Il grido dell’ Abbà

Condividi su...

La Santa Trinità non è speculazione razionale ma Amore che dona e si dona, che si manifesta come realtà di salvezza ed esperienza di grazia. Creazione e Redenzione sono opera trinitaria. La preghiera ci introduce nell’intimo dinamismo di conoscenza e di amore del Padre, del Figlio e dello Spirito. Con la grazia battesimale, Dio Uno e Trino prende dimora nella profondità del nostro essere e questo rapporto permanente con le tre Persone divine ci fa diventare Tempio di preghiera.

Dio si è rivelato in Gesù nel suo aspetto di Abbà. Scrive san Paolo ai Galati: Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge, perché ricevessimo l’adozione a figli. E che voi siete figli lo prova il fatto che Dio mandò nei nostri cuori lo Spirito del Figlio suo il quale grida: Abbà! Padre! (4,4-6). La preghiera cristiana è fondamentalmente preghiera filiale, resa possibile nello Spirito del Signore. Pregare è lasciarsi amare dal Padre nel Figlio suo e nostro Fratello. Uniti con Cristo e animati dal suo Spirito, siamo certi di arrivare al cuore del Padre. Lo Spirito ci introduce nel dialogo d’amore tra il Figlio e il Padre; in questo seducentissimo vortice d’amore, vive la nostra preghiera: nell’“Abbà mio” del Figlio, possiamo cantare l’“Abbà nostro” di figli.

L’evangelista Luca ci racconta che un giorno Gesù si trovava in un luogo a pregare; quando ebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse: “Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli”. Ed egli disse loro: “Quando pregate, dite: Padre, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno; dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano, e perdona a noi i nostri peccati, anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore, e non abbandonarci alla tentazione (11,1-4).

Luca mette in risalto con particolare predilezione, e lo annota sovente, il fatto che Gesù si ritirava spesso a pregare da solo. Egli prega in occasione del battesimo (3,21), dopo i miracoli (5,16), prima di eleggere i Dodici passa l’intera notte in preghiera (6,12), prega prima e durante la trasfigurazione, prega per Pietro affinché non venga meno la sua fede (22,32), prega nell’orto del Getsemani, esortando gli apostoli a fare lo stesso (22,41-46), appeso alla croce prega per i crocifissori (23,34), e infine muore pregando (23,46). In comunione intima d’amore, s’inserisce nel volere del Padre e matura le proprie scelte.

Abbà!  Gesù si rivolgeva a Dio con il nome carico di confidenza e tenerezza con cui i bambini si rivolgevano al loro papà. Abbà è invocazione che indica intimità filiale, e Gesù la userà nel giardino degli ulivi e al Fiat, quando, inchiodato sul legno della croce, rese il suo Spirito al Padre. Dalle labbra di Gesù alle nostre, il cuore del vero discepolo può usare la stessa familiarità e confidenza invocando: Abbà, Padre! Il NT chiama questo atteggiamento parresìa, cioè, disinvolta familiarità.

Santificare il nome di Dio significa che Dio si è rivelato ed è riconosciuto come Santo. I credenti sono chiamati a riconoscere e a manifestare la santità divina: Santificherò il mio nome grande… Le genti sapranno che io sono il Signore quando mostrerò la mia santità in voi davanti ai loro occhi (Ez 36,23). Santificare il nome di Dio comporta creare spazio all’azione divina perché Dio si renda visibile. La preghiera dell’Abbà non costringe Dio a realizzare i tuoi progetti: questo è il dio pagano, costruito dalle mani dell’uomo, che si fa garante dei tuoi voleri e compiacente dei tuoi desideri, lasciandoti prigioniero delle tue illusioni. Il Dio Abbà, invece, ci ama, ci ascolta, ci libera e ci salva.

Chiedere: Venga il tuo Regno! è implorare che si realizzi in modo definitivo l’azione redentrice di Cristo: il Regno presente che è già in mezzo a noi, e il Regno futuro che attendiamo alla fine dei tempi.

Il pane quotidiano che l’orante chiede, senza escludere l’alimento del corpo, indica anche quello supersubstantialem, cioè, la parola di Dio e il Pane eucaristico. I Padri della Chiesa, infatti, applicano la richiesta del pane al nutrimento della fede (cf Mt 6,11; Gv 6,31-33). Al primo posto c’è il Regno di Dio, poi la provvidenza del cibo quotidiano necessario, cioè, il pane nostro frutto del nostro lavoro e, nel contempo, dono della divina provvidenza.

Il perdono dei nostri peccati è l’immagine semitica dei “debiti” usata da Matteo nella parabola del servitore spietato (18,23-35) e anche dallo stesso Luca (7,41-43). Nei due evangelisti il perdono è un gesto attuale e sempre da dare: perdoniamo.

Non abbandonarci alla tentazione è la stessa formula che usa Matteo. La tentazione non è quella che induce a peccare, ma quella che è prova della fede. Gesù, rivolgendosi ai discepoli sul monte degli Ulivi dirà loro: Pregate per non entrare in tentazione (Lc 22,40). La tentazione del discepolo è simile a quella di Cristo, è lo scandalo e la paura della passione, è la sfiducia e lo scoraggiamento di fronte al silenzio di Dio. Questa è la prova suprema della fedeltà.

Il catecumeno, prima di ricevere il battesimo, era introdotto gradualmente nella conoscenza della provvidenza di Dio giunta ora sino a lui. Tale conoscenza diventava punto di riferimento per conformarvi la vita. Il quid credendum, alla fine dell’iniziazione, era espresso con il rito della traditio-redditio Simboli. Il catecumeno riceveva il “Credo” con la spiegazione, poi, imparatolo a memoria, lo riconsegnava. In connessione con il quid credendum, si sviluppò il quid orandum. Il primo dava la consapevolezza del dovere essere cristiani, il secondo offriva la possibilità di potere attuare nella vita la fede creduta pregando Dio come Padre e ponendo in lui solo ogni speranza. La preghiera dell’Abbà faceva sperimentare al battezzato la dimensione di figlio che si rivolge al suo “papà”, facendo così esperienza dell’amore filiale verso Dio Padre nella Chiesa Madre. Scrive, al riguardo, sant’Agostino: «I primi due nostri genitori erano Adamo ed Eva: lui il padre, lei la madre, dunque noi siamo fratelli. Ma trascuriamo la prima origine, ora Dio è il Padre, la Chiesa è la Madre, dunque noi siamo fratelli» (Serm. 56,10-14).

Ora, la rivelazione di Dio come Padre avviene nella mediazione del Figlio, nel quale si conosce tutto quello che si può conoscere di Dio Padre. Il trio indivisibile d’amore è: Dio-Chiesa-Cristo /Padre-Madre-Fratello. Il Dio invocato nel battesimo è sia quello conosciuto e amato in Cristo, sia quello creduto e invocato nella Chiesa. Non può invocare Dio come Padre chi non ha la Chiesa come Madre. Attenti, però: la Chiesa di Cristo! Quella illuminata, inviata e orientata dallo Spirito che ha parlato, e continua a parlare, per mezzo dei Profeti e non quella di mercanti e fattucchieri di turno.

Siamo piccoli atomi di fragilità, avvolti e coinvolti nella spirale turbinosa e incandescente dell’amore dello Spirito che ci pervade, ci conduce e viene in aiuto alla nostra fragilità. E voi – scrive Paolo ai Romani – non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: Abbà! Padre! Lo stesso Spirito, insieme al nostro spirito, attesta che siamo figli di Dio (8,15-16). La Spirito filiale di Gesù grida in noi Abbà, Padre! e intercede con insistenza per noi con gemiti inesprimibili. Il discepolo, immerso nella preghiera-grido dello Spirito, si ritrova figlio prediletto dell’Abbà e canta, nell’amore filiale, l’intimità del “cuore a cuore” con la Trinità.

Come Cristo, Signore e Maestro, prega il Padre e siede accanto al Padre, così gli Apostoli chiedono a Gesù di “imparare a pregare” e di “sedergli accanto”. La preghiera è intima e continua relazione d’amore. La nostra preghiera, come rapporto d’amore, consiste nel mettersi in sintonia con la volontà di Dio. Quando manca la “sintonia”, non c’è più preghiera autentica perché viene a mancare il rapporto e così tutto viene distorto. Sedersi accanto nell’intimità della preghiera è la forma più sublime della teandrica relazione d’amore. Sedersi accanto, come Maria di Betania, è la forma migliore per mettersi in sintonia col Maestro ascoltando e dialogando in profonda intimità di vita e in piena relazione d’amore.

 

151.11.48.50