Papa Francesco a San Paolo Fuori Le Mura, per un anniversario importante
Papa Francesco sarà nella Basilica Romana di San Paolo Fuori le Mura questo pomeriggio, a concludere la Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani con la celebrazione dei Vespri. Una tradizione, quella di concludere la Settimana di Preghiera per l’Unità proprio nella Basilica retta dai benedettini da 1300 anni, e con uno spirito ecumenico tale che Benedetto XVI volle assegnarle il compito speciale dell’ecumenismo. E non è un caso che proprio lì, nella stessa occasione e nella stessa data, 55 anni fa Giovanni XXIII volle annunciare l’indizio del Concilio Ecumenico Vaticano II.
Al tempo, Giovanni XXIII aveva raccolto quelle che da anni erano le aspettative di un nuovo Concilio nelle sue esperienze da diplomatico all’estero. Riguardo i curiali che gli facevano notare come non ci fosse bisogno di un Concilio, Giovanni XXIII sottolineava: “Loro non sono stati fuori”. Ma è anche vero che di un nuovo Concilio si parlava da tempo all’interno delle Mura Vaticane. Lo aveva cominciato a preparare Pio XI nel 1922, e poi preferì aspettare che si risolvesse la questione romana, ovvero il contenzioso con lo Stato italiano. Ci aveva pensato anche Pio XII, che poi decise non se ne dovesse fare nulla, e così il Papa utilizzò il materiale preparatorio nei suoi discorsi.
Ma il profumo di Concilio si sentiva anche fuori dalle Mura Vaticane, e calava dalla penna di scrittori, intellettuali, prelati. Monsignor Celso Costantini, ad esempio, scrisse delle note intitolate poi Il Concilio. Sulla Convenienza di convocare un Concilio Ecumenico. “S’è parlato e scritto – diceva Costantini – di una presunta italinisation de l’Eglise. Un Concilio ecumenico dissiperà d’un colpo, tutte queste tetre nubi, facendo risaltare in faccia al mondo, anche a quello più disattento e ostile, le note caratteristiche della Chiesa, la sua unicità e cattolicità, la apostolicità e la santità”.
Giovanni XXIII ci aveva pensato, e a lungo, alla possibilità di una nuova assise conciliare. Ne aveva parlato con il suo segretario di Stato Tardini pochi giorni prima, e questi aveva seguito entusiasticamente la volontà del Papa. Ma nulla era trapelato fuori dalle mura vaticane, una cosa insolita per un Papa che amava invece lasciare andare confidenze quando parlava a tu per tu con le persone. “Merito di Tardini”, stabilì con certezza Benny Lai, che i palazzi vaticani li conosceva alla perfezione.
Il Concilio doveva essere ecumenico, e quale momento migliore della celebrazione in San Paolo Fuori le Mura?
Il Papa ci andava a concludere la settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani, una iniziativa nata all’inizio del 20esimo secolo sulla scia di alcuni isolati gruppi di preghiera per l’unità dei cristiani che si erano formati già nel XVII e XVIII secolo. In ambito cristiano, era stata inizialmente concepita come un momento di preghiera per la ri-unificazione di Anglicani e Protestanti con la Chiesa di Roma.
Ma lo spirito di questa settimana di preghiera era radicalmente cambiato durante gli anni Trenta del secolo scorso, quando l’abate francese Paul Irenée Couturier rivitalizzò la giornata. Considerato il padre dell’ “ecumenismo spirituale” (un termine particolarmente caro a Benedetto XVI), Couturier cambiò il senso della settimana di preghiera: non per la conversione degli erranti luterani e anglicani, quanto piuttosto per una reciproca riconciliazione tra tutte le persone che avevano ricevuto il Battesimo nella fede cristiana, perché il cammino dell’unità fosse portato avanti “secondo la volontà di Dio, e nel modo in cui vuole Dio”, dato che – sosteneva l’abate – “non preghiamo per la conversione ad una Chiesa, ma per la conversione a Cristo”.
Grazie a questo nuovo orientamento, molte confessioni cristiane, inizialmente riluttanti, si unirono alla Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani. Nel 1948 fu fondato il Consiglio Ecumenico delle Chiese, e la Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani era ormai diffusissima tra le confessioni cristiane di tutto il mondo.
La basilica di San Paolo Le Mura non è solo un luogo ecumenico per eccellenza, e per questo ideale perché il Papa vi concluda la Settimana. È il luogo adatto anche perché il 25 gennaio si festeggia la conversione di San Paolo. Un giorno ideale per annunciare un Concilio ecumenico.
Il 25 gennaio 1959 Giovanni XXIII si svegliò all’alba, pregò l’Angelus, celebrò la Messa in una cappella privata dopo aver assistito alla Messa celebrata dal suo segretario, e poi si mosse verso la basilica, dove avrebbe presieduto la Messa officiata dall’abate e vi avrebbe tenuto l’omelia.
Fu una celebrazione più lunga del previsto. Al termine, Giovanni XXIII chiese ai cardinali che erano presenti (erano 12) di tenere con lui un concistoro a porte chiuse improvvisato, nell’adiacente abbazia. Si cominciò poco dopo le 12. Ma già la Sala Stampa dell’Osservatore Romano aveva diffuso l’annuncio (l’embargo era previsto alle ore 12) e così successe che i cardinali seppero del Concilio dopo che le agenzie avevano già dato la notizia.
È un anniversario che rende ancora più importante la ricorrenza di oggi. In molti sperano che con Papa Francesco si respiri una nuova aria conciliare, e in molti auspicano addirittura un Concilio Vaticano III, magari da proclamare proprio oggi. C’è però ancora molto lavoro da fare perché il Concilio Vaticano II sia realmente compreso ed attuato. Benedetto XVI ha lavorato molto per l’unità dei cristiani, ed è stato un lavoro poco compreso. Anche la sua presunta apertura ai tradizionalisti rappresentava un modo per sanare la Chiesa dalle sue ferite interne, dai piccoli scismi che ne avevano minato l’unità, perché potesse essere ancora più credibile nel promuovere un movimento ecumenico internazionale.
Mentre Papa Francesco raccoglie il lavoro fatto dal predecessore e le simpatie del mondo ortodosso definendosi vescovo di Roma, mentre c’è grande attesa per la replica dell’abbraccio di Paolo VI e Atenagora a Gerusalemme (Papa Francesco lo farà con Bartolomeo I, 50 anni dopo), mentre lo stesso Bartolomeo I ha moltiplicato i propri impegni (e il sogno è quello di un concilio pan ortodosso); mentre, insomma, questi eventi si incatenano l’uno all’altro, vale la pena andarsi a rileggere quello che disse Giovanni Paolo II in una delle conversazioni in aereo raccolte da Angela Ambrogetti nel volume “Compagni di Viaggio” (Libreria Editrice Vaticana).
A vent’anni dalla fine del Concilio, Giovanni Paolo II aveva convocato un sinodo straordinario per riflettere sui frutti del Concilio. Un giornalista in aereo gli chiede se il tempo è maturo per un nuovo concilio, se ce ne sarà un altro durante il suo Pontificato. E il Papa rispose: “Ah no! Non penso, tutto è possibile, ma per realizzare questo ci vuole ancora tanto, ci vuole ancora tanto tempo, per una buona realizzazione, per un buon approfondimento, ci vuole molto tempo. La Chiesa è grande e ci sono tanti popoli, tanti ambienti, tante culture, tante tradizioni”.