Eugenio Corti, amato in Francia, ignorato in Italia?

Qualche giorno fa è scomparso lo scrittore Eugenio Corti, autore, tra gli altri, del grande romanzo “Il cavallo rosso”. I grandi giornali hanno dato conto di questa scomparsa, rilevando che, nei confronti di Corti, si era consumato l’ennesimo tradimento perpetrato dall’intellighenzia nostrana: lo scrittore è stato sempre accantonato, relegato a circuiti periferici, per così dire, perché etichettato come scrittore cattolico. Mentre in Francia, al contrario, è stato considerato uno dei grandi del nostro tempo.
Tutto verissimo, purtroppo. E il vuoto lasciato da Corti, nonché la grande mistificazione operata nei suoi confronti, appare adesso ancora pìù desolante e mortificante, comparata con il grande nulla che di cui si nutrono le patrie lettere – e non solo quelle, purtroppo. La letteratura contemporanea assomiglia ad un pallido ectoplasma, per giunta riciclato, che si aggira sperduto tra le rovine della creatività dell’uomo contemporaneo. Il punto è che questa viene spacciata per letteratura e sembra che non ci sia nient’altro da scrivere e da leggere. Per fortuna sappiamo che le cose non stanno proprio così, che accanto alle rovine citate ci sono ancora terre lussureggianti e palazzi da esplorare. Una crisi terribile minaccia lo spirito dell’uomo, per lo meno di quello occidentale, questo non si può negare. Ma il vero e il bello continuano ad esistere, nonostante che si tenti di nasconderli o di negarne l’esistenza.
Del resto, le testimonianze, in tal senso, si moltiplicano. Ora non è più quasi impossibile leggere affermazioni come quelle dichiarate da Giorgio Montefoschi, scrittore fuori dai ranghi e sempre fedele a se stesso, che, in un’intervista al Venerdì di Repubblica, ha appunto detto nero su bianco: parlando degli scrittori di oggi, ha spiegato “domina le classifiche ciò che non è letteratura, come Volo e Mazzantini, ma almeno il primo non pretende di essere riconosciuto in quanto scrittore. Una volta c’era la protezione del Pci, oggi c’è solo la tv”. Parla anche dei “venerati maestri” del Gruppo 53, le avanguardie italiane degli anni Cinquanta e Sessanta: lo definisce “l’entità culturale che si è più autocelebrata nella storia della letteratura, eppure non ha lasciato un’opera da ricordare. Svillaneggiavano Bassani e Cassola cui non erano neppure degni di allacciare le scarpe”.
Ed è stato questo anche il destino di Corti, dimenticato, guardato con commiserazione per il suo essere così <inattuale>, per immaginare in grande la letteratura, come un’affresco che intesse insieme la Storia e le storie, per una concezione della vita che fa posto al Mistero e che rende ogni esistenza grande e nobile, se gli si fa spazio. A ben guardare, non è neppure grave la miopia con cui la critica e l’industria culturale hanno considerato l’opera di Corti. La colpa maggiore è non aver dato modo, con il silenzio, alla gente – soprattutto ai giovani – di poter fare l’esperienza di un incontro, attraverso la lettura, che può cambiarti la vita, come accade con i veri libri di ogni tempo.