Papa Francesco: la forza della Chiesa non abita nella sua capacità organizzativa, ma nelle acque profonde di Dio
Ode all’inquietudine che porta a mettere al centro della vita Gesù quella di Papa Francesco che celebrando la messa nella chiesa del Gesù nel giorno in cui ricorrere la memoria del nome di Gesù. Il Papa ha celebrato con una bellissima casula con il sigillo della Compagnia di Gesù nella splendida chiesa barocca allietata dal canto di un coro raffinatissimo che ha riproposto anche musica barocca. Perfino la preghiera dei fedeli è stata cantata secondo il rito orientale. All’ altare, addobbato di rami di pino, hanno concelebrato assieme al Papa il cardinale Vallini vicario per la città di Roma, il cardinale Angelo Amato prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi e il preposito della Compagnia Adolfo Nicolas. Molti i fedeli presenti, in maggior parte abituali partecipanti alle messe del mattino.
La messa di fatto sostituisce la celebrazione pubblica della canonizzazione di Pietro Favre per il quale Papa Francesco, primo Pontefice gesuita nella storia della Chiesa, il 17 dicembre 2013 ha decretato la canonizzazione equipollente di Pierre Favre, estendendone il culto liturgico alla Chiesa universale ed iscrivendolo nell’albo dei Santi. Le spoglie mortali di Pierre Favre trovarono riposo nell’antica Chiesa del Gesù a Roma, ma con la costruzione della nuova chiesa sono andate perdute.
“Vogliamo vivere una vita agitati da grandi desideri” ha detto il Papa nella omelia, ed ha ripreso alcuni temi proposti lo scorso luglio nella messa al Gesù. Ai confratelli ha detto che essere di Gesù “significa pensare come Lui, voler bene come Lui, fare ciò che ha fatto Lui e con i suoi stessi sentimenti.” E per fare questo si deve essere “svuotati”, “non vivere per noi stessi” perchè “se Gesù non è il centro la Compagnia non è più sé stessa.” Ecco allora la inquietudine: “Bisogna cercare Dio per trovarlo e cercarlo ancora sempre.”
Ed aggiunge: “ La forza della Chiesa non abita in se stessa e nella sua capacità’ organizzativa ma si nasconde nelle acque profonde di Dio. E queste acque agitano i nostri desideri che allargano il cuore”. Queste le caratteristiche di Pietro Favre che “sapeva discernere i desideri di Dio. Voleva essere dilatato in Dio ed era completamente centrato in Dio. Perciò andava ovunque ad annunciare il Vangelo.”
“Il cuore di Cristo – ha proseguito – è il cuore di un Dio che, per amore, si è «svuotato». Ognuno di noi, gesuiti, che segue Gesù dovrebbe essere disposto a svuotare se stesso. Siamo chiamati a questo abbassamento: essere degli «svuotati». Essere uomini che non devono vivere centrati su se stessi perché il centro della Compagnia è Cristo e la sua Chiesa. E Dio è il Deus semper maior, il Dio che ci sorprende sempre. E se il Dio delle sorprese non è al centro, la Compagnia si disorienta. Per questo, essere gesuita significa essere una persona dal pensiero incompleto, dal pensiero aperto: perché pensa sempre guardando l’orizzonte che è la gloria di Dio sempre maggiore, che ci sorprende senza sosta. E questa è l’inquietudine della nostra voragine. Quella santa e bella inquietudine!”.
Il Papa ha quindi proseguito: “Ma, perché peccatori, possiamo chiederci se il nostro cuore ha conservato l’inquietudine della ricerca o se invece si è atrofizzato; se il nostro cuore è sempre in tensione: un cuore che non si adagia, non si chiude in se stesso, ma che batte il ritmo di un cammino da compiere insieme a tutto il popolo fedele di Dio. Bisogna cercare Dio per trovarlo, e trovarlo per cercarlo ancora e sempre. Solo questa inquietudine dà pace al cuore di un gesuita, una inquietudine anche apostolica, non ci deve far stancare di annunciare il kerygma, di evangelizzare con coraggio. È l’inquietudine che ci prepara a ricevere il dono della fecondità apostolica. Senza inquietudine siamo sterili”.
“È questa l’inquietudine – ha osservato – che aveva Pietro Favre, uomo di grandi desideri, un altro Daniele. Favre era un «uomo modesto, sensibile, di profonda vita interiore e dotato del dono di stringere rapporti di amicizia con persone di ogni genere» (Benedetto XVI, Discorso ai gesuiti, 22 aprile 2006). Tuttavia, era pure uno spirito inquieto, indeciso, mai soddisfatto. Sotto la guida di sant’Ignazio ha imparato a unire la sua sensibilità irrequieta ma anche dolce e direi squisita, con la capacità di prendere decisioni. Era un uomo di grandi desideri; si è fatto carico dei suoi desideri, li ha riconosciuti. Anzi per Favre, è proprio quando si propongono cose difficili che si manifesta il vero spirito che muove all’azione (cfr Memoriale, 301). Una fede autentica implica sempre un profondo desiderio di cambiare il mondo. Ecco la domanda che dobbiamo porci: abbiamo anche noi grandi visioni e slancio? Siamo anche noi audaci? Il nostro sogno vola alto? Lo zelo ci divora (cfr Sal 69,10)? Oppure siamo mediocri e ci accontentiamo delle nostre programmazioni apostoliche da laboratorio? Ricordiamolo sempre: la forza della Chiesa non abita in se stessa e nella sua capacità organizzativa, ma si nasconde nelle acque profonde di Dio. E queste acque agitano i nostri desideri e i desideri allargano il cuore. Quello di Sant’Agostino: ‘Pregare per desiderare e desiderare per allargare il cuore’. Proprio nei desideri Favre poteva discernere la voce di Dio. Senza desideri non si va da nessuna parte ed è per questo che bisogna offrire i propri desideri al Signore. Nelle Costituzioni si dice che «si aiuta il prossimo con i desideri presentati a Dio nostro Signore» (Costituzioni, 638)”.
“Favre – ha ancora detto il Papa – aveva il vero e profondo desiderio di «essere dilatato in Dio»: era completamente centrato in Dio, e per questo poteva andare, in spirito di obbedienza, spesso anche a piedi, dovunque per l’Europa, a dialogare con tutti con dolcezza, e ad annunciare il Vangelo” E a braccio ha aggiunto: “.Mi viene da pensare alla tentazione, che forse possiamo avere noi e che tanti hanno, di collegare l’annunzio del Vangelo con bastonate inquisitorie, di condanna. No, il Vangelo si annunzia con dolcezza, con fraternità, con amore”. Così come si legge nel Vangelo dove in effetti anche quando Gesù stesso usa a volte durezza, lo fa sempre con un significato profetico come nel caso della cacciata dei mercanti dal tempio (Mt 21,12-17) o quando si scaglia contro la ipocrisia dei farisei (Mt 23,27-32).
Quindi ha proseguito: “La sua familiarità con Dio lo portava a capire che l’esperienza interiore e la vita apostolica vanno sempre insieme. Scrive nel suo Memoriale che il primo movimento del cuore deve essere quello di «desiderare ciò che è essenziale e originario, cioè che il primo posto sia lasciato alla sollecitudine perfetta di trovare Dio nostro Signore» (Memoriale, 63). Favre prova il desiderio di «lasciare che Cristo occupi il centro del cuore» (Memoriale, 68). Solo se si è centrati in Dio è possibile andare verso le periferie del mondo! E Favre ha viaggiato senza sosta anche sulle frontiere geografiche tanto che si diceva di lui: «pare che sia nato per non stare fermo da nessuna parte» (MI, Epistolae I, 362). Favre era divorato dall’intenso desiderio di comunicare il Signore. Se noi non abbiamo il suo stesso desiderio, allora abbiamo bisogno di soffermarci in preghiera e, con fervore silenzioso, chiedere al Signore, per intercessione del nostro fratello Pietro, che torni ad affascinarci. Quel fascino del Signore che portava Pietro a tutte queste pazzie apostoliche …”.
Il Papa così ha concluso la sua omelia: “Noi siamo uomini in tensione, siamo anche uomini contraddittori e incoerenti, peccatori, tutti. Ma uomini che vogliono camminare sotto lo sguardo di Gesù. Noi siamo piccoli, siamo peccatori, ma vogliamo militare sotto il vessillo della Croce nella Compagnia insignita del nome di Gesù. Noi che siamo egoisti, vogliamo tuttavia vivere una vita agitata da grandi desideri. Rinnoviamo allora la nostra oblazione all’Eterno Signore dell’universo perché con l’aiuto della sua Madre gloriosa possiamo volere, desiderare e vivere i sentimenti di Cristo che svuotò se stesso. Come scriveva san Pietro Favre, «non cerchiamo mai in questa vita un nome che non si riallacci a quello di Gesù» (Memoriale, 205). E preghiamo la Madonna di essere messi con il suo Figlio”.
Al termine della celebrazione il Preposito ha ringraziato il Papa per la canonizzazione di Favre. La sua storia è davvero singolare. Già nel 1972 Pio IX ne autorizzò il culto senza un processo canonico.
Per conoscere la spiritualità di Favre, sacerdote e uomo colto del suo tempo, compagno di Ignazio e “perito” al Concilio di Trento, fondamentale è il suo “Memoriale”, una specie di diario spirituale, stampato in varie edizioni, per conoscere il suo carattere mite, la sensibilità, gli angelici costumi. Favre è amato e venerato da quanti lo frequentarono, uomo di preghiera secondo l’insegnamento di s. Ignazio.