Luce e gloria
La Festa della Presentazione del Signore ruota attorno al Tempio, luogo d’incontro di Dio con il suo popolo. Incontro atteso da secoli e invocato nella speranza che arrivi il vero e definitivo incontro. Vieni, Signore, nel tuo tempio santo: l’era messianica ha il suo inizio, Dio sta in mezzo al suo popolo, Gesù Cristo è l’esaudimento dell’attesa invocata. Nella Pasqua, l’umanità di Cristo diventa la “tenda perfetta” nella quale è possibile incontrarsi con Dio.
Chi è il Dio che entra nel tempio? E’ il nato Messia, la Sapienza divina, il compiacimento del Padre: è Lui il tempio di Dio! I genitori rappresentano il resto fedele dell’antico Israele.
Gesù è portato al tempio da Giuseppe e Maria per il tradizionale rituale connesso all’offerta del primogenito a Dio e alla purificazione della madre. Simeone e Anna, con la loro testimonianza, profetizzando, annunciano la presenza del Messia atteso da secoli.
Simeone: Non è un sacerdote del tempio, ma un “intruso” che sta per interpretare il ruolo di sacerdote-profeta. Però si tratta di un uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d’Israele, e lo Spirito Santo era su di lui (Lc 2, 25), è portatore di una lunga speranza nella venuta del Messia. La fede e la speranza risiedono in lui, la sua attesa è stata esaudita dalla Spirito che lo muove a interpretare il gesto che i genitori di Gesù stanno compiendo. Maria e Giuseppe sono guidati dalla legge, Simeone dallo Spirito. Egli lodando Dio, profetizza l’identità e la missione del bambino. Lo stupore in entusiasmo è così grande che per Simeone vivere e morire sono la stessa cosa. L’incontro sembra essere casuale, ma per l’uomo di fede niente è frutto del caso perché tutto è volere dello Spirito Santo.
Simeone non conosceva il bambino, ma lo prende dalle braccia dei suoi genitori, quasi a espropriarlo: quel bambino non appartiene soltanto ai genitori, ma all’umanità intera; nel Credo, infatti, professiamo: “…per noi uomini e per la nostra salvezza discesa dal cielo”.
Se i genitori presentano il loro figlio come “santo e consacrato” (cf Lc 1, 35), Simeone, che sta vedendo il Messia con i suoi stessi occhi, ora lo presenta al popolo come il Salvatore. Nelle sue braccia accoglie la speranza realizzata e, finalmente vede, nella contemplazione della fede, colui che i profeti e i re avevano desiderato vedere. La visione degli occhi fiorisce in canto sulle labbra di Simeone. Il suo cantico è professione di fede che proclama la missione salvifica di Gesù e riferisce a lui gli antichi attributi di Dio: Luce e Gloria, ormai presenti sulla terra e proiettate verso l’universalità. Se il Messia proviene da Israele, la sua missione si apre verso tutti i popoli. Se a Betlemme gli interrogativi riguardavano l’identità del neonato Bambino, a Gerusalemme puntavano lo sguardo sul suo destino suscitando lo stupore di Giuseppe e Maria. Simeone benedice i tre pellegrini con il gesto sacerdotale che indica saluto di addio e invio in missione.
La reazione dei genitori di Gesù è stupore d’attesa. La profezia annuncia che la missione del bambino sarà segno di contraddizione e di divisione, pietra d’inciampo per molti e d’appoggio per altri, a seconda della fede o dell’incredulità del popolo, rivelando inoltre che l’opposizione nei suoi confronti raggiungerà il suo acme nella sua morte violenta. Attorno a Gesù si giocheranno i destini della libertà umana. Gesù, pur essendo il Messia Salvatore, è “rovina” per quanti lo rifiutano, e “risurrezione” per quanti l’accolgono.
Maria, madre di Gesù che è Luce per illuminare le genti e Gloria del popolo d’Israele, è compartecipe del Figlio, che è segno di contraddizione, lasciandosi trafiggere dalla spada. La Parola di Dio è spada che, tagliando, purifica e giudica i pensieri dei cuori (cf Ebrei 4, 12). Per Simeone, profeta del mistero pasquale, la croce è simbolo della prova drammatica che subirà Maria: il Figlio sarà rifiutato e crocefisso. La Madre di Gesù diventa simbolo della Madre Chiesa associata alla Passione del suo Salvatore.
Portando al Tempio il Figlio, Maria inaugura la missione offrendo per tutti il vero Agnello: lo offre al Padre, senza riscatto, come Vittima; lo dona a Simone e ad Anna come dono del Padre; lo presenta al mondo come Luce che illumina l’universo.
Anna, profetessa di ottantaquattro anni (cifra simbolica della perfezione della vecchiaia: 7 x 12), di lunga vedovanza, dedita al culto, fedele ai digiuni settimanali, appartiene al gruppo degli anawim, cioè, a quei poveri di Dio che, aspettando la venuta del Messia, portano in sé tutta la speranza d’Israele. E’ la donna saggia e pia che interpreta il senso profondo di quell’evento e diventa testimone e annunciatrice. L’oggetto della sua speranza è definito con una parola pregna di significato: “riscatto”, che nell’AT esprime “redenzione”, cioè, la grande liberazione dell’esodo in cui a Israele viene data la libertà. Immersa in questa nuova realtà salvifica, Anna si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme (Lc 2, 38). Al tempio di Gerusalemme avviene di più che un semplice adempimento della legge. Gli attori non sono sacerdoti, ma gente comune. Maria non ha bisogno di “purificazione”, né Gesù di “riscatto” perché è Lui che riscatta gli altri.
La Presentazione al tempio è “offertorio” di una primizia, ma anche anticipazione che prelude l’offerta che Cristo avrebbe fatto sulla croce, offerta sacrificale e salvatrice anticipata sacramentalmente nell’ultima Cena.
L’Esortazione Apostolica Marialis cultus, sulla Festa del 2 febbraio, così ci istruisce: “Perché sia pienamente colta tutta l’ampiezza del suo contenuto, la festa deve essere considerata come memoria congiunta del Figlio e della Madre, cioè celebrazione di un mistero di salvezza operato da Cristo, a cui la Vergine fu intimamente unita quale Madre del Servo sofferente di Jahvé, quale esecutrice di una missione spettante all’antico Israele e quale modello del nuovo popolo di Dio, costantemente provato nella fede e nella speranza dalla sofferenza e dalla persecuzione (n. 7).
San Sofronio, vescovo, ci esorta con queste parole ad accogliere Cristo, Luce viva ed eterna: “Noi tutti che celebriamo e veneriamo, con intima partecipazione, il mistero dell’incontro del Signore, corriamo e muoviamoci insieme, in fervore di spirito, incontro a lui. Nessuno resti escluso da questo splendore, nessuno si ostini a rimanere immerso nel buio. Riceviamo esultanti nell’animo, col vecchio Simeone, la luce sfolgorante ed eterna (Discorsi PG 87, 3, 3291-3293).