’essere sacrificato, lo buttano in una cisterna vuota, dove non vede soltanto che il buio e, nell’ascolto terrificante del silenzio, sperimenta il drammatico dolore del sentirsi morto, pur essendo vivo. Poi i fratelli si siedono a far festa, mangiando quel pane che proprio lui aveva portato da casa per loro. Questo banchetto nel deserto è immagine di chi, non essendo più capace di amare, ha bisogno di riempire il vuoto di un cuore senza il respiro d’amore: la bestia feroce è nascosta nella loro anima. I tipici gesti dell’invidia gelosa hanno sempre una costante sequenza diabolica: tappare la bocca per togliere il respiro della verità; allontanare, per far dimenticare quel che si è e quel che si sa fare; buttare nella cisterna della solitudine, per annullare. Mentre i fratelli lo eliminano, il Signore lo “aggiunge”, è questo il significato del nome “Giuseppe”. Dio, attraverso la sofferenza, lo conserva nel suo cuore sino al momento del trionfo della verità e della’amore.
Sapienza divina e insipienza umana
La rivelazione di Dio, mai divide gli uomini tra di loro, non li rinchiude in possesso esclusivo, non dà a un “prediletto” il compito di spadroneggiare sugli altri, ma apre tutti a una dimensione sempre più vasta, a respiro universale. I veri saggi che sanno governare vivono lasciandosi illuminare e guidare dalla Sapienza che si dona, senza invidia, a chi la desidera: Non mi accompagnerò con l’invidia che consuma, poiché essa non ha nulla in comune con la Sapienza. L’abbondanza dei saggi è la salvezza del mondo; un re saggio è la salvezza di un popolo. Lasciatevi dunque ammaestrare dalle mie parole e ne trarrete profitto (Sap 6,23-25). Per la Sapienza divina un popolo è amato da Dio non perché è un popolo religioso, ma per il solo fatto che esiste. Una persona non è amata da Dio perché appartiene a una determinata religione, ma perché esiste. Ogni esperienza religiosa, infatti, si colloca all’interno della creazione. Se esistiamo, vuol dire che siamo amati da Dio, Creatore e Padre. Tutta l’umanità è amata da Dio dal momento in cui comincia a esistere.
Per questo, ogni azione del Creatore è sempre gesto di redenzione e intervento di liberazione da ogni oppressione di schiavitù. L’uomo giusto, ci istruiscono le Sante Scritture, conquista il dono della libertà ricevuta, attraverso la fatica, l’oppressione, la sofferenza e talvolta anche la crocifissione. Ogni forma di violenza e di martirio, fisico o morale, lo configura al Servo Sofferente. Isaia, nei canti del Servo di JHWH, così lo descrive: Egli è stato trafitto per le nostre colpe, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti (53,5). L’apostolo Pietro, nella sua Lettera, riprende il tema: Egli portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce, perché, non vivendo più per il peccato, vivessimo per la giustizia; dalle sue piaghe siamo stati guariti (1Pt 2,24). Dalla tenebra fitta dell’odio, la Sapienza fa sorgere raggi in splendore di vita e d’amore. La sofferenza diventa così il segno più alto dell’amore. Se la schiavitù è chiusura dentro la noia nei limiti del buio, la libertà è cammino verso la luce nella gioia del futuro. Non si può liberare l’uomo rendendolo schiavo con l’oppressione delle dittature. Dio sapiente è il grande liberatore dell’uomo: donandogli la vita gli offre libertà di coscienza, creatività di scienza, capacità d’amore. L’uomo insipiente è l’individuo che schiavizza il fratello distruggendogli la libertà, la dignità e talvolta anche la vita! Dentro i giochi meschini di potere, di contese arriviste, d’invidiose gelosie, agisce sempre l’invisibile Sapienza divina che riveste il perseguitato e il martire con le vesti della trasfigurante bellezza della Vita.
Il Vangelo
Oggi come ieri, Caino, Erode, Hitler, e tutta la lunga litania degli operatori di morte, continuano a distruggere seminando morte fisica e morale. Il credente, di fronte alle persecuzioni, non ha altre armi che la fiducia in Dio, fondata sulla vittoria di Gesù che, per attaccare e difendersi, rifiuta di ricorrere alla forza. Egli, Vittima inerme e vittoriosa, a Pietro, tentato di rispondere alla violenza con la violenza, gli dice che sbaglia combattimento volendolo difendere con la spada: Rimetti la tua spada al suo posto, perché tutti quelli che colpiscono di spada, di spada moriranno (Mt 26,52). Il fallimento dell’impetuoso entusiasmo di Pietro dimostra che l’amore di Dio è vittorioso attraverso il fallimento dell’amore secondo la carne. La potenza delle armi di ogni genere, fondata sui criteri umani, è sempre stolta debolezza fallimentare che semina morte, distruggendo l’amore. E’ quotidiana esperienza che alla base della potenza umana c’è sempre la paura. E in quella notte d’intrighi iniqui e di rapporti diplomatici tra loschi individui di potere, Pietro rimane vittima inerme di una passione radicale, quella stessa che incita Anna e Caifa, Erode e Pilato a portare a compimento, senza uscire dal sistema, la difesa per la sicurezza del proprio potere. Quanto più Gesù insegnava pubblicamente alla luce del sole, con la parola e i fatti, tanto più nei palazzi del losco potere politico e religioso si rafforzava la decisione di togliergli la vita. Quando la legge è svuotata dalle originali intenzioni profetiche, diventa l’alveo delle peggiori alienazioni. In quella notte, il vertice giudaico tocca i limiti del grottesco man mano che si avvicina al compimento del suo obiettivo assassino.
I falsi messia vogliono instaurare il loro regno col potere micidiale delle armi, incutendo paura di morte. I veri profeti, invece, sono i martiri della libertà di coscienza, nella verità della carità. La libertà di coscienza esige spazi sempre più grandi, ponendo fine al potere dell’uomo sull’uomo; mentre la schiavitù del potere detiene costantemente sotto controllo ogni spazio limitato e angusto costruito apposta per difendere lo stesso potere. Le dittature che costruiscono i regni che dominano le coscienze sono strutturalmente costruite sulla menzogna. Quando la coscienza ascolta la verità e la testimonia, i regni dei poteri satanici tremano dalle fondamenta.
L’immagine dell’Ecce Homo dei dolori, spoglio da ogni ornamento decorativo e fatto oggetto inerme di mani assassine, rivela ciò che è il peccato dell’uomo e ciò che è l’amore con cui Dio ci ha amati e continua ad amarci sino alla fine.