Aids, allarme sommerso. L’Istituto di Sanità: “La soluzione in Africa non è il condom”

Se negli anni 90 solo una persona su 5 (20%) veniva a conoscenza del proprio stato di sieropositività all’Hiv al momento della diagnosi di Aids, oggi questo avviene quasi nel 60% dei casi. Sarebbero ben 120 mila gli italiani sieropositivi che ignorano di esserlo e arrivano troppo tardi al test. Un sommerso enorme messo in evidenza oggi da Stefano Vella dell’Istituto superiore di sanità. Il quale dice: “Per motivi completamente diversi da quelli espressi dal papa, penso come lui che la soluzione all’Aids in Africa non è nei preservativi. Non è facile introdurre il condom nel continente”.
HIV / AIDS – Se negli anni 90 solo una persona su 5 (20%) veniva a conoscenza del proprio stato di sieropositività al momento della diagnosi di Aids, oggi questo avviene in più di un caso su due, in pratica quasi nel 60% dei casi. Si stima che siano ben 120 mila gli italiani sieropositivi che ignorano di esserlo e arrivano troppo tardi al test. Un sommerso enorme che è stato messo in evidenza oggi da Stefano Vella dell’Istituto superiore di sanità, e che sarà affrontato domani all’Hiv Summit Italia 2009 alla presenza dei politici e dei massimi esperti italiani della malattia.
“Chi vive nel Sud e nelle isole ha una maggiore probabilità di arrivare tardi al test rispetto a chi vive al Nord- spiega il responsabile del dipartimento del farmaco dell’Iss- mentre gli stranieri sono in assoluto coloro che hanno il rischio maggiore di fare tardi il test. Maggiore, inoltre, è la probabilità di test ritardato nei maschi e soprattutto nei non tossicodipendenti”. Vella spiega che ciò “ha sicuramente a che fare con una bassa percezione del rischio: una persona che ha acquisito l’infezione per via sessuale, a differenza di un tossicodipendente, non ritiene di essere a rischio di infezione, anche se ha avuto rapporti sessuali non protetti con persone di cui non si conosceva lo stato di salute”.
Il problema della disinformazione e della trascuratezza sull’effettuazione del test non riguarda solo l’Hiv ma tutte le malattie sessualmente trasmesse: “Sono ben un milione, secondo i dati Oms, i casi di malattie sessualmente trasmissibili accertate in Italia- spiega Giampiero Carosi, direttore istituto di malattie infettive e tropicali dell’Università di Brescia e presidente Simast- delle quali sono solo 8 mila le notificate. Ci sono persone alle quali viene fatto il test per la sifilide ma non quello per l’Hiv, e sono in aumento anche epatite C ed herpes. Anche l’incremento degli immigrati- sottolinea Carosi- spesso provenienti da paesi pesantemente colpiti dall’epidemia può giocare un ruolo rilevante, soprattutto per un accesso più difficoltoso a test e cure”.
L’invito rivolto alla commissione Sanità che nei prossimi sei mesi lavorerà sulle linee-guida della legge 135, è di focalizzare l’attenzione su coloro ai quali effettuare il test, e sui luoghi più adatti: “Nei centri di trattamento dei tossicodipendenti in primo luogo, persone sulle quali l’attenzione è calata- sostiene Carosi- nonostante pratichino più promiscuità sessuale degli altri (oggi fanno il test solo nel 30% dei casi), poi nei centri specializzati nelle malattie infettive, dove a volte si testa la sifilide ma non l’Hiv, nelle carceri, e negli ospedali, dove- conclude l’esperto- aggiungere insieme a tante analisi anche questo test può avere un costo contenuto”.
AFRICA – “Per motivi completamente diversi da quelli espressi dal papa in Africa penso che comunque ci sia una parte di ragionevolezza nel dire che la soluzione all’Aids non è nei preservativi e concordo con lui”. Così Stefano Vella, direttore del dipartimento del Farmaco all’Istituto superiore di sanità, risponde alle sollecitazioni dei giornalisti sulle parole di ieri del papa in Africa (“Non si può superare l’Aids con la distribuzione di preservativi: al contrario aumentano il problema”, ha detto ieri Benedetto XVI in Camerun) alla presentazione dell’ Hiv Summit Italia 2009 che si terrà domani a Roma con i massimi esperti della patologia per fare il punto sulla situazione. “I motivi del papa sono etico-comportamentali- spiega Vella- dal mio punto di vista, invece, ritengo che non è facile introdurre il condom in Africa. Si tratta di uno strumento molto occidentale, è un oggetto di gomma che non è facile far accettare in quelle culture. È difficile esportare là metodi occidentali. Lo strumento del profilattico è dalla parte dell’uomo e in Africa la condizione della subalternità è molto forte”.