Il Sacro Cuore di via Marsala, la casa dei rifugiati

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“Questa non è una scuola, né uno sportello del lavoro. È una casa”. Lo dice sempre suor Mariana, una delle quattro suore missionarie di Cristo Risorto che animano il servizio missionario con i rifugiati nella Chiesa del Sacro Cuore di Roma, a via Marsala. Lì Papa Francesco andrà in visita domenica, proprio per incontrare i rifugiati, per vedere il lavoro che viene fatto nella chiesa salesiana che fu l’ultima opera di don Giovanni Bosco in vita.

È un giovedì sera nella sede delle Suore Missionarie di Cristo Risorto. C’è via vai di persone nel portone di via Magenta, l’altra strada da cui si accede al complesso di via Marsala. I Muhammad, Abdallah, Dahir arrivano a scaglioni, suonano al citofono, entrano nelle aule, ascoltano la lezione di italiano. Alcuni sono emozionati: tra qualche giorno potranno incontrare il Papa. Sami sta limando il discorso che terrà davanti al Santo Padre, suor Mariana gliene “ruba” due righe per meglio spiegare il lavoro che fanno nella comunità. Intanto, un piatto pieno di fette di panettone fa la sua comparsa tra la segreteria e le aule. Tutti ne prendono un pezzo.

Suor Mariana ha 43 anni. Non porta l’abito (la sua congregazione, nata in America Latina le permette di non vestire da suora), ma quel giorno ha più comodi jeans e scarpe da ginnastica. Ha una passione straordinaria per il lavoro che fa con i rifugiati. “Abbiamo iniziato nel 2009 – racconta – e prima di far partire la nostra ‘missione’ con i rifugiati, abbiamo cercato di capire di cosa i rifugiati avessero veramente bisogno”. Comincia così un lungo sondaggio. Le quattro suore, insieme ad una decina di volontari, vanno personalmente nei luoghi dove stanno i rifugiati, palazzi occupati nelle zone periferiche di Roma, a Collatina, Anagnina. E comprendono che quello che manca non sono i servizi di prima assistenza. Manca piuttosto tutto il lavoro di inserimento sociale.

Spiega suor Mariana: “Abbiamo individuato tre necessità: l’inserimento sociale attraverso la formazione al lavoro, tramite l’amicizia, e poi l’accompagnamento spirituale”.

L’orientamento al lavoro è quello che si fa con le scuole di italiano, ad esempio. “Il nostro – spiega suor Mariana – non è uno sportello di lavoro. Noi non troviamo lavoro ai rifugiati. Noi piuttosto mettiamo i rifugiati in condizione di trovare un lavoro. Insegniamo loro l’italiano, perché questa è la prima condizione di inserimento sociale. Facciamo corsi per insegnare loro a cercare lavoro attraverso Internet. E cerchiamo di professionalizzarli. Arrivano in molti, e magari hanno già una professione alle spalle, la sanno svolgere. Ma un falegname pakistano non è considerato un falegname in Italia senza un qualcosa che ne certifichi la capacità. Noi cerchiamo questo tipo di corsi, li segnaliamo a quanti orbitano nella nostra iniziativa missionaria, e mettiamo loro in condizione di cercarsi un lavoro”.

A via Magenta la sera passano persone di una quindicina di nazionalità diverse. Moltissimi sono di colore, provengono dal Corno d’Africa, dall’Etiopia. Molti vengono dal Pakistan e dall’Afghanistan. E ultimamente si sono aggiunti i rifugiati provenienti da Siria ed Egitto. Sono circa 200 al momento. Tutti giovani, tra i 23 e i 30 anni. Quasi tutti maschi (il 90 per cento). Tutti incredibilmente a loro agio.

“Le suore vogliono che questa sia una casa, e lo è veramente”, spiega Elisa, 30 anni, una delle volontarie. Elisa viene dalla provincia di Enna, è arrivata a Roma per studiare relazioni internazionali, e si è ritrovata prima al Centro Mondialità e poi a fare una esperienza di missione in Etiopia, prima di decidere per cinque mesi di entrare nella “missione Europa”, ovvero di stare lì con le missionarie e dedicarsi per un po’ anima e corpo al progetto. Ha insegnato italiano ai rifugiati, ora fa soprattutto lavoro di segreteria. Racconta: “Ci siamo riuniti con tutti i volontari la scorsa settimana, per preparare l’incontro con il Papa. Ognuno di noi ha scritto una frase, le abbiamo raccolte in una lettera. Io ho lasciato al Papa una domanda sul significato della sofferenza”.

Chiara, 23 anni, studentessa di giurisprudenza “pescata” dall’infaticabile suor Mariana a Roma 3, scherza: “C’era un rifugiato che voleva suonare il bongo davanti al Papa. Magari dirò al Papa se può fare una Messa con i bonghi…” E poi, più seria: “Vorrei dire al Papa che dopo tutta la sua attenzione nei confronti dei rifugiati, sarebbe bello che ora dicesse cosa la Chiesa concretamente fa”.

Non c’è un momento per parlare con tranquillità. Continuamente suona il citofono, qualcuno si aggiunge alla lezione, altri entrano in ufficio, prendono gli indumenti che le suore hanno raccolto. Negli anni, i volontari si sono moltiplicati. Una decina nel 2009, quando hanno iniziato, ora suor Mariana sostiene che “ce ne sono circa 70”, e addirittura Elisa si spinge a contarne 200 basandosi sull’ultima riunione generale, che però forse raccoglieva tutti i volontari che sono passati di là.

Con tutti, i rifugiati creano un rapporto di amicizia e di fiducia. “La parte dell’amicizia è importantissima”, sottolinea suor Mariana. Ogni mese c’è una gita, un cineforum e una festa. Non sono destinate solo ai rifugiati che orbitano intorno al Sacro Cuore, sono destinate a tutti. “Non abbiamo mai meno di 15 Paesi rappresentati”, dice suor Mariana, con una certa soddisfazione. Questo “crea amicizia con gli italiani, crea quei circuiti di fiducia che permettono l’inserimento dei rifugiati e permette loro anche di trovare anche più facilmente lavoro. Perché in fondo il lavoro si trova con le amicizie, e con i rapporti di reciproca fiducia che si vanno a creare”.

I giovani rifugiati sorridono, ma hanno storie durissime alle spalle. I nomi non si possono dire. Però suor Mariana ricorda di un rifugiato insieme al quale è andata al cinema a vedere il documentario “Mare Chiuso”, e che di fronte alle strazianti condizioni dei rifugiati descritte si è messo a piangere. “Io le ho vissute quelle cose”, ha detto alla suora.

A tutti i rifugiati, viene data anche una assistenza spirituale. Perché l’amicizia e la fiducia cresce con la conoscenza reciproca della propria fede. “Facciamo incontri interreligiosi, leggiamo insieme la Bibbia e il Corano, sono occasioni di reciproco arricchimento per noi”, dice suor Mariana. Accade che qualcuno si converta, ci sono dei ragazzi che stanno facendo il percorso verso il Battesimo. “Ma la conversione – sottolinea suor Mariana – non è il nostro obiettivo. Può succedere, ma non è il nostro obiettivo”.

pubblicato su La Sicilia il 19 gennaio 2014 

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