Abbiamo lasciato il campo cantando: le lettere di Etty Hillesum

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Agosto 2009. Nel caldo afoso e nel chiasso obbligato  dei saloni della Fiera di Rimini, dove si svolge, come ogni anno, il Meeting organizzato da Comunione e Liberazione, succede qualcosa di simile  ad un piccolo miracolo. In una saletta buia, davanti ad un palcoscenico in cui si esibisce un’unica, giovane attrice, spariscono caldo, sudore, rumori e stanchezza. Rimane solo la voce dell’attrice rende viva e presente un’altra ragazza, morta molti anni prima, in un campo di concentramento. Nell’adattamento di Marina Corradi, infatti, brani tratti dal Diario di Hetty Hillesum ricompongono un’esistenza attraversata dalla tragedia e dal Male, ma non piegata da essi. Al contrario, vibrante di speranza, di gioia di vivere, di senso. A Rimini, grazie a quello spettacolo, imparammo a conoscere la piccola, grande Etty e oggi, nella ricorrenza della Giornata della Memoria, per non dimenticare gli orrori della Shoah, ripensiamo a lei, grazie anche alla recente uscita di un volume che ne raccoglie le lettere dal 1941 al 1943. Il libro si intitola appunto Lettere di Etty Hillesum (edizioni Adelphi, euro 22). E, come per il Diario, anche queste pagine, che giungono da uno dei periodi più bui della storia dell’umanità, sono intrise di amarezza e insieme di tenerezza, da comunicare un senso di serenità e di speranza. Qualcosa che non ci si aspetterebbe, appunto, trattandosi di una testimonianza che proviene da quel baratro della Storia.

Esther , chiamata affettuosamente da tutti Etty, era nata nel 1914 in Olanda, in una famiglia della borghesia ebraica intellettuale. Nel 1939 si era laureata in Giurisprudenza ad Amsterdam e nel marzo del 1941 aveva iniziato a scrivere il suo diario, annotando la sua trasformazione spirituale e le proprie vicende umane, fino al momento del trasferimento nel campo di Westerbork, dove il governo olandese decise di riunire i rifugiati ebrei, tedeschi o apolidi, dei Paesi Bassi, pensando ad una loro futura riemigrazione. Il 1 luglio 1942 il campo passava invece sotto il comando tedesco, diventando luogo di raccolta per gli ebrei prigionieri diretti ad Auschwitz, dove morirà anche Etty, a 29 anni.

Nelle lettere che lei si ostina a scrivere, fino all’ultimo minuto, si potrebbe scrivere, vibra sempre e costante  il suo amore per la vita, lo sguardo attento e concreto verso tutto quel che la circonda, la fede, sempre più profonda, nonostante l’orrore che si fa quotidiano, un abisso inimmaginabile, nel quale lei però non guarda, e non se ne lascia irretire. Sa che, nonostante tutto, più forte di ogni cosa è l’amore, a cui resta l’ultima parola. Quello che le ha permesso di scrivere quell’ultimo biglietto raccolto fuori dal vagone ferroviario che la trasporta verso le camere a gas e in cui si legge: “Abbiamo lasciato il campo cantando”. Sì, è possibile andare verso la morte, cantando. Perché quella non è l’ultima parola, l’ultimo atto.

 

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