Unità dei cristiani: intervista con don Cristiano Bettega della CEI
Nell’udienza generale papa Francesco ha parlato della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani: “Sabato scorso è iniziata la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, che si concluderà sabato prossimo, festa della Conversione di san Paolo apostolo. Questa iniziativa spirituale, quanto mai preziosa, coinvolge le comunità cristiane da più di 100 anni.
Si tratta di un tempo dedicato alla preghiera per l’unità di tutti i battezzati, secondo la volontà di Cristo: ‘che tutti siano una sola cosa’. Ogni anno, un gruppo ecumenico di una regione del mondo, sotto la guida del Consiglio Ecumenico delle Chiese e del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, suggerisce il tema e prepara sussidi per la Settimana di preghiera. Quest’anno tali sussidi provengono dalle Chiese e Comunità ecclesiali del Canada, e fanno riferimento alla domanda rivolta da san Paolo ai cristiani di Corinto: E’ forse diviso il Cristo?”
La data per la celebrazione della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani va dal 18 al 25 gennaio, data proposta nel 1908 da padre Paul Wattson, perché compresa tra la festa della cattedra di san Pietro e quella della conversione di san Paolo. A conclusione della settimana di preghiera abbiamo rivolto alcune domande a don Cristiano Bettega, direttore dell’Ufficio Nazionale per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso della CEI. Cristo non può essere diviso: questo è il titolo. Perché ancora tante divisioni?
“Le divisioni tra i cristiani sono una realtà dolorosa, dalla quale nessuna confessione cristiana trae beneficio: non può esserci una realtà cristiana autentica che non senta il disagio di fronte alle divisioni dei credenti in Cristo. Divisioni che hanno radici storiche molto profonde, difficili da comprendere esaustivamente e quindi difficili da cancellare pienamente. Mi permetterei però non tanto di sottolineare il persistere delle divisioni, che pur ci sono, ma piuttosto di far emergere con forza il cammino di incontro e di comprensione reciproca che le comunità cristiane hanno fatto soprattutto durante il secolo scorso e in questi primi anni del terzo millennio.
Credo che anche questa sia una conversione che ci viene chiesta dall’unico Signore: la conversione a valorizzare il positivo presente in ogni uomo e in ogni donna, e quindi la conversione a indicare ciò che già unisce i cristiani, a fronte di ciò che ancora li divide. Fino a prova contraria, condividiamo tutti la fede nello stesso Signore: quindi ciò che ci raccoglie già in una forma di unità è proprio la fede e la fede nel Dio di Gesù Cristo è tutt’altro che qualcosa di secondario nel nostro essere cristiani; anche se poi l’espressione, la celebrazione, la riflessione su questa fede ancora non sono pienamente concordi”.
Come arrivare alla comunione nella preghiera?
“Una certa comunione di preghiera con i fratelli cristiani di altre tradizioni e comunità in realtà è già un dato di fatto: al di là degli incontri ufficiali, lo è sicuramente in molte coppie di sposi che condividono la vita matrimoniale pur non condividendo la stessa appartenenza ecclesiale, e lo è anche in molte delle nostre case, abitate soprattutto da anziani, che si trovano a condividere le giornate con persone, più frequentemente collaboratrici, che provengono da Paesi dell’Europa orientale e che spesso portano con sé la tradizione cristiana ortodossa, ma che ciò nonostante si trovano a condividere anche una vita di preghiera. Credo valga la pensa sottolineare questi pur piccoli segni di una comunione già presente, in attesa di una comunione più grande, per la quale tutti preghiamo il Signore”.
Quanto è importante celebrare la Settimana per l’Unità dei Cristiani?
“Credo sia molto importante celebrare la Settimana di preghiera per l’Unità dei cristiani, arricchendola dove possibile di momenti di dialogo, di confronto, di conoscenza reciproca, di preghiera, ma tutto ciò ad una condizione: non resti una settimana isolata dal resto dell’anno, ma piuttosto divenga, se posso esprimermi così, la presentazione pubblica di uno stile di vita costante.
Indubbiamente è bello e consolante per alcuni giorni all’anno pregare perché la Chiesa di Dio sia realmente una, parlare di ecumenismo, di unità dei credenti in Cristo, riuscire ad organizzare qualche incontro, un momento di preghiera eccetera: ma tutto ciò acquista una credibilità maggiore se si traduce poi nel vissuto quotidiano dei credenti. Analogamente ad un gesto di carità: ogni atto di servizio e di amore disinteressato è nobile e da apprezzare, ma se è una costante nella vita dell’uomo allora diventa stile di vita, testimonianza magari silenziosa ma convincente”.
Le meditazioni sono state scritte da un gruppo ecumenico del Canada: quale invito ci fa?
“Le meditazioni sono l’espressione di un insieme di persone che cercano di vivere nell’unità la loro fede in Cristo, pur nella distinzione delle tradizioni e delle appartenenze di comunità. Il Canada vanta una lunga tradizione ecumenica, dovuta anche alla sua storia e alla compresenza soprattutto di cattolici e di protestanti, ai quali più recentemente si sono uniti anche molti cristiani ortodossi. Credo allora che l’invito più pressante che ci arriva da questo gruppo ecumenico del Canada sia quello di accorgerci che non è affatto impossibile vivere come cristiani gli uni a fianco degli altri, pur con diverse espressioni della fede comune, e che questo confronto può davvero trasformarsi in arricchimento reciproco”.
Quale dialogo è necessario in una società sempre più multiculturale?
“Credo prima di tutto il dialogo dell’accoglienza e del rispetto reciproco. Che non possono realizzarsi lì dove non ci sia anche conoscenza reciproca. Sono convinto quindi che il compito dei cristiani, di tutti i cristiani, sia quello di riscoprire questo aspetto fondamentale della propria vocazione di discepoli di Cristo: pregare e operare perché la Chiesa sia una, costruire ponti, pur con fatica, ma con la convinzione che questa è volontà del Signore: che ‘siano perfetti nell’unità’ (Gv 17,23). Certo, un passo alla volta: ma con la convinzione che ne vale davvero la pena”.