Il papa in Africa per portare pace e speranza
Meno di sei ore di volo per immergersi nel continente delle sfide: l’Africa. Primo viaggio di Benedetto XVI in un paese che, ha detto prima di partire domenica scorsa, “intende abbracciare idealmente” con questa visita. Una viaggio quasi missionario: “La Chiesa non persegue obbiettivi economici, sociali e politici; la Chiesa annuncia Cristo” Sull’ aereo, il Boeing 777 della nuova Alitalia, il papa parla con i giornalisti della crisi economica mondiale e del suo impatto nei paesi poveri, l’enciclica sociale “era già pronta, ma poi si è scatenata la tempesta”, dice. E poi la Chiesa africana, la sua vitalità e i suoi problemi. E l’Aids con l’impegno di tante istituzioni cattoliche a vantaggio dei malati. Non si può vincere l’Aids con il denaro, tantomeno con la distribuzione dei preservativi, spiega Benedetto. La Chiesa offre da sempre due risposte: umanizzare la sessualità e aiutare l’uomo anche nelle situazioni di sofferenza. E appena sceso dall’aereo Ratzinger ricorda che in Camerun i malati vengono curati gratuitamente.
I malati africano il papa li abbraccerà giovedi nella visita al “Centro Cardinale Paul-Emile Léger” che si occupa della riabilitazione dei disabili. È un’opera nata per volere del cardinale canadese Paul-Emile Léger nel 1971, che poi, nel 1978 con un decreto presidenziale è stata trasferita allo stato camerunense. Il Cardinale Paul-Émile Léger, canadese, nel 1968 presentò le sue dimissioni come arcivescovo di Montréal e si trasferì in Camerun per lavorare nelle missioni, con i lebbrosi e i bambini handicappati. Nel 1978 partecipò ai conclavi che elessero Giovanni Paolo I e poi Giovanni Paolo II. In Aereo si è parlato anche di dialogo interreligioso con i rapporti con le religioni tradizionali che, dice il papa, si stanno aprendo al messaggio evangelico, perché cominciano a vedere che il Dio dei cattolici non è un Dio lontano. E Poi il dialogo con l’Islam: con loro, dice, sta crescendo il rispetto reciproco nella comune responsabilità etica. Alla fine arriva anche una battuta sulla sua “solitudine”. Ridendo, dice: “non sono solo, vedo ogni giorno i miei collaboratori.”
Ma soprattutto parla di speranza e risponde così all’ultima domanda dei giornalisti: «La nostra fede è speranza per definizione. Chi porta la fede è convinto di portare anche la speranza. Nonostante tutti i problemi che conosciamo bene, ci sono grandi segni di speranza, nuovi governi, nuove disponibilità di collaborazione, lotta contro la corruzione – grande male che va superato – e anche l’apertura delle religioni tradizionali, alla fede cristiana. Tutti conoscono Dio ma appare un po’ lontano e attendono si avvicini. E poi il culto tradizionale degli antenati trova sua risposta nella comunione dei santi: che non sono i canonizzati ma tutti i nostri morti. C’è un incontro profondo che dà speranza. Cresce il dialogo interreligioso. Ho parlato con più della metà dei vescovi e mi dicono che relazione con i musulmani è molto buona. Cresce il rispetto reciproco, la comune responsabilità etica, la gioia di essere cristiani. Un problema delle religioni tradizionali è la paura degli spiriti. Un vescovo mi ha detto: uno è veramente convertito e diventa pienamente cristiano se sa che con Cristo non ha paura, che Gesù è più forte degli spiriti. Crescono forze spirituali, sociali e economiche che danno speranza. Ecco: vorrei mettere in luce l’elemento della speranza».
All’ aeroporto di Yaoundé, davanti alle autorità del Paese con 150 milioni di abitanti, il papa parla di gioia di speranza, in una terra “con un governo che parla chiaramente in difesa dei diritti dei non nati”, una “terra di pace” e “una terra di giovani”. C’è il ricordo della visita di Giovanni Paolo II nel 1995. Oggi come allora il papa porta lo Strumento di Lavoro per l’Assemblea speciale per l’Africa del Sinodo dei vescovi che si svolgerà ad ottobre in Vaticano. Ma in Africa, c’ancora tanta sofferenza: i “conflitti locali”, il “traffico di esseri umani” che “è diventato una moderna forma di schiavitù”, la “scarsità di cibo”, lo “scompiglio finanziario”, particolarmente accentuato in questo periodo, i “modelli disturbati di cambiamenti climatici”. In Africa mancano cibo, acqua potabile, scuole ed ospedali. Sono come “virus” che bloccano le potenzialità dell’Africa. E non bastano la crescita vertiginosa del numero dei cattolici o la vivacità liturgica e il legame con Roma o l’impegno per la promozione della donna. Gli africani “implorano a gran voce riconciliazione, giustizia e pace, e questo è proprio ciò che la Chiesa offre loro” invece di “nuove forme di oppressione economica o politica, ma la libertà gloriosa dei figli di Dio.”
L’Africa chiede di crescere, non di subire una nuova colonizzazione con l’imposizione di modelli culturali. “Di fronte al dolore o alla violenza, alla povertà o alla fame, alla corruzione o all’abuso di potere, un cristiano non può mai rimanere in silenzio. Il messaggio salvifico del Vangelo esige di essere proclamato con forza e chiarezza”, dice il papa. Il Camerun “è effettivamente terra di speranza per molti nell’Africa Centrale” ricorda. Migliaia di rifugiati dai Paesi della regione devastati dalla guerra hanno ricevuto qui accoglienza. È una terra di pace: risolvendo mediante il dialogo il contenzioso sulla penisola Bakassi, Camerun e Nigeria hanno mostrato al mondo che una paziente diplomazia può di fatto recare frutto.” I giovani politici africani che hanno studiato in Europa vogliono migliorare l’Africa, e affrontano anche il neocolonialismo cinese cercando di non perdere l’entusiasmo dei primi anni dell’indipendenza. A Yaoundé vanno a ruba cappellini e t-shirt con le foto del Papa. Si vendono bandiere della Santa Sede e del Camerun con le foto del presidente Paul Biya e di Benedetto XVI.
La città si è preparata con prati annaffiati e buche coperte e una mano di vernice sui palazzi, ma la povertà si odora per le strade. Secondo una tradizione, il nome “Yaoundé” sarebbe nato da una storpiatura della dicitura locale “Mia wondo”. Degli esploratori tedeschi vedendo un gruppo di contadini, nel 1887, che seminavano arachidi chiesero loro: “Voi chi siete?”. Sentendosi rispondere “Mia wondo” (seminatori di arachidi) avrebbero scritto sul loro taccuino: “Ya-un-de”. Oggi Yaoundé, come molte metropoli africane, si presenta agli occhi dei visitatori come una città composita dal punto di vista architettonico e urbanistico. In essa, immersa in una natura lussureggiante, convivono palazzi moderni, a volte fastosi, avveniristici ed eleganti con case modeste, condomini fatiscenti e migliaia di bidonville nelle zone periferiche e sulle colline. Il contrasto tra quartieri ricchi e benestanti e aree povere e degradate è stridente.