Parolin e Galantino a 30 anni dalla firma di Villa Madama

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“L’accordo di Villa Madama fra la Santa Sede e la Repubblica Italiana  del 1984 costituì il prototipo delle convenzioni concordatarie postconciliari, in cui si voltava decisamente pagina rispetto ai concordati del passato e ci si allontanava dalla tradizione novecentesca, profondamente segnata dal confronto della Chiesa con Stati totalitari o autoritari e dal ricorso allo strumento pattizio, al fine di conquistare spazi di libertà all’azione ecclesiastica”. Così il Segretario di Stato vaticano, monsignor Pietro Parolin, ha elogiato il modello di accordo giuridico che dal 18 febbraio 1984, modificando il Concordato Lateranense del 1929, regola oggi i rapporti tra la Stato italiano e la Sede Apostolica. Parolin è intervenuto al convegno “A trent’anni dal nuovo concordato 1984 – 2014”, organizzato mercoledì 12 febbraio a Palazzo Giustiniani, sede della Presidenza del Senato della Repubblica, dalla Fondazione Socialismo. Un momento di incontro per  fare il punto sullo stato dei rapporti tra Italia e Vaticano, in cui si sono radunati alcuni dei protagonisti di quella intensa stagione di dibattito e di negoziato politico e diplomatico, da Carlo Cardia a Francesco Margiotta Broglio, dal cardinale Attilio Nicora a Gennaro Acquaviva, che culminò con la firma del protocollo ad opera del Presidente del Consiglio Bettino Craxi e del cardinale Agostino Casaroli, Segretario di Stato di Giovanni Paolo II.

Nel corso del suo intervento l’arcivescovo Parolin si è soffermato sulle differenze profonde che configuravano i due accordi. Se nel 1929, al termine della lunga stagione di inimicizia e di incomprensione derivata dalla complessità di risoluzione della ‘Questione Romana’, il testo concordatario si limitava semplicemente a dichiarare che il Concordato “era inteso a regolare le condizioni della Religione e della Chiesa in Italia”, in cui “una Chiesa in difesa cercava di conquistare spazi alla sua libertà” e lo Stato si impegnava a regolare con diffidenza la sua azione civile e amministrativa, ben diverso era il clima registrato dagli accordi del 1984, per il quale, all’articolo 1 dell’accordo, «La Repubblica Italiana e la Santa Sede riaffermano che lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani, impegnandosi al pieno rispetto di tale principio nei loro rapporti ed alla reciproca collaborazione per la promozione dell’uomo e il bene del Paese».

Accenti e parole nuove, ha affermato il Segretario di Stato, che invitarono i commentatori dell’epoca a cogliere “l’espressione di un nuovo modo nel reciproco riguardarsi tra Stato e Chiesa: non più sospettosamente, ma in maniera amichevole, aperta, leale, secondo lo spirito della Costituzione repubblicana da un lato e degli insegnamenti del Concilio Vaticano II dall’altro. La collaborazione «per il bene del Paese» acquisiva, tra l’altro, un particolare significato in un’Italia non ancora uscita dalla vicenda terroristica, nella quale il mondo cattolico aveva pagato un altissimo prezzo con il sacrificio di suoi esponenti impegnati nelle pubbliche istituzioni”.

Anche dall’articolo 2, che riconosce alla Chiesa i suoi compiti missionari,  “il mondo cattolico colse la grande novità e il senso profondo dell’opera di revisione, in cui era evidente l’eco degli insegnamenti del Concilio Vaticano II”, di quella collaborazione, affermata da vari documenti tra cui la ‘Gaudium et Spes’ e la ‘Lumen Gentium’, in cui la comunità politica e la Chiesa cooperano per il bene dell’uomo e della società, e da cui emergeva un’ecclesiologia tesa a mettere in evidenza la Chiesa, più che come gerarchia o istituzione, come popolo di Dio che cammina nella storia. Ma “quale uomo? Quale bene?” si è chiesto Parolin continuando nel suo intervento.

“A ben guardare a tale doppio riferimento è sottesa una antropologia, propria della dottrina sociale della Chiesa ma che si riscontra anche nella Costituzione italiana, che guarda alla persona inserita nella fitta trama di relazioni sociali in cui effettivamente è immersa, che costituisce il tessuto della società. Per la dottrina sociale della Chiesa, la persona non può trovare compimento solo in se stessa, ma nel suo essere con gli altri e per gli altri: dunque bene della persona e bene della società non si identificano né si contrappongono”, perché “l’uno e l’altro confluiscono in quel bene comune che non è la sommatoria dei beni individuali, bensì è il bene di ciascuno ma al tempo stesso di tutti, nella misura in cui soltanto insieme è possibile perseguirlo e raggiungerlo (Gaudium et spes, 26)”.

A partire da queste considerazioni il Segretario di Stato ha poi proseguito trattando della persona e dei diritti di cui è portatore, ad iniziare da quello a libertà religiosa, “storicamente e logicamente individuata come la matrice di tutti gli altri diritti di libertà” in cui “appare con evidenza la ragione profonda della collaborazione fra Chiesa e Stato”. Perché se “i compiti di benessere spirituale sono propri della Chiesa e i compiti di benessere temporale sono propri dello Stato, a quest’ultimo compete creare le condizioni normative e materiali perché le istituzioni ecclesiastiche possano effettivamente rispondere ai bisogni spirituali della persona”. Sta quindi nella rimozione degli ostacoli giuridici e fattuali da parte dello Stato lo strumento perché sia garantito l’esercizio della libertà religiosa “la vera misura della laicità”.

Un “moderno Stato pluralista e democratico non può non essere laico” – ha proseguito Parolin –  Al tempo stesso “lo Stato ha necessità di presupposti che non è in grado di forgiare e garantire, a pena della sua neutralità o parzialità. Esso ha bisogno di valori di base, di quell’ethos che fonda e fa da collante della società. Valori che la Chiesa, come le altre comunità religiose, può trasmettere”. Ecco perché – ha continuato l’arcivescovo nel suo intervento – è possibile rispondere oggi ai critici dello strumento concordatario, ritenuto un vecchio armamentario a disposizione della Chiesa da usare nei confronti degli stati totalitari per difendere spazi per l’esercizio della sua missione.

Oggi, nelle rinnovate circostanze e condizioni di rispetto in cui convivono comunità ecclesiale e civile, esso trova una sua spiegazione diplomatica e una sua applicazione concreta anche nelle democrazie, vale a dire nel “forgiare strumenti di collaborazione, diretti a regolare le modalità di esercizio dei pur riconosciuti diritti di libertà, nel rispetto dei due distinti ordini, temporale e spirituale. Ed a ben vedere proprio in questo senso si muove nel complesso l’accordo di Villa Madama”. Il cui spirito di collaborazione non è presente solo nell’articolo 1. Ma anche in quell’articolo 13 dove è previsto che «ulteriori materie per le quali si manifesti l’esigenza di collaborazione tra la Chiesa cattolica e lo Stato potranno essere regolate sia con nuovi accordi tra le due Parti sia con intese tra le competenti autorità dello Stato e la Conferenza episcopale italiana».

Si tratta di un impegno – ha concluso Parolin che “indica una cultura, uno spirito, un modo di approccio ai problemi contingenti, un atteggiamento di apertura amichevole e confidente, un senso di impegno nei confronti della persona umana e dell’intera società che chiama ciascuno alle proprie, distinte responsabilità.

Nel corso del convegno, in mattinata, era intervenuto anche il Segretario Generale della Cei, monsignor Nunzio Galantino, con una relazione sui trent’anni di operatività della legge n. 222 del 1985, che detta disposizioni sugli enti e sui beni ecclesiastici in Italia a seguito della modifica concordataria . “In quanto realtà anche sociale, la comunità ecclesiale vive nelle dinamiche proprie dell’esistenza umana, comprese le sue condizioni materiali. La gestione dei beni temporali da parte della Chiesa deve esprimere e servire quella comunione nella quale è costituito l’unico popolo di Dio e questo tema riveste una grande importanza perché i beni sono al servizio della ‘comunione’ e della ‘missione’ che la Chiesa rivolge al mondo”.

Citando Antonio Rosmini, monsignor Galantino ha osservato che c’è “una vera e propria ecclesiologia dei beni” mentre “i teologi di professione hanno sempre teso a considerare secondario, o dipendente da altri fattori, il rapporto dialettico, talvolta addirittura conflittuale, tra Chiesa e beni materiali”. “Da amministratori dei beni dotati dalla grazia di Dio attraverso la generosità dei fedeli – si è espresso ancora Galantino – siamo chiamati a condividerli con tutti, al servizio dei fratelli nell’unica comunione della Chiesa”.

Le nuove forme di finanziamento della Chiesa, l’otto per mille e la deducibilità fiscale delle offerte e delle elargizioni a favore della Chiesa Cattolica, che furono introdotte con la revisione concordataria del 1984, “ancora oggi” riscuotono “il favore” e “la fiducia” da parte dei cittadini italiani. “ Un sistema che ha privilegiato le scelte da parte dei cittadini e che ha sostituito gli interventi finanziari diretti dello Stato, la cosiddetta “congrua”. “E’ necessario – ha concluso il vescovo – che una regolamentazione concordata tra Stato e Chiesa “possa riconoscere e valorizzare il ruolo e il contributo specifico degli enti della Chiesa nello Stato sociale, in ambiti decisivi come quello dell’educazione, della sanità, dell’assistenza agli ultimi”, anche riguardo al sostentamento dei sacerdoti “tenuto conto in particolare del valore sociale delle molteplici attività” da essi svolte.

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