Vivere la fede, raccontarne la gioia. La testimonianza luminosa del cardinale Van Thuân

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Dalla Libreria Editrice Vaticana una raccolta delle conversazioni tenute dal servo di Dio, il  cardinale vietnamita Francois-Xavier Nguyên Van Thuân, che dal 1994 al 2002 ha lavorato in Vaticano come vicepresidente e poi Presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace.  Parole e dialoghi di un grande testimone della fede,  al termine di una esistenza che ebbe anche momenti bui, come la  lunga carcerazione durata 13 anni. 

Presto tutti i fedeli avranno la gioia di vederlo innalzato agli onori degli altari, poiché il 5 luglio scorso si è tenuta nel Vicariato di Roma la cerimonia di chiusura del processo diocesano di beatificazione e canonizzazione. Stiamo parlando del servo di Dio cardinale François-Xavier Nguyên Van Thuân, già presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, una delle figure più belle della Curia Romana e della Chiesa del Novecento. Una gioia e una contentezza ben riposte. Perché la vita del cardinal Van Thuân è stata quella di un cristiano esemplare e di un vero martire della fede. Nato il 17 aprile 1928 a Huê, in Vietnam, ordinato sacerdote l’11 giugno 1953 e nominato viceparroco di Tam Toa, viene mandato a studiare diritto canonico a Roma, dove consegue la laurea nel 1959. Dopo essere stato nominato vicario generale della diocesi di Hue e consacrato vescovo di Na Thrang nel 1967, era da pochi giorni arcivescovo coadiutore di Saigon quando la città viene conquistata dalle truppe dei comunisti del Nord. Era il 15 agosto 1975, solennità dell’Assunzione della Vergine Maria, quando.

Van Thuan fu messo in prigione. Nipote di Ngo Dinh Diem, il presidente del Vietnam, Van Thuân era l’ultimo anello di una catena genealogica di testimoni della fede. Tra il 1689 e il 1885, i suoi antenati paterni furono vittime di molte persecuzioni, e il suo bisnonno era stato forzosamente consegnato ad una famiglia non cristiana perché perdesse la fede. Nel 1885, tutti gli abitanti del villaggio di sua madre furono bruciati nella chiesa parrocchiale. Si salvò suo nonno, perché era studente in Malesia.

Il piccolo François crebbe imbevuto di dottrina cristiana e di storia dei martiri di famiglia. Finché non toccò a lui continuare a portare il testimone e prendere su di se la croce della persecuzione e della sofferenza. Nei tredici anni di prigionia non si lasciò mai sopraffare dalla rassegnazione e dallo sconforto, nonostante fosse lasciato a lungo senza cibo e senza acqua, in condizioni di abbandono assoluto. Dalla sua cella incominciò a scrivere una serie di messaggi alla comunità cristiana grazie a dei fogli di carta che un bambino di 7 anni gli procurava di nascosto. Nacque così uno dei suoi testi più conosciuti, “Il cammino della speranza”.

Da Saigon fu prima trasferito in catene a Nha Trang, successivamente fu portato al campo di rieducazione di Vihn Quang. Rimase in isolamento per nove anni, sorvegliato a vista da due guardie. Non potendo avere con sé la Bibbia, raccolse tutti i pezzetti di carta che trovava e compose un minuscolo libro sul quale trascrisse più di 300 frasi del Vangelo che ricordava a memoria. Ogni giorno, alle tre del pomeriggio, l’ora della Passione di Cristo sulla Croce, celebrava la Messa sul palmo della sua mano con una goccia d’acqua e tre di vino che aveva chiesto ed ottenuto come «medicina contro il mal di stomaco». Fu liberato il 21 novembre 1988 e il 15 novembre 1994 fu chiamato da Giovanni Paolo II per ricoprire la carica di Vice Presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, di cui il 24 giugno 1998 divenne Presidente. In Vaticano divenne subito una esemplare figura di riferimento, perché portava l’esperienza di una chiesa martire e sofferente, che non aveva tentennato nell’amore a Cristo, unita alla gioia dell’annuncio cristiano di salvezza.

Nel 2000, anno del Grande Giubileo, fu scelto per predicare gli esercizi spirituali di Quaresima a Giovanni Paolo II e alla Curia Romana e fu tra i prelati che celebrarono insieme a Papa Wojtyla nella giornata giubilare del 12 marzo, in cui fu chiesto solennemente il perdono a Dio per le colpe commesse dai figli della Chiesa. Ricevette la berretta cardinalizia nel Concistoro del 21 febbraio 2001, insieme al cardinale Jorge Mario Bergoglio, e un anno dopo, il 16 settembre 2002,  tornò alla casa del Padre dopo una lunga malattia. Queste brevi note biografiche del cardinale Van Thuân servono a mettere in evidenza la sua opera e a contribuire a far conoscere ancora di più una figura fuori dal comune, di cui rimangono scritti e discorsi di grande profondità. E’ per questo motivo che va salutata con apprezzamento la pubblicazione, ad opera della Libreria Editrice Vaticana, di “La gioia di vivere la fede”, il volume che raccoglie una serie di conversazioni, intitolate così dal suo autore, tenute dal cardinale vietnamita e raccolte e organizzate con sistematicità da alcuni giovani che hanno avuto il privilegio di prendervi parte. Si tratta, come scrive nella presentazione l’arcivescovo Mario Toso, segretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, “di testi pronunciati in varie occasioni, allo scopo di educare alla fede i suoi connazionali incontrati in varie parti del mondo.

Riflessioni sapienziali di un pastore – prosegue Toso – ma anche una sintesi generale del suo magistero e della sua esperienza di fede, un testamento spirituale per i suoi figli e fratelli: un testamento di gioia”. Un libro da leggere e gustare con interesse, perché delinea un vero e proprio programma esistenziale a misura di ogni cristiano per  vivere la sua fede e la sua vocazione spirituale con quella gioia e quella serenità che vengono dalla consapevolezza di essere stati salvati e redenti dalla croce di Cristo. Un messaggio di grande potenza, che contrasta fortemente con gli orizzonti cupi in cui è immerso il nostro presente, “che tende – dice ancora l’arcivescovo Toso – ad emarginare il Signore dalla vita dell’uomo. Dio è spesso considerato un antagonista della libertà, dell’autonomia morale, delle persone”. Dalle pagine del volume, in cui emerge la freschezza del racconto vivido e della prosa diretta, viene fuori l’invito a essere testimoni gioiosi dell’identità cristiana di essere figli di Dio e compagni dell’uomo, in cui i singoli e preziosi talenti che ognuno ha ricevuto debbono essere trafficati e valorizzati al servizio dei fratelli. Il cardinale è prodigo, nella trattazione, nell’offrire direttive spirituali e consigli pratici, dettando un vero proprio viatico per la vita religiosa e quotidiana di ogni fedele battezzato. Spiega analiticamente quali sono i dieci grandi fallimenti che portano un leader al collasso e li esamina con acume. Il leader

“è superbo, tratta le persone come macchine, procede in modo arbitrario, non ascolta nessuno, difende testardamente le proprie opinioni. E’ indeciso, pessimista, provoca confusione. Non sa servirsi delle persone, non sa sceglierle né formarle, non si integra con gli altri, è intollerante e ha una mentalità ristretta. E’ diffidente verso tutti ed è malato di ‘esitazione cronica’. Si occupa di tutto da solo e non distingue l’essenziale dal contingente. Parla bene, ma non sa concretizzare; si vanta dei successi, attribuendosi i meriti altrui, ed è ingrato verso chi lo ha aiutato. Si impegna a metà. Non ha un programma né un piano preciso. E’ egoista e cerca la fama per sé. Non prega, crede solo nella propria capacità, negli intrighi e negli espedienti del mondo, ha fiducia solo nel potere”.

E con altrettanta franchezza, capovolge queste negatività, tracciando ‘le dieci grandi vittorie’ che fanno di una persona non solo un leader, ma anche un uomo onesto e un bravo cristiano. Fa la lista dei dieci grandi successi per cambiare e rinnovare la società e le dieci grandi malattie di cui sono afflitte la Chiesa e il mondo: la malattia del passato, del pessimismo negativo, dell’autoglorificazione, dell’individualismo, della pigrizia, della mentalità mondana, dell’attesa di miracoli, dell’indecisione, dell’irresponsabilità, delle divisioni e delle fazioni. Ma il cardinale Van Thuân indica anche le nuove ‘beatitudini del nostro tempo’, vere e proprie indicazioni di programma che possono risollevare l’anima e il corpo verso una condotta di vita più serena e soddisfacente. Perché è

“beato chi sa sorridere di sé, perché non gli mancheranno mai occasioni per essere allegro; beato chi sa distinguere una montagna da un sasso, perché eviterà tanti fastidi; beato chi sa ascoltare e mantenere il silenzio, perché imparerà tante cose nuove; beato chi è attento alle richieste degli altri, perché potrà condividere tante gioie; beato chi è attento alle cose semplici e calmo davanti a quelle importanti, perché la sua vita andrà lontano; beato chi sa valutare un sorriso ed evitare parole irriguardose, perché la sua strada sarà piena di luce; beato chi, malgrado le apparenze, sa dare una spiegazione generosa dell’atteggiamento degli altri, perché sarà considerato puro di cuore; beato chi sa riflettere prima di agire e pregare prima di pensare, perché eviterà di commettere delle sciocchezze; beato in special modo chi sa vedere Dio in tutte le persone che incontra, perché troverà la luce stessa e la pace vera”.

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