Natale secondo Carlo Collodi
Carlo Collodi, all’anagrafe Carlo Lorenzini, è stato uno scrittore e giornalista italiano, divenuto celebre per il romanzo ‘Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino’, scritto a Firenze nel 1881 e pubblicato nel 1883 (questo anno ricorrono 130 anni) dalla Libreria Editrice Felice Paggi con le illustrazioni di Enrico Mazzanti.
Nelle intenzioni di Carlo Collodi pare non vi fosse quella di creare un racconto per l’infanzia: infatti solo nelle versioni successive, pubblicate a puntate sul quotidiano ‘il Giornale per bambini’ diretto da Ferdinando Martini, la storia fu prolungata dopo la sequenza dell’impiccagione, giungendo al finale, con il burattino che assume le sembianze di un vero ragazzo. Nel ‘famoso’ libro ‘Contro mastro Ciliegia’, il card. Giacomo Biffi ha scritto che la sua formazione deve molto a Pinocchio:
“La mia ipotesi è che la forza intrinseca e l’attrazione nascosta di Pinocchio stanno nel fatto che vi si raffigura oggettivamente la realtà delle cose come è davanti agli occhi del Creatore, come è stata rivelata dal figlio di Dio, unico Salvatore e unico vero Maestro, come è da sempre offerta alle genti dalla predicazione ecclesiale. Il Collodi aveva un cuore più grande delle sue persuasioni, una carisma profetico più alto della sua militanza politica. Così poté porsi in comunione forse ignara con la fede dei suoi padri e con la vera filosofia del suo popolo.
L’ortodossia, che non avrebbe potuto superare con le proprie vesti gli sbarramenti censori della dittatura culturale dell’epoca e della stessa coscienza esplicita dello scrittore, travestita da fiaba eruppe dal profondo dello spirito e risonò apertamente. In quella fiaba gli italiani di istinto riconobbero la loro canzone di sempre e gli uomini di tutti i paesi avvertirono inconsciamente la presenza cifrata di un messaggio universale”.
E quindi il card. Biffi tratteggiava la nascita di Pinocchio nella prospettiva cristiana della figliolanza: “Pinocchio all’origine non è ‘generato’, è ‘costruito’: c’è dunque una eterogeneità di natura col ‘costruttore’. Ma il ‘costruttore’ lo chiama subito ‘figlio’. Il Creatore misteriosamente vuol essere anche ‘padre’, in questo modo viene immessa nella creatura l’aspirazione a oltrepassare l’alterità e a elevarsi ontologicamente. E’ la verità della ‘vocazione soprannaturale’: colui che è stato fatto dal niente è destinato a partecipare nella vita di grazia alla natura divina.
Pinocchio, interiormente svigorito, esteriormente insidiato da esseri maligni più astuti di lui, non può assolutamente raggiungere la salvezza nonostante la sincerità dei suoi sforzi, se non interviene un aiuto superiore, che alla fine riesce a compiere il prodigio di riconciliarlo al padre, di riportarlo a casa, di dargli una nuova natura. Lo straordinario personaggio della Fata dai capelli turchini manifesta appunto questa necessaria mediazione salvifica, che secondo la fede è svolta dal Figlio di Dio fatto uomo, il quale prolunga la sua azione nella storia per mezzo della Chiesa”.
Per confermare questa lettura della Salvezza, l’autore di Pinocchio scrisse anche il racconto ‘La festa di Natale’, una parabola che, attraverso Alberto, un bambino di sette anni, ci ricorda l’importanza di celebrare il Natale con lo sguardo accogliente verso l’Altro. Infatti Alberto compie un atto di carità, chiedendo che non venga reso noto. Nel finale del racconto, dopo un colloquio con la madre sull’uso dei soldi entra Rosa l’ortolana che svela la verità, nonostante che Alberto le abbia chiesto di non dirlo a nessuno.
“Apertasi la porta, si presentò sulla soglia, indovinate chi! Si presentò la Rosa ortolana, che teneva per la mano un bimbetto tutto rivestito di panno ordinario, ma nuovo, con un berrettino di panno, nuovo anche quello, e in piedi un paio di stivaletti di pelle bianca da campagnolo. ‘E’ tuo, Rosa, codesto bambino?’, domandò la Contessa. ‘Ora è lo stesso che sia mio, perché l’ho preso con me e gli voglio bene, come a un figliolo. Povera creatura! Finora ha patito la fame e il freddo. Ora il freddo non lo patisce più, perché ha trovato un angiolo di benefattore, che lo ha rivestito a sue spese da capo a piedi’.
‘E chi è quest’angelo di benefattore?’, chiese la Contessa. L’ortolana si voltò verso Alberto, e guardandolo in viso e accennandolo alla sua mamma, disse tutta contenta: ‘Eccolo là’. La sua mamma, che aveva capito ogni cosa, lo chiamò più volte: ma siccome Alberto non rispondeva, allora si alzò dalla poltrona e andò a cercarlo da per tutto. Trovatolo finalmente nascosto in guardaroba, lo abbracciò amorosamente, e invece di dargli a titolo di premio un bacio, gliene dette per lo meno più di cento.