Il CUAMM rende omaggio a Carlo Mazzacurati

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Mercoledì 22 gennaio è deceduto, per malattia, a 57 anni a Monselice il regista Carlo Mazzacurati, dopo aver ultimato il suo ultimo film ‘La sedia della felicità’, con Valerio Mastandrea, Isabella Ragonese, Silvio Orlano, Antonio Albanese, Giuseppe Battiston, in uscita ad aprile, che racconta la storia di due personaggi spaesati e malinconici, che abitano in un Veneto meno florido con una ripresa economica ogni giorno più lontana.

In una regione e in un mondo dove tutto va in panne, si rompe e si spezza, dove anche i traghetti alle fermate sembrano incapaci di ripartire, un’estetista e un tatuatore restano invischiati in qualcosa che non avevano previsto e che ha a che fare con la riscoperta dei sentimenti e dell’amore. Con garbo surreale, la commedia dinamica di Mazzacurati cambia lo stile di versificazione del suo cinema, sperimentando una scansione del racconto che pratica leggerezza e sorriso.

Mi ero appassionato ai suoi film, vedendo il film ‘Il toro’ (dopo il successo de ‘Il prete bello’), che nel 1994 aveva vinto al Festival di Venezia; iniziava a raccontare la crisi economica italiana: due allevatori cassintegrati, quasi in risarcimento della negata indennità di licenziamento, rubano Corinto, campione taurino di riproduzione che vale un miliardo, per venderlo all’Est, dove il toro diventa l’emblema del capitalismo occidentale.

Nel 1996 dirige il film ‘Vesna va veloce’, raccontando la storia di una ragazza della Cecoslovacchia arrivata in Italia in cerca di ‘fortuna’ ma finita nel giro della prostituzione: anche qui il regista, riprendendo il tema del film precedente, fa una lucida analisi sulla nostra attitudine all’accoglienza, senza retorica. Mazzacurati dirige altri film di ‘impegno sociale’ con piccole venature di commedia con ‘L’estate di Davide’ (1998) e ‘La lingua del santo’ (2002) fino al documentario ‘Medici con l’Africa’, realizzato insieme alla ong ‘Medici con l’Africa Cuamm’ presentato al Festival di Venezia nel 2012:

il film inizia nella sede storica di Medici con l’Africa Cuamm, nel centro di Padova e racconta la storia della ong attraverso la narrazione di don Dante Carraro, sacerdote e cardiologo, e di don Luigi Mazzucato, direttore dal 1955 al 2008. Un lavoro enorme, che il documentario presenta con un asciutto reportage girato in Africa, lasciando la parola a medici e pazienti, ad adulti e bambini. Numerosi medici raccontano le loro esperienze, i loro entusiasmi e i loro fallimenti. Nelle note di regia, lo stesso Mazzacurati afferma:

“E’ stato un lavoro realizzato in modo rapido e impulsivo, senza nessuna strategia né prima né durante le riprese. L’idea che ho seguito è stata quella di raccontare un mondo che non conoscevo man mano che lo scoprivo, in tempo reale. Il film è la storia di un gruppo di persone che si occupa di portare salute in Africa e del loro modo un po’ speciale di farlo. E’ venuto fuori un ritratto collettivo, credo, dove ciascuna individualità è fondamentale, ma dove esiste uno spirito comune molto forte che fa convivere tenacia, capacità di sacrificio con dolcezza e anche ironia.

Influenzato da questo loro stile ho cercato anch’io di fare un film ‘leggero’ per quanto sia possibile su di una materia comunque drammatica come la questione della salute nell’Africa subsahariana… Da padovano non conoscevo il Cuamm. E’ una responsabilità mia, ma in parte anche loro. Per questo ho accettato di trovare un modo per raccontare questa storia, fatta di tante piccole storie”. Ricordando Carlo Mazzacurati, il presidente di ‘Medici con l’Africa Cuamm’, don Dante Carraro ha affermato:

“Per noi di Medici con l’Africa Cuamm Carlo era diventato prima di tutto un amico. Dai primi incontri abbiamo respirato con lui aria di casa, pulita e semplice, generosa e attenta alle ‘periferie esistenziali e geografiche’. Si scherzava, si rideva, si discuteva sull’Inter, si ironizzava sulle mancanze nostre e dell’umanità, si godeva insieme delle cose e delle persone buone. E poi l’Africa. In quel film, fin dalla prima volta, in quei volti e in quelle storie, abbiamo sentito pulsare la nostra vita, limitata e coraggiosa, fragile e tenace.

Carlo carissimo ti abbracciamo forte. Al lungo e caloroso applauso che ti abbiamo rivolto in quel pomeriggio al Palabiennale di Venezia, oggi, si uniscono le danze, i salti e i canti dei bambini e dei giovani africani che hai raccontato con noi. Tutti insieme per dirti il nostro grazie!”

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