La Guardia Svizzera Pontificia, un servizio che è scuola di fede, parla l’ex cappellano ora vescovo a Losanna

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Fieri e maestosi, nella loro storica divisa, con il casco e l’ alabarda davanti al papa  in Piazza San Pietro o nella basilica. E alcuni di loro stanno pensando di farsi preti o addirittura di entrare in monastero. I cento ragazzi della Guardia Svizzera Pontificia, che ha compiuto 508 anni di vita, sono il fior fiore della gioventù elvetica. Cattolici, in regola con il servizio militare e con la legge, alcuni vengono a Roma anche per studiare, altri proprio servendo il papa, decidono di dedicare la loro vita a Dio. Non sono molti, uno o due l’ anno, ma in percentuale la Guardia Pontificia è il più grande bacino di vocazione della Svizzera.

“In Svizzera ci sono problemi per la formazione dei sacerdoti in particolare nella svizzera tedesca. Per questo molti studiano in altri paesi, un peccato perché il rischio è quello di perdere delle vocazioni per le nostre diocesi.” A raccontarci la spiritualità  delle guardie svizzere è il loro ex cappellano Alain de Raemy da poco nominato vescovo ausiliare di Losanna, Ginevra e Friburgo. Il 20 gennaio  ha celebrato la Santa Messa in onore di San Sebastiano, patrono del corpo. La celebrazione si è svolta nell’ Aula delle Benedizioni del Palazzo Apostolico. Tra gli invitati  i cardinali svizzeri Kurt Koch e Georges Cottier,  il Sostituto della Segreteria di Stato, Angelo Becciu, e il Prefetto della Casa Pontificia, Georg  Gänswein. Poi tutti nel cortile d’ onore per l’atto militare anche sotto la pioggia.

Alain de Raemy era  arrivato in Vaticano  a settembre del 2006 dopo una lunga esperienza pastorale come parroco, gli studi romani all’Angelicum e alla Gregoriana ( ma allora venire a San Pietro era una eccezione, dice), e naturalmente dopo aver svolto il servizio militare. Nella Guardia ha avuto il grado di colonnello, e la sua passione per i giovani lo rende sensibile ai problemi di chi magari  ha lasciato la Svizzera per la prima volta.

“Ognuno delle giovani recluta arriva da un contesto diverso, parrocchiale, familiare, di vita in Svizzera molto diverso. C’è chi ha avuto una vita di famiglia con l’impronta della fede e allora viene qui già a confermare la  fede e la voglia di scoprire la Chiesa universale ed essere vicino al successore di Pietro e già conosce la materia.

Altri arrivano da un contesto più fragile dal punto di vista delle fede, magari i genitori hanno trasmesso poco, allora arrivano con curiosità, voglia, apertura, ma senza sapere cosa li aspetta, senza essere preparati. E tra questi due estremi c’è una grande varietà  di casi, anche se la condizione per entrare nella Guardia è di essere cattolico, cresimato, raccomandato dal parroco, e del resto i parroci sono sempre contenti quando un giovane si presenta per andare a servire il Papa, e quindi la lettera del parroco alla fine non ci serve!”

 

Capita che chi magari arriva con una fede un po’ superficiale e poi grazie al servizio approfondisce la fede?

“Ma certo, già sono molto orgogliosi quando arrivano i parenti a vistarli, perché loro conoscono il Vaticano e il ruolo del Papa e le notizie del Papa, c’è già la fierezza di saperne di più. Certo c’è quello che davvero fa una scoperta della fede perché si stupisce anche di vedere tanti giovani, come magari non vedeva in Svizzera, che arrivano da tutto il mondo per vedere il Papa. Allora si fanno le domande, entrano in contatto con ragazze cattoliche che sono le mie migliori collaboratrici involontarie!”

Come si svolge la pastorale?

“I momenti fissi più forti sono quelli della scuola reclute il primo mese. Li ho con loro un’ora di catechesi ogni secondo giorno, quindi il 50 per cento delle scuola reclute. Poi ci sono gli esercizi spirituali in Quaresima. E per la maggior parte i ragazzi non hanno mai vissuto tre giorni senza telefono, internet e smartphone, solo pregando ascoltando e riflettendo. E quello è spesso anche il momento della prima confessione. Perchè in Svizzera c’è l’uso delle assoluzioni collettive, prevista dal codice di diritto canonico in caso di catastrofe, ma anni fa si faceva a Pasqua e Natale per la difficoltà di confessare tutti, ma ormai l’argomento non è più valido, ma tanto giovani non hanno mai fatto una confessione prima di ricevere i sacramenti. Per loro è una scoperta.

Poi c’è la messa la domenica, anche questo è per la prima volta un appuntamento davvero fisso.

Una volta al mese c’è l’appuntamento con il cappellano e con il comandante. Ed è una catechesi basata sugli eventi che hanno vissuto o su un documento del Papa che ha fatto reagire il mondo, insomma qualcosa di attualità.”

Alcuni restano solo  due anni altri rimangono più a lungo,  si impegnano anche fuori del servizio?

“Si certo, quelli di lingua francese in genere si impegnano con il Centro San Lorenzo che è guidato da una comunità di lingua francese e c’è un legame  che si rinnova di anno in anno, poi c’è un ragazzo di lingua italiana che è impegnato con gli scout di una parrocchia, e altri che accompagnano monsignor Krajweski l’elemosiniere, quando va a distribuire cibo per i poveri attorno al Vaticano e lo fanno anche con le Suore Albertine. Qualcuno ha partecipato alle attività di Comunione e Liberazione, poi ci sono altri che hanno contatto con i francescani e poi c’è stata la bella esperienza del volontariato nelle terre colpite dal terremoto in Romagna. Una idea nata dal maggiore Lorenzo Merga che conosceva il vescovo di Carpi, si sono organizzati in tre squadre a turno. I loro giorni liberi sono stati donati alla gente che ne aveva bisogno.”

E le vocazioni religiose ? Ce ne sono?

“Ci sono regolarmente due tre guardie  per anno che si indirizzano alla teologia, alla vocazione monastica e apostolica. Ce ne sono alcuni che arrivano già con una idea da approfondire e valutare e altri che invece scoprono la vocazione qui.

Ed è una percentuale molto alta di vocazioni dalla Guardia rispetto alla media svizzera. Siamo il fornitore più grande di vocazioni per la Svizzera. E poi ci sono le vocazioni alla vita familiare, tanti poi si impegnano nella vita parrocchiale e nella Chiesa in genere.”

C’è chi esce dagli anni di servizio invece amareggiato?

“Si certo, in piccola parte, dai trenta che escono ogni anni in media una rimane scontento deluso. Molti sono contenti di aver finito i 2 anni di servizio, ma poi sono quelli che per primi ritornano pieni di nostalgia. Avevano solo un po’ di stanchezza del servizio, ma l’esperienza è in effetti positiva. Nel contatto con il Santo Padre si rendono conto che è una cosa speciale che viene dalla fede, che viene da Gesù che la scelta di un apostolo in particolare e da qual punto li si aprono a tutte le dimensioni della fede. Ma davvero il punto di partenza è il ministero del successore di Pietro al quale vengono così legati.”

E per lei che tipo di esperienza di fede ha vissuto in questi anni?

“Un apprendistato grande del cammino dei giovani. Perché in parrocchia li vedi  nei gruppi, ma qui ho vissuto con loro e questo confronto quotidiano con giovani sempre nuovi è stata una lezione anche su come fare il discernimento, anche su come essere  un direttore spirituale di un gruppo,  ma anche di ognuno che è un caso unico e quindi distinguere tra quello che serve a tutti e quello che è il bene di ognuno. Ho imparato molto. Quello che è più difficile è il rapporto tra le famiglie che sono molto diverse tra loro e hanno bisogno di altro che solo la vita interna in caserma. E poi si impara la disponibilità permanente, è quello che viene chiesto al cappellano soprattutto.”

Del resto il servizio stesso della Guardia Svizzera Pontifcia è un servizio di fede.  Il loro intervento implica sempre la fede. L’ immagine che rappresentano è di un cattolico convinto che difende il Papa, ma dietro c’è gente molto diversa con tante sfumature.

Ma alla fine stare nella Guardia Svizzera Pontificia fa bene ai ragazzi che arrivano a raccogliere sensazioni, a servire il Papa con una fedeltà segnata dal giuramento, e offre anche a chi è in difficoltà la possibilità di interrogarsi sulla fede e riflettere sulle scelte di vita e sulla vocazione religiosa: acriter et fideliter come recita il motto della Guardia.  Del resto proprio il cappellano nella cerimonia del giuramento del 2007 aveva detto:“Sacrificare la vita non significa solo morire, ma anche offrire giorno per giorno tempo ed energie per il vicario di Cristo, per la Chiesa: una vera vocazione!”

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