Il papa benedice il crisma anche per l’Aquila e propone un esame di coscienza ai sacerdoti

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Saranno portati a l’ Aquila gli olii benedetti oggi dal papa nella Basilica di San Pietro. Il vescovo Molinari, senza cattedrale, non ha potuto riunire i sacerdoti per la messa del Crisma. “Al nostro caro fratello monsignor Giuseppe Molinari, arcivescovo dell’Aquila – ha detto il Papa – che, a motivo dei gravissimi danni causati dal terremoto non potrà riunire il suo presbiterio per la messa crismale, desidero far pervenire questi santi olii in segno di profonda comunione e di vicinanza spirituale. Possano questi santi olii – ha concluso Benedetto XVI – accompagnare il tempo della rinascita, della ricostruzione, sanando le ferite e sostenendo la speranza”. Le celebrazione di questa mattina è una vera riflessione sul sacerdozio che, ha spiegato il Papae’ ”un passaggio di proprieta’, un essere tolto dal mondo e donato a Dio”, ma ”non e’ una segregazione”, perche’ ”il sacerdote viene sottratto alle connessioni mondane e donato a Dio, e proprio cosi’ e’ disponibile per gli altri, per tutti”. ”Consacrali nella verita”’: e’ questa, ha detto Benedetto XVI, la ”vera preghiera di consacrazione per gli apostoli”, fatta da Gesu’.

Altro imperativo, ”l’essere immersi nella parola di Dio”. Una riflessione prettamente ratzingeriana con citazioni da Bultmann e Nietzsche. Un vero esame di coscienza quello proposto dal papa alla luce della parola di Dio che è verità. “La parola di Dio è, per così dire, il lavacro che li purifica, il potere creatore che li trasforma nell’essere di Dio.-ha detto il papa- E allora, come stanno le cose nella nostra vita? Siamo veramente pervasi dalla parola di Dio? È vero che essa è il nutrimento di cui viviamo, più di quanto non lo siano il pane e le cose di questo mondo? La conosciamo davvero? La amiamo? Ci occupiamo interiormente di questa parola al punto che essa realmente dà un’impronta alla nostra vita e forma il nostro pensiero? O non è piuttosto che il nostro pensiero sempre di nuovo si modella con tutto ciò che si dice e che si fa? Non sono forse assai spesso le opinioni predominanti i criteri secondo cui ci misuriamo? Non rimaniamo forse, in fin dei conti, nella superficialità di tutto ciò che, di solito, s’impone all’uomo di oggi? Ci lasciamo veramente purificare nel nostro intimo dalla parola di Dio? Friedrich Nietzsche ha dileggiato l’umiltà e l’obbedienza come virtù servili, mediante le quali gli uomini sarebbero stati repressi. Ha messo al loro posto la fierezza e la libertà assoluta dell’uomo.

Orbene, esistono caricature di un’umiltà sbagliata e di una sottomissione sbagliata, che non vogliamo imitare. Ma esiste anche la superbia distruttiva e la presunzione, che disgregano ogni comunità e finiscono nella violenza. Sappiamo noi imparare da Cristo la retta umiltà, che corrisponde alla verità del nostro essere, e quell’obbedienza, che si sottomette alla verità, alla volontà di Dio? “Consacrali nella verità; la tua parola è verità”: questa parola dell’inserimento nel sacerdozio illumina la nostra vita e ci chiama a diventare sempre di nuovo discepoli di quella verità, che si dischiude nella parola di Dio.”

Essere consacarati, dice il papa, è entrare in un’ altra logica, è sacrificarsi. “È un uscire dai contesti della vita mondana – un “essere messi da parte” per Dio. Ma proprio per questo non è una segregazione. Essere consegnati a Dio significa piuttosto essere posti a rappresentare gli altri. Il sacerdote viene sottratto alle connessioni mondane e donato a Dio, e proprio così, a partire da Dio, è disponibile per gli altri, per tutti. Quando Gesù dice: “Io mi consacro”, Egli si fa insieme sacerdote e vittima. Pertanto Bultmann ha ragione traducendo l’affermazione: “Io mi consacro” con “Io mi sacrifico”. Comprendiamo ora che cosa avviene, quando Gesù dice: “Io mi consacro per loro”? È questo l’atto sacerdotale in cui Gesù – l’Uomo Gesù, che è una cosa sola col Figlio di Dio – si consegna al Padre per noi. È l’espressione del fatto che Egli è insieme sacerdote e vittima.

Mi consacro – mi sacrifico: questa parola abissale, che ci lascia gettare uno sguardo nell’intimo del cuore di Gesù Cristo, dovrebbe sempre di nuovo essere oggetto della nostra riflessione. In essa è racchiuso tutto il mistero della nostra redenzione. E vi è contenuta anche l’origine del sacerdozio della Chiesa.”

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