Il terreno fecondo del Natale
Talvolta la fede viene stemperata in una vaga accoglienza di Dio o in qualche falsa esperienza di sacro o di spirituale che sa più di idolatria gratificante che di vera fede. Sappiamo bene, però, che le esperienze senza decisioni concrete per la vita rischiano di essere illusioni infantilistiche senza crescita di coscienza. La fede è fondamentalmente dono di Dio che richiede cosciente obbedienza e abbandono in entusiasmo. Maria di Nazareth è esempio fulgidissimo del come accogliere il dono divino.
Osserva R. Guardini: Vogliamo conoscere un albero nella sua natura? Guardiamo in terra, dove giacciono le sue radici. Dalla terra sale a lui la linfa: al tronco, ai rami, ai fiori, ai frutti. Così è ben giusto spingere lo sguardo nel terreno e nel fondo, da dove si eleva la figura del Signore: Maria, sua Madre (Il Signore, cap. II). Nel terreno fecondo dell’Avvento troviamo le radici: Maria di Nazareth, la creatura più affascinante dell’attesa messianica. Vergine, è chiamata ad accogliere l’incarnazione del Verbo di Dio. La lunga attesa si realizza nel frutto del grembo. È mistero che la ragione non può esplorare perché richiede l’umile fede dei poveri in spirito che è “discernimento” di fronte a un progetto così abissalmente distante dalle prospettive umane. La fede umile è dono ma è anche fatica di entrare nel vertiginoso progetto di Dio. Unica garanzia è la sicurezza data dall’Angelo: Nulla è impossibile a Dio. La Vergine, così, diventa povertà radicale che le fa dire: Eccomi, sono la serva del Signore. E umiltà profonda che le fa esclamare: Avvenga di me quello che hai detto. Umiltà e povertà attraverso le quali la potenza di Dio opera l’incarnazione del Verbo.
L’umiltà non ha nulla a che fare con la pusillanimità, l’inconsistente deprezzamento o la svalutazione quanto al valore della persona. Umiltà è pura verità nei riguardi di Dio. Chi è umile rivela ed esalta, nel riconoscimento della propria creaturalità, la visione di sé alla luce di Dio. L’umiltà libera dalla falsità l’essere e la vita dell’uomo, infonde gratitudine cosciente di essere da Dio, per cui, al ridicolo orgoglio, succede la gioia e la lode. Chi cerca nella povertà la verità ha capito l’umiltà. Maria interroga Dio nella fatica del discernimento: Com’è possibile? Quindi si decide per Lui nel radicalismo dell’obbedienza: Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto (Lc 1,26-38). Poi, nell’incontro con la cugina Elisabetta, esplode di gioia e intona il cantico di lode e di rendimento di grazie: L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio mio Salvatore perché ha guardato l’umiltà della sua serva. Povertà umile e accoglienza gioiosa s’intrecciano per compiere il divino volere.
Dio, chiedendo il Fiat della creatura al suo progetto, rivela la sua intenzione di stabilire l’alleanza definitiva con l’umanità. Dio non entra nel cuore dell’uomo come un invasore, ma nel pieno rispetto della volontà dell’uomo che sa accogliere con libertà il Dono d’Amore. La richiesta divina non è un ordine, ma una “proposta-invito”, una dichiarazione d’Amore alla quale Maria risponde nella libertà di una fede immacolata. Il Signore invia l’Angelo Gabriele per consegnare alla libertà della Vergine, Figlia di Sion, la proposta sovrana, il disegno imperscrutabile ed eterno per la salvezza di tutto il genere umano nel Figlio unico con lo Spirito Santo. L’umile serva del Signore risponde all’annunzio con la Parola stessa che il suo Signore pronunziò all’inizio dei tempi: Fiat! L’Ecce della disponibilità umile e fiduciosa, il Fiat dell’accettazione responsabile e piena, unisce, in un connubio d’indissolubile energia, il Dono divino all’accoglienza umana. Di quest’Alleanza d’amore, consumata tra il Verbo e l’umanità, lo Spirito Santo è l’Artefice. Lui, Effusione d’Amore del Padre, assume e feconda la Vergine intatta: siamo nella prima Pentecoste, in cui si esprime la “Pienezza del Tempo” che è “Pienezza del Verbo”.
L’intensità d’Amore si misura dalla qualità e dalla modalità del Dono: la qualità è il Figlio, Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero. La modalità è l’Incarnazione. Il Verbo si è svuotato di se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini (Fil 2,7). La sua kenosi è fondamento della nostra theosis. Il Dono-Amore penetra e permea tutto l’uomo, persona e natura, divinizzandolo. Questa trasformazione non è né ideale né morale, ma reale e mistica. San Paolo, invaso dal fascino di questa sublime verità, canta: Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me (Gal 2,20). Pietro conferma che, per mezzo del Battesimo e del Sigillo dello Spirito, siamo diventati partecipi della natura divina (2Pt 1,4). Lo stesso Spirito che fecondò la Vergine Madre, che unse il Verbo della nostra umanità e impresse in lui la nostra natura umana, è inciso nei nostri cuori come sigillo vivente per ungere anche noi della natura divina.
Nel Natale, il Verbo pone la sua tenda in mezzo a noi affinché noi vediamo la gloria di Lui, Gloria dell’Unigenito dal Padre, pieno di Grazia e di Verità (Gv 1,14). Nella Pasqua del Natale, l’Emmanuele, concepito e partorito dalla Vergine Madre, continua a farsi presente nella Parola celebrata, nel Corpo e nel Sangue preziosi, nella Chiesa, sede e santuario del Verbo Incarnato.
Il Salmo 33 ci esorta e ci fa cantare: Ascoltino gli umili e si rallegrino. Umiltà e letizia si concordano magnificamente. Umiltà, da humus, cioè: terra; letizia da laetare, cioè: fecondare, concimare, rendere fertile la terra. Maria Vergine è la protagonista dell’esultanza in Dio suo Signore e suo Salvatore, che sgorga dall’umiltà dell’essere sua serva (Lc 1,47.48). La bassezza e il vuoto interiore di sé hanno ricolmato Maria dei beni del suo Signore. L’umiltà gioiosa è condizione indispensabile perché la speranza diventi realtà trasfigurante nell’accogliere il Dono dell’Incarnazione e della Redenzione.