Movimento per la Vita: l’embrione è persona
Negli ultimi mesi ci sono stati molti eventi che hanno caratterizzato la difesa per la vita e la famiglia in Europa. Tra questi c’è stato un fatto che è passato quasi inosservato in Italia, anche se alcuni osservatori ne hanno evidenziato l’importanza, il nuovo programma quadro per la ricerca nell’Unione europea, Horizon 2020. Si tratta, in sostanza, del sistema di finanziamenti europei nel campo dell’innovazione e della scienza per il periodo 2014-2020, dotato di un budget di 80.000.000.000 di Euro.
Per entrare nel merito di questa importantissima questione abbiamo rivolto alcune domande al presidente del Movimento per la Vita, Carlo Casini: questo programma quadro per la ricerca finanzierà anche la ricerca sulle cellule staminali embrionali. Quali sono le conseguenze?
“Il programma di ricerca europeo denominato Horizon riguarda molti settori. Con riferimento alle biotecnologie è stabilito che la Commissione non formulerà di sua iniziativa inviti a chiedere finanziamenti per ricerche che utilizzano embrioni umani; la Commissione non finanzierà ricerche vietate in tutti i 28 Stati membri dell’Unione; nelle ricerche sulle cellule staminali embrionali la Commissione non finanzierà la distruzione di embrioni, ma soltanto le fasi successive a tale uccisione.
L’ipocrisia di questa disposizione è evidente: le imprese possono chiedere il finanziamento, anche se la Commissione non le invita a chiederle; in gran parte degli Stati membri dell’Unione la ricerca distruttiva sugli embrioni è permessa e comunque basterebbe che un solo Stato la permettesse per giustificare il finanziamento europeo; la distruzione degli embrioni non costa niente, mentre è pesante l’onere economico riguardo alla ricerca successiva.
D’altra parte, l’azienda che ha ottenuto il finanziamento europeo per ‘fase successiva’ è incentivata ad effettuare anche la prima fase, quella uccisiva. L’iniziativa dei cittadini europei ‘UnoDiNoi’ mira a far piazza pulita di tutte queste ipocrisie. Se uno Stato permette la sperimentazione distruttiva almeno lo faccia a sue spese e non con i soldi di tutti i cittadini europei”.
In cosa consiste la diagnosi preimpianto?
“La diagnosi pre-impianto (DPG) si distingue dalla diagnosi prenatale: quest’ultima può essere effettuata durante la gravidanza per verificare se esiste la malattia nel feto. Naturalmente se le malattie vengono escluse, la madre è rassicurata; se invece vengono accertate, la madre può scegliere di proseguire la gravidanza e predisporre le eventuali cure durante la gravidanza stessa o dopo la nascita. Purtroppo c’è anche l’eventualità che la donna decida di interrompere la gravidanza, come la legge 194 le permette, ma è un’eventualità non una certezza.
Invece la DPG avviene prima dell’inizio della gravidanza quando si ricorre alla Fecondazione artificiale in vitro (Fivet). Quando un embrione è generato in provetta per continuare a vivere deve essere trasferito nel seno materno. Prima che questo avvenga, quando esso è giunto al primo sviluppo di 6 o 8 cellule, la membrana che lo avvolge (Pellucida) viene perforata e vengono aspirate una o due cellule sottoposte ad esame. Se risulta che l’embrione è portatore di qualche anomalia viene distrutto, se invece risulta sano viene trasferito nell’utero della donna.
Questa metodica è di per sé inaccettabile perché implica sempre e deliberatamente l’uccisione di esseri umani malati e una loro discriminazione. Ma, vi sono molti altri motivi che rendono inaccettabile tale tecnica: per essere certi che la DPG produca un risultato, sia quanto all’accertamento, sia quanto alla scoperta di qualche embrione sano bisogna avere a disposizione almeno 9 embrioni. Di questi potranno essere trasferiti 2 o 3 e gli altri sono condannati a morte, immediatamente se malati. Ma anche se quando risultano sani e vengono congelati il rischio di morte aumenta molto.
In ogni caso il prelievo di gran parte del corpo embrionale (un terzo o metà delle sue cellule) determina un indebolimento del concepito. Perciò anche quando la tecnica fortemente invasiva non determina essa stessa la morte, si abbassa enormemente la percentuale delle nascite ed aumenta sensibilmente la percentuale dei nati portatori di handicap.
Sono stati registrati molti falsi positivi e negativi, nel senso che taluni embrioni sani sono stati ritenuti malati e perciò sono stati distrutti ed altri invece malati sono stati ritenuti sani e trasferiti nel seno materno; per questo motivo, dopo l’impianto di un embrione sano, viene spesso eseguita, per precauzione, una diagnosi prenatale per verificare che non ci siano errori.
Recenti studi americani hanno dimostrato che una rilevante percentuale di embrioni risultati effettivamente portatori di anomalie, se lasciati sviluppare, con il passare del tempo hanno compensato le loro anomalie e sono divenuti sani. La generazione di almeno 9 embrioni esige che alla donna siano somministrate abbondantemente sostanze iperovulatorie, con un rischio aggravato di sindrome iperovulatoria della donna stessa.
La differenza tra diagnosi prenatale e DPG è grande perché la prima interviene quando una gravidanza è in atto e il suo inizio non era controllabile da parte del sistema sanitario (in questo caso si adotta il principio che tra i due esseri, madre e figlio, si scelga di privilegiare il male minore). Viceversa la PMA fin dall’inizio è pienamente decisa ed attuata con consapevolezza di selezionare un essere umano in base alle sue caratteristiche fisiche, quindi viene discriminato a priori e dunque si possono evitare le situazioni che portano alla morte del figlio”.
Nelle scorse settimane il tribunale di Roma ha sollevato la questione di costituzionalità sul divieto per le coppie fertili di accedere alla procreazione assistita e alla diagnosi preimpianto, anche se portatrici di malattie trasmissibili geneticamente, affermando il diritto alla coppia di avere un figlio sano: quanto è lecita questa affermazione?
“La Corte di Cassazione ha ripetutamente affermato che non esiste il diritto del figlio a nascere sano. Se un tale diritto esistesse davvero come taluni pretendono il figlio malformato potrebbe addirittura fare causa alla madre per averlo fatto nascere e chiedere il risarcimento del danno alla madre eroica che non lo ha abortito per rispettare la sua vita ed accoglierlo”.