Immigrazione, Giancarlo Perego direttore di Migrantes racconta la situazione in Italia

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Nei giorni scorsi è stato presentato il Rapporto Immigrazione redatto da Caritas Italiana e Fondazione Migrantes giunto alla XXIII edizione. I due organismi pastorali della Cei, con questa edizione hanno inaugurato una nuova fase della loro collaborazione sugli studi e gli approfondimenti in materia di mobilità verso l’Italia. Dopo 30 anni di immigrazione in Italia, infatti, Caritas e Migrantes hanno ritenuto di intraprendere un nuovo percorso per lo studio della mobilità che privilegi l’osservazione delle varie realtà locali partendo dalla ricca rete delle sedi diocesane fino ad arrivare ai vari riferimenti istituzionali e associativi sul territorio nazionale e internazionale.
“Superando l’ottica prettamente statistico-quantitativa nella lettura del fenomeno migratorio per aprirsi a un’analisi più qualitativa”, il volume – spiegano i direttori mons. Francesco Soddu e mons. Giancarlo Perego – si presenta più agile e di natura maggiormente divulgativa e “particolarmente attento a far emergere l’ordinaria presenza immigrata in Italia e nei singoli territori raccontandone le specificità, le diverse caratteristiche oltre che i diversi progetti portati avanti, senza trascurare l’analisi dei punti di forza e delle debolezze rintracciate dagli operatori Caritas e Migrantes nelle diverse realtà territoriali”.

“La storia dell’Europa e quella più specifica dell’Italia dell’ultimo trentennio – aggiungono – ha inevitabilmente portato a connotare l’immigrazione all’interno dei confini tricolori a partire dalla quantità dei flussi e dalle diverse caratterizzazioni (di paesi di provenienza, di territori di accoglienza, di genere, di confessioni religiose, ecc.). Spesso si è letto che l’Italia da Paese di emigrazione si è trasformato, a partire dagli anni Settanta del Novecento, in Paese di immigrazione: oggi queste due anime non solo continuano a coesistere ma vengono contemporaneamente alimentate dalle trasformazioni politiche, economiche, culturali e sociali vissute a livello planetario”.
Per Caritas Italiana e Fondazione Migrantes nel 2013, se nel mondo e in Europa le migrazioni crescono, in Italia il fenomeno continua, ma non aumenta. La crescita interna dei migranti – per i ricongiungimenti familiari, le nuove nascite – viene pressoché annullata dai rientri, dalle partenze per altre destinazioni europee e del mondo di numerose persone e famiglie migranti. Circa 5 milioni resta il numero di persone, comunitarie e non, che sono presenti in Italia, alla luce dei dati Istat e di una componente irregolare che permane, anche a causa di decreti flussi che non interpretano le esigenze del mondo occupazionale italiano, e non aiutano l’incontro fra domanda e offerta di lavoro.

“La disoccupazione maggiore dei lavoratori immigrati rispetto a quelli italiani è dettata da una precarietà lavorativa e da una debolezza di tutele che chiedono nuovi strumenti sociali, più che il semplice blocco dei flussi, si legge nel rapporto di oltre 350 pagine. Lo scorso anno – fanno notare – ha visto la crisi far emergere il rischio – Lampedusa e Prato sono solo due esempi estremi e drammatici – di indebolire la tutela dei fondamentali diritti umani: “il Mediterraneo è sempre più un luogo di morte per tante persone in fuga; l’Europa presidia i suoi confini solo sul piano della sicurezza; i diritti dei lavoratori sono stati rinnegati in alcuni luoghi di lavoro – dalle imprese di Prato alle campagne della pianura padana o della piana del Sele, della Capitanata, di Rosarno o della Lucania – senza dimenticare il lavoro domestico”.
Il trattenimento nei Centri di Identificazione e di Espulsione (CIE) “non soddisfa l’interesse al controllo delle frontiere e alla regolazione dei flussi migratori, ma sembra piuttosto assolvere alla funzione di “sedativo” delle ansie di chi percepisce la presenza dello straniero irregolarmente soggiornante, o dello straniero in quanto tale, come un pericolo per la sicurezza. Le norme che regolano il trattenimento nei CIE appaiono illegittime, in quanto non rispettano le garanzie dei diritti costituzionali e non superano i test di ragionevolezza soprattutto quando riguarda persone che hanno già scontato la pena detentiva in carcere e, per un difetto dell’Amministrazione, si trovano a dover prolungare nei CIE la loro esperienza detentiva”.
I due organismi della Cei evidenziano anche che il “riconoscimento delle discriminazioni in continua crescita in Italia è debole”, perché lasciato solo ai “luoghi istituzionali” incapaci di presidiare con strumenti nuovi i “luoghi di vita” – come la scuola, il mondo del lavoro, i servizi, ecc. – e di costruire un’alleanza con il mondo delle associazioni e del volontariato.

Il titolo di questa edizione “Tra crisi e diritti umani” è forte. Perché questo titolo e quale il messaggio? 

“Dal 2009 – spiega mons. Giancarlo Perego, direttore generale della Fondazione Migrantes – la crisi economica ha segnato profondamente l’Europa e l’Italia e la vita di molte persone e famiglie. Giovani,  e anziani, famiglie numerose e immigrati sono stati i più colpiti. Ma la crisi non ha segnato gli immigrati solo sul piano economico, con disoccupazione e precariato, ma ha leso profondamente alcuni diritti sociali. Abbiamo assistito in questi anni a una mancanza di tutela dei diritti dei lavoratori immigrati (la giusta retribuzione, il riposo, la tutela della maternità) fino ad arrivare a gravi forme di sfruttamento e tratta (ricordiamo i drammatici episodi di Rosarno e Prato, delle campagne di Cuneo e del Salento); a questi casi si sono aggiunte discriminazioni per l’accesso alla casa, alla salute, come anche l’esclusione di benefit sul piano sociale. La crisi ha rischiato di  avviare meccanismi perversi e giustificati di sfruttamento e privazione sociale, indebolendo  nel nostro Paese alcuni diritti fondamentali della persona e della famiglia migrante. La debolezza legislativa in tema di immigrazione – pensiamo solo  all’incapacità di fare incontrare domanda e offerta di lavoro, l’obsoleta legge sulla cittadinanza, la mancanza di un testo unico sull’asilo – ha ulteriormente aggravato la situazione, soprattutto in ordine alla tutela dei richiedenti asilo e dei rifugiati e alla tutela dei migranti che hanno perso il permesso di soggiorno a motivo della perdita del lavoro, creando nuove sacche di irregolarità e di insicurezza sociale”.

Cosa fa la Chiesa oggi per il mondo dell’immigrazione in Italia, soprattutto verso coloro che hanno più bisogno?

“L’impegno della Chiesa per i migranti si muove su due strade, già indicate da Paolo VI nella Populorum progressio e ribadite anche dal magistero sociale successivo: evangelizzazione e promozione umana. L’evangelizzazione impegna la Chiesa da una parte alla cura pastorale dei migranti  cattolici in Italia (oltre 1 milione), con la presenza di oltre 1500 sacerdoti stranieri e 750 comunità, dall’altra alla cura della libertà religiosa, che apre al dialogo ecumenico e al dialogo interreligioso con oltre 3 milioni e mezzo di persone immigrate di altre chiese e religioni e alla proposta religiosa ad oltre mezzo milione di immigrati che non hanno alcuna appartenenza religiosa. La promozione umana impegna la Chiesa in Italia a percorsi interculturali nelle scuole e, in particolare nelle scuole cattoliche, a percorsi di integrazione sociale, a servizi e progetti di servizio alle persone immigrate fragili e povere, all’accompagnamento scolastico dei minori stranieri, a percorsi e storie di accoglienza nelle famiglie e nelle parrocchie di immigrati e rifugiati, alla denuncia e alla tutela di chi è sfruttato e vittima di tratta per prostituzione o lavoro, alla promozione dell’associazionismo, del volontariato tra i migranti, alla promozione della cittadinanza e della partecipazione alla vita sociale e politica, alla sollecitazione politica perché la dignità e diritti dei migranti e delle loro famiglie siano tutelati in Italia e in Europa. Sono centinaia le opere di carità che negli ultimi 25 anni, a partire da una massiccia immigrazione in Italia che l’ha vista ai primi posti al mondo per pressione migratoria, sono nate nelle diocesi, in parrocchia e negli istituti religiosi, nel mondo del volontariato cattolico: non semplicemente per un’esigenza di supplenza ai mancati servizi pubblici, ma per il ‘di più’ che richiede la carità cristiana”.

Passare dalla cultura dello scarto alla cultura dell’accoglienza ha detto il Papa: cosa significa concretamente?

“Passare dalla cultura dello scarto a quella dell’incontro, come ci ricorda Papa Francesco nel Messaggio per 100a  Giornata mondiale del migrante 2014, significa  investire nelle relazioni nelle nostre comunità e città; significa  educare all’accoglienza e all’incontro, per superare paure e distanze  nei confronti degli immigrati; significa investire in percorsi di lotta allo sfruttamento e alla discriminazione nei diversi luoghi della vita; significa, in una parola, riconoscere l’altro non come un nemico, ma come un fratello. Questa cultura della fraternità e della prossimità, che la figura del Buon Samaritano più volte ricordata da papa Francesco sulla scia dell’insegnamento del Concilio Vaticano II, è quella a cui indirizzare le nostre comunità cristiane nei diversi itinerari educativi. E’ ‘la cultura del noi’ richiamata dal card. Bagnasco, presidente della CEI, nella prolusione al recente Consiglio permanente, riprendendo anche le sollecitazioni del documento decennale della CEI ‘Educare ala vita buona del Vangelo’. Tutti sentiamo la fatica di riuscire a vincere l’individualismo che rischia di tenere le distanze dagli altri e che il Papa ci invita a superare per costruire un mondo migliore”.

 

 

 

Alcuni dati

 

Oltre 232 milioni di persone – più del 3% della popolazione mondiale – hanno lasciato il proprio paese nel 2012 per vivere in un’altra nazione, mentre nel 2000 erano 175 milioni.
In Italia all’inizio del 2013 risiedevano 59.685.227 persone, di cui 4.387.721 (7,4%) di cittadinanza straniera. La popolazione straniera residente è aumentata di oltre 334 mila unità (+8,2% rispetto all’anno precedente). L’incremento registrato negli anni, nota l’Istat, è dovuto principalmente all’apporto alla natalità dato dalle donne straniere. Infatti, di pari passo con l’aumento degli immigrati che vivono in Italia, anche l’incidenza delle nascite di bambini stranieri sul totale dei nati ha avuto una notevole crescita. Osservando i dati sulle iscrizioni anagrafiche si nota – si legge nel Rapporto Immigrazione Caritas Italiana-Fondazione Migrantes – come l’incremento degli stranieri residenti sia dovuto non solo al crescente volume delle nascite di figli da stranieri ma soprattutto al numero di iscritti dall’estero. Nel 2012, infatti, nonostante si sia registrata una comprensibile diminuzione del 9,3% degli iscritti dall’estero rispetto al 2011, il numero è stato comunque pari ad oltre 321 mila persone. Con riferimento al genere, l’Istat ha rilevato una costante crescita della componente femminile sul totale dei cittadini non italiani. Oggi le donne costituiscono il 53% degli oltre 4 milioni e 300 mila stranieri residenti in Italia anche grazie alle varie regolarizzazioni che hanno certamente favorito l’emersione di una rilevante quota di lavoratrici impiegate nel settore domestico.

Relativamente alle provenienze, l’immagine che si ottiene all’inizio del 2013 è simile a quella degli ultimi anni quando, tra gli stranieri, i cittadini romeni sono la principale collettività immigrata con un numero che si avvicina al milione di residenti pari al 21% del totale. Gli altri cittadini comunitari, invece, hanno percentuali molto più basse che non superano il 2,4% della Polonia. Quindi, in Italia ogni 10 cittadini stranieri residenti circa 3 sono comunitari.
Per quanto riguarda i cittadini non comunitari, invece, al 1 gennaio del 2013 sono risultati 3.764.236, di cui il 49,3% donne e il 24,1% minori. Sopra le 450 mila presenze si trova prima l’Albania e, a breve distanza, il Marocco. Seguono altre storiche collettività di stranieri che, nell’ordine, sono quella cinese, l’ucraina, la filippina e la moldava. Le prime cinque nazionalità rappresentano oltre il 50% del totale dei cittadini stranieri in Italia.

La distribuzione regionale conferma un dato ormai storico, che vede il 61,8% degli immigrati nel Nord, il 24,2% nel Centro e il 14% nel Sud e nelle Isole. La Lombardia si conferma la regione con il maggior numero di presenze (23,4%), seguita dal Veneto (11,1%), dall’Emilia Romagna (11,1%) e dal Lazio (10,9%). La provincia con il numero maggiore è, invece, quella di Roma che con l’8,7% supera quella di Milano (8,2%) e di Torino (4,5%). Il 35,8% del totale della popolazione straniera residente si concentra nei capoluoghi di provincia, soprattutto al Centro dove la percentuale sale al 43,9%. Con il 14,7%, la provincia di Prato ha la percentuale di incidenza più elevata sul totale della popolazione, immigrata e italiana.

 

 

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