Epifania a Cana
Il Vangelo di Giovanni rivela il Mistero attraverso segni. Il miracolo non viene chiamato dynamis, cioè atto di potenza, ma semeion, cioè segno che orienta il senso che bisogna discernere nell’opera che Dio compie, segno che dimostra e suscita fede, segno espressivo che manifesta la Gloria di Colui che lo compie e il cui obiettivo primario è sempre la fede. L’opera è compiuta per manifestare una realtà che viene dall’alto: la Gloria. Le nozze di Cana, per Giovanni, sono il primo e il prototipo dei sette segni che Gesù compie durante la sua missione. È segno che designa una realtà originale ed esemplare: rivela la Gloria del Figlio, conduce alla fede nel Figlio e simboleggia la gratuità e la sovrabbondanza della vita che Dio comunica all’uomo. Il racconto presenta simbolicamente le nozze tra Dio e Israele suo popolo. Nella cornice della festa nuziale, Gesù e la Madre sono posti di fronte all’Ora, culmine dei tre momenti in cui Giovanni attesta la presenza di Maria associata amorosamente al Figlio: quando viene nel mondo, quando dà testimonianza di sé al mondo, quando offre la vita per la salvezza del mondo.
L’intervento di Maria alle nozze di Cana stupisce e sorprende. Venuto a mancare il vino, con intuizione attenta e decisione materna, si rivolge al Figlio e gli dice: Non hanno vino (Gv 2,3). Ella mette nel cuore di Gesù la miseria d’Israele che quella mancanza simboleggia in modo forte. Maria si rivela così, non solo madre attenta per chi si trova nel bisogno, ma anche Colei che affida la sua preghiera di preoccupazione alla volontà del Figlio. Non dice semplicemente: «Non c’è più vino», ma dichiara il disagio in cui si trovano i figli: essi «non hanno vino». Prende così a cuore la sofferenza del suo popolo, si preoccupa, previene e invoca, rivelando la coscienza di una mancanza più profonda, quella di ciò che il vino simboleggia: la pienezza della gioia d’amore fra lo sposo e la sposa e la divergenza tra il vino di cui Maria segnala il bisogno e il «vino nuovo» che sarà offerto nell’Ora di Gesù.
La risposta che Gesù dà è un interrogativo semitico intraducibile, che acquista significato dal tono e dal gesto con cui è accompagnato: Tì emoi kai soì, che vuol dire: Che cosa (c’è) tra me e te?, cioè , cosa vuoi da me? Il vero senso si deduce dal contesto in cui la frase è collocata. Non si tratta, certo, di una risposta contro la madre, dal momento che Gesù accoglierà il suo desiderio. Gesù lascia intendere che, se agirà, non lo farà per un intervento umano, fosse anche quello di sua madre, e neppure per togliere gli sposi dal disagio, ma lo compirà soltanto in rapporto a quell’Ora.
È da notare, inoltre, che Gesù, rivolgendosi alla madre chiamandola Donna, appellativo insolito da parte di un figlio che chiama la madre, non lo fa per un certo distacco irriverente, ma per dare al termine il valore fortemente elogiativo che esso assume in determinate situazioni. Un figlio, normalmente, chiama la mamma immà e abbà il papà, usando i termini della tenerezza filiale e confidenziale. Nel Vangelo notiamo che, quando Gesù parla di sua madre, eleva sempre le prospettive degli uditori. Infatti, alla donna che proclama beata la maternità di Maria, egli risponde: Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano! (Lc 11,27). Ecco, dunque, la risposta: Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora (Gv 2,4). Nel chiamarla “Donna”, Gesù ha davanti a sé, non solo l’Israele che gli ha dato la vita umana, ma Sion che attende e spera il tempo definitivo della salvezza.
L’Ora non è appuntamento cronologico, ma teologico. Il termine, usato nella letteratura apocalittica, indica il momento in cui si compirà in modo definitivo il disegno di Dio. L’Ora di Gesù è il momento finale della sua esaltazione e glorificazione sulla croce. In funzione di quest’Ora, fissata dal Padre, Gesù orienta e indirizza tutta la sua attività, perché proprio in essa culminerà la sua missione. Alle soglie della morte, Gesù stesso risponderà ad alcuni suoi discepoli: È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato…Adesso l’anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre, salvami da quell’ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest’ora! (Gv 12,23.27). Nel cenacolo, Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine (Gv 13,1). E nel momento drammatico prima dell’arresto, alzando lo sguardo al cielo così prega: Padre, è venuta l’ora: glorifica il Figlio tuo perché il Figlio glorifichi te (Gv 17,1).
Alla luce di quest’Ora, s’illumina e si chiarisce la risposta che Gesù dà alla Madre. Egli vuole che il gesto di cambiare l’acqua in vino sia strappato alla semplice necessità materiale e sia trasferito nella luce della sua opera di salvezza che, nell’ora della croce e della gloria, ha il suo pieno compimento e la sua definitiva attuazione. Cana, così, punta lo sguardo sul Calvario.
Maria non risponde direttamente al Figlio, ma dice ai servi: Qualsiasi cosa vi dica, fatela (v. 5). Ella, ponendo la sua fiducia incondizionata nel Figlio, orienta se stessa e gli altri verso il Figlio e chiede all’uomo docilità perfetta alla volontà di Dio. È l’atteggiamento d’Israele che, in tutte le prove attraversate, non si stanca mai di ripetere: Tutto ciò che ha detto Jhwh noi lo faremo (Es 19,8). Maria è quell’Israele che accoglie le condizioni ancora sconosciute della nuova e definitiva Alleanza che Dio stringerà con il nuovo Israele mediante Gesù. L’Ora di Gesù è, dunque, l’inizio del suo ministero di manifestazione della Gloria di Dio attraverso il prototipo dei segni. Da parte sua, il Fiat di Maria rimane nella storia di Dio e degli uomini come modello esemplare di ogni adesione entusiasta e integrale, così come la sua divina maternità verginale è, in ogni tempo, preziosissima intercessione presso il Figlio. La risposta di Maria, a chi la ama e la prega, a chi si raccomanda e Le si affida, sarà sempre la stessa: Qualsiasi cosa vi dica, fatela (v. 5).
Ed ecco l’evento, che non è solo prodigio, ma segno: Riempite d’acqua le anfore (v. 7). Il vino nuovo non si può dissociare dall’acqua. Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto (v. 8). L’acqua della primitiva creazione, l’acqua dell’Antica Alleanza, passa nella Nuova Alleanza, come l’acqua passa nel vino. Cristo trasforma la Rivelazione dell’Antico Testamento nella Rivelazione del Nuovo, che è Lui stesso. L’acqua della Legge antica è trasformata nel “vino nuovo” del Vangelo. Il quarto Vangelo mette in guardia dal vivere una fede fondata soltanto sui miracoli e che pretenderebbe di fondarsi su ciò che è verificabile e sfuggire così al rischio che essa comporta (cfr. Gv 2,23-25; 4,48-49). Il “segno” giovanneo, al contrario, è mezzo di rivelazione offerto a chi sta compiendo un cammino di fede. Se per lo scettico, il segno è spettacolo insignificante, per Giovanni è elemento profetico significante: indica ciò che prova, rivela ciò che insegna, proietta oltre il fatto compiuto. Il senso profondo delle nozze di Cana sta, dunque, nel riconoscere, attraverso l’evento straordinario, l’inaugurazione delle Nozze messianiche mediante le quali il Verbo fatto Carne dona la pienezza di grazia e di verità. Dando così inizio alla rivelazione piena e perfetta, lo Sposo celeste si unisce nuzialmente alla comunità escatologica che è la Chiesa.
L’acqua della legge mosaica acquista il suo vero significato solo quando è trasformata nel «vino nuovo e buono» del Vangelo. «Vino» che continua a scorrere dal costato trafitto del Signore crocifisso verso quei credenti che, con fiducia, volgono lo sguardo a Lui (cfr. Gv 19,34-37) che continua a dirci: Prendete, bevetene tutti perché questo è il mio sangue dell’Alleanza che è versato per molti per il perdono dei peccati (Mt 26, 27-28). Il «vino nuovo» dell’agape messianica ci introduce a vivere nel mistero del Regno.
La prima manifestazione della Gloria di Gesù passa attraverso la Madre. Ella sa che il Figlio è «Grazia e Verità», ecco perché Gli espone la situazione incresciosa e a Lui l’affida. Non sa cosa farà il Figlio, ma sa cosa manca agli sposi. Lo sguardo di Maria non è quello di chi si accorge, va a cercare il colpevole, punta il dito, accusa e castiga. Maria non è colei che vede il disagio, se ne compiace e lo indica pubblicizzandolo con gesto malizioso e deridente. Maria è la Madre che consegna la situazione delicata all’Unico che può e vuole provvedere a risolverla. La Chiesa, di cui Maria è icona, non può agire diversamente! Le nozze di Cana diventano così simbolo dell’unione nuziale di Dio col popolo d’Israele, di Cristo con la Chiesa, del Verbo divino con l’umanità.