Papa Francesco ai superiori dei religiosi: “Svegliate il mondo!” E il 2015 sarà l’anno dedicato alla vita religiosa.

Papa Francesco Padre Spadaro
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I religiosi siano “testimoni di un modo diverso di fare, di agire, di vivere. Di vivere diversamente in questo mondo. Siano essi uomini e donne capaci di svegliare il mondo”. E’ uno dei passaggi centrali della conversazione che Papa Francesco ha avuto il 29 novembre scorso con i 120 superiori generali degli Istituti religiosi maschili al termine della loro 82.ma Assemblea Generale, tenuta a Roma dal 27 al 29 novembre, e resa nota venerdì 3 gennaio in una trascrizione, rivista e approvata dallo stesso Pontefice, pubblicata dalla Civiltà Cattolica a cura del suo direttore, il padre Antonio Spadaro, con una cronaca commentata. Nelle tre ore di dialogo con i superiori Francesco ha spaziato a tutto campo sui diversi aspetti della vita religiosa oggi, dal suo rapporto con il mondo alla relazione con i vescovi, dal problema della formazione fino alla stessa identità dei consacrati e sulla loro testimonianza nella Chiesa, con modalità di intervento nuove, pur nel rispetto dei carismi dei Fondatori. Un’attenzione che porterà alla revisione di due documenti, a cura della competente Congregazione vaticana, sulla vocazione dei religiosi non sacerdoti e sul rapporto con l’episcopato (la ‘Mutuae relationes’, del 1972), e alla celebrazione, nel 2015, di uno speciale anno focalizzato sulla vita consacrata, che prima della pubblicazione della conversazione era l’unico tema noto dell’incontro pontificio di fine novembre.

“Che cosa si aspetta dalla vita consacrata? Che cosa chiede? Se lei fosse al nostro posto, come accoglierebbe il suo appello ad andare nelle periferie, a vivere il Vangelo sine glossa, la profezia evangelica? Che cosa si sentirebbe chiamato a fare? Dove si dovrebbe porre oggi l’accento? Quali sono le priorità?” Così i religiosi, guidati dal presidente, il preposito generale della Compagnia di Gesù padre Adolfo Nicolas e dal segretario, il comboniano padre David Glenday, hanno iniziato il dialogo con il papa argentino. Che dopo aver ricordato di essere lui stesso un religioso e di conoscere questi interrogativi, ha iniziato a rispondere citando il suo predecessore Benedetto XVI. “Lui ha detto che la Chiesa cresce per testimonianza, non per proselitismo. La testimonianza che può attirare veramente è quella legata ad atteggiamenti che non sono gli abituali: la generosità, il distacco, il sacrificio, il dimenticarsi di sé per occuparsi degli altri. E’ il ‘martirio’ della vita religiosa e un ‘segnale di allarme’ per la gente. Ecco – ha continuato Bergoglio citando ancora Ratzinger – la vita religiosa deve permettere la crescita della Chiesa per la via dell’attrazione”. E ancora, proseguendo sull’identità e la missione dei religiosi, “la radicalità evangelica – ha affermato Francesco – non è solamente dei religiosi: è richiesta a tutti, anche se i religiosi seguono il Signore in maniera speciale, in modo profetico. Io mi attendo da voi questa testimonianza. I religiosi devono essere uomini e donne capaci di svegliare il mondo”. Ma non in un modo da supereroi, ma da persone normali, da testimoni. “La vita è complessa, è fatta di grazia e di peccato. Se uno non pecca, non è uomo. Un religioso che si riconosce debole e peccatore non contraddice la testimonianza che è chiamato a dare, ma anzi la rafforza”.

E per farlo è necessario “scollocarsi”, cioè “vedere la realtà da più punti di vista differenti. Dobbiamo abituarci a pensare, a conoscere la realtà e il vissuto della gente. Se questo non avviene, allora ecco che si corre il rischio di essere astratti, ideologici o fondamentalisti, e questo non è sano”.

Ma qual è la priorità della vita consacrata? è stata un’altra delle domande poste dai superiori a Papa Francesco. “La profezia del Regno, che non è negoziabile” – ha risposto il Vescovo di Roma .” L’accento deve cadere nell’essere profeti, e non nel giocare ad esserlo”. E all’interrogativo su come essere fedele al carisma in tempi che mutano in modo così veloce e sorprendente, Bergoglio ha richiamato l’importanza di essere creativi, di “cercare sempre nuovi cammini” perché il carisma non si isterilisca e non si confonda “l’Istituto con l’opera apostolica. Il primo resta, la seconda passa”  In questi cammini di creatività, ha osservato il Papa, va anche osservata la geografia della vita consacrata. “Che cosa vuole il Signore con le vocazioni che ci manda dalle Chiese più giovani? Non lo so dire. Ma mi pongo la domanda. Dobbiamo porcela. C’è una volontà del Signore in tutto questo. Ci sono Chiese che stanno dando frutti nuovi”.

E questo porta a ripensare “ l’inculturazione del carisma”. Che è “uno” ma va vissuto, secondo l’insegnamento di Sant’Ignazio, secondo “i luoghi, i tempi e le persone” Perché “il carisma non è una bottiglia di acqua distillata. Bisogna viverlo con energia, rileggendolo anche culturalmente”, correndo il rischio di sbagliare e di commettere errori. “E’ rischioso. Faremo sempre degli errori, non ci sono dubbi. Ma questo non deve frenarci”. E per evitare il rischio della “uniformazione delle culture, correndo il rischio di uccidere il carisma”, può essere “necessario introdurre nel governo centrale degli Ordini e delle Congregazioni religiose persone di varie culture, che esprimano modi diversi di vivere il carisma”. Il Papa è al corrente del fenomeno del reclutamento vocazionale che le Chiese più giovani compiono. E’ la cosiddetta “tratta delle novizie”, vale a dire la penetrazione massiccia di antiche Congregazioni religiose in nuovi contesti di evangelizzazione per reperire vocazioni da trapiantare poi in Europa. “Bisogna tenere gli occhi aperti su queste situazioni”, ha commentato Bergoglio.

Centrale nella conversazione annotata da Padre Spadaio anche il tema della formazione delle nuove leve religiose. Francesco da alcune indicazioni prioritarie. “I pilastri della formazione sono quattro: spirituale, intellettuale, comunitario e apostolico”. E il “fantasma da combattere è l’immagine della vita religiosa come rifugio e consolazione davanti a un mondo esterno difficile e complesso”. Ma come fare formazione in un mondo complesso come quello di oggi? Il Papa sa che “la cultura odierna è molto più ricca e conflittuale di quella vissuta da noi, al nostro tempo, anni fa. La nostra cultura era semplice e ordinata. Ma non si risolvono i problemi semplicemente proibendo di fare questo o quello. Serve tanto dialogo, tanto confronto. Bisogna sconfiggere la tendenza al clericalismo anche nei seminari e nelle case di formazione”. E occorre fare in modo che la formazione sia orientata non solo alla crescita personale, ma alla sua prospettiva finale: il popolo di Dio. Perché – ha commentato il Papa – “non dobbiamo formare amministratori, gestori, con il cuore acido come l’aceto, ma padri, fratelli, compagni di cammino”.

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