La speranza vede l’invisibile, sente l’intangibile e realizza l’impossibile. Il 68° viaggio di solidarietà e speranza della Fondazione Santina in Siberia: Gulag

Pezzo di filo spinato
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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 30.10.2025 – Vik van Brantegem] – Come abbiamo annunciato [La Fondazione Santina ristruttura un refettorio per bambini poveri in Siberia – 26 settembre 2025], in occasione del 68° Viaggio di solidarietà e di speranza in Siberia, che Mons. Luigi (Don Gigi) Ginami, Presidente della Fondazione Santina e dell’Associazione Amici di Santina Zucchinelli ha svolto dal 24 al 28 ottobre 2025, è stato inaugurato a Novosibirsk un refettorio per bambini poveri in Russia. Con i suoi primi tre report, abbiamo raccontato la preparazione di Don Gigi al viaggi, che ha come tema La speranza vede l’invisibile, sente l’intangibile e realizza l’impossibile: il primo report In viaggio con due donne e tre autori, che abbiamo pubblicato il 16 ottobre; il secondo report, con cui ha presentato Don Alfredo Fecondo, un missionario in Siberia, dove la misericordia di Dio scoglie i cuori, che abbiamo pubblicato il 21 ottobre; e il suo terzo report, con cui ha presentato tre “compagni di viaggio”: Pavel Aleksandrovič Florenskij, Aleksandr Isaevič Solženicyn e Fëdor Michajlovič Dostoevskij, che abbiamo pubblicato il 23 ottobre. Al suo quarto report, che abbiamo pubblicato il 24 ottobre, ha dato il titolo Un viaggio complicato, che però mi è piaciuto chiamare Regala un sorriso in Siberia. Il quinto report, che abbiamo pubblicato il 26 ottobre, è stato scritto da Suor Daria Rasskazova, CSSE, il prossimo #VoltoDiSperanza dalla Siberia, Superiore Provinciale della Congregazione delle Suore di Santa Elisabetta e Direttrice della Caritas della Diocesi della Trasfigurazione a Novosibirsk. Il 27 ottobre abbiamo riportato il sesto report di Don Gigi, dedicato all’inaugurazione del nuovo refettorio del Centro diurno della Caritas a Novosibirsk e la visita alla famiglia di Olga a Tomsk. Oggi riportiamo il settimo e ultimo report, dal titolo Gulag (cosa era il Gulag abbiamo brevemente illustrato con il terzo report).

Poi, a conclusione del viaggio, seguirà un’Appendice: Il crimine inizia con l’indifferenza delle persone.

Report 68/7 – Gulag

Nel pomeriggio di domenica 26 ottobre 2025 incontro un luogo che amerei definire “santo”. Padre Alfredo Fecondo, FSCB, e Suor Daria Rasskazova, CSSE, con alcuni amici di Comunione e Liberazione mi portano a visitare a Lozhok i resti di un vecchio Gulag dell’era sovietica. Sono emozionato: quella visita, dopo la bella cerimonia dell’inaugurazione del refettorio a Novosibirsk, è stato il momento più significativo della mia breve visita in Siberia.

Piantina

Come vi ho detto nei primi report, in Russia con me sono venuti Fëdor, Aleksandre e Pavel, e proprio loro salgono con me in auto. Guida Padre Alfredo. Siamo a circa 100 km dalla casa della Caritas a Novosibirsk e per non perdere tempo chiedo a Fëdor: “Senti sono da poco atterrato in Siberia e mi hai detto in Italia che tu hai trascorso quattro anni di lavori forzati a Omsk, mi puoi spiegare con tue parole la singolarità di questa terra che tu ben conosci?”

Dostoevskij con grande amabilità prende la parola e mi dice: “Sono contento Gigi che non vuoi perdere tempo e forse vale la pena che prima del nostro arrivo alla sorgente miracolosa, ti racconti di questa terra. Utilizzerò le parole di un mio celebre romanzo Memorie da una casa di morti. Iniziavo quel libro con queste parole. Parlando della Siberia, pensa che quelle pagine le conosco a memoria, ascolta la mia descrizione: “Nelle lontane regioni della Siberia, fra le steppe, i monti e le foreste impraticabili, s’incontrano di tanto in tanto piccole città di un migliaio o, a dir molto, due migliaia di abitanti, città di legno, meschine, con due chiese – una in città, l’altra al cimitero – e somiglianti più a un buon villaggio alle porte di Mosca che a città. Esse sono di solito più che sufficientemente fornite di commissari di polizia, di assessori e di tutti gli altri impiegati subalterni. Prestare servizio in Siberia, nonostante il freddo, è in generale oltremodo confortevole. Ci vivono persone semplici, aliene dal liberalismo; gli ordinamenti sono vecchi, solidi, consacrati dai secoli. I funzionari, che a buon diritto rappresentano la parte della nobiltà siberiana, o sono del posto, Siberiani di vecchio ceppo, o sono venuti dalla Russia, per lo più dalle capitali, allettati da uno stipendio non pagato ad acconti, dalle doppie trasferte e da lusinghiere speranze di avvenire. Di essi, quelli che sanno sciogliere l’indovinello della vita quasi sempre rimangono in Siberia e con piacere vi mettono radici. In seguito danno ricchi e dolci frutti. Ma gli altri, la gente leggera e incapace di sciogliere l’indovinello della vita, presto si stufano della Siberia e si domandano: ‘Perché ci siamo venuti?’. Con impazienza essi compiono il loro periodo legale di servizio, tre anni, e alla sua scadenza subito brigano per il trasferimento e se ne tornano a casa vituperando la Siberia e deridendola. Hanno torto: non solo sotto l’aspetto del servizio, ma anche sotto parecchi altri, in Siberia si può vivere beati. Il clima è eccellente; ci sono molti mercanti notevolmente ricchi e ospitali; molti stranieri oltremodo rispettabili. Le signorine vi fioriscono come rose e sono costumate oltre ogni dire. La selvaggina vola per le vie e va da sé addosso al cacciatore. Di sciampagna se ne beve una quantità inverosimile. Il caviale è stupendo. Il raccolto è in certi luoghi quindici volte la semente… In generale, una terra benedetta. Bisogna soltanto saperne approfittare”.

Padre Alfredo ed io ascoltiamo in silenzio la nota pagina di Fedor e terminata la sua descrizione gli dico: “Fëdor, mi ha molto colpito il tuo riferimento all’indovinello della vita. Di che cosa si tratta?”

Fëdor mi sorride e con grande furbizia mi dice: “Quando arriveremo a Lojòk, come suole chiamare Padre Alfredo il luogo anche noto come Lozhok, ti sarà chiaro l’indovinello della vita!” Pavel ed Aleksandre sorridono in silenzio.

Arriviamo così vicino al vecchio Gulag. La natura è bellissima; grandi estensioni di betulle, un freddo intenso e la neve gelata sui campi mi danno la reale percezione della magia del bianco panorama siberiano.

Padre Alfredo ci porta a vedere la cava dove i prigionieri erano costretti ai lavori forzati. Il sole sta tramontando e la neve ghiacciata si colora del tramonto creando un silenzioso panorama da fiaba. Dalla cava ci spostiamo verso un meraviglioso laghetto vicino al quale sorge una chiesa Ortodossa.

Padre Alfredo inizia a raccontarmi di quel luogo di sofferenza: “Vedi Don Gigi, qui hanno sofferto migliaia e migliaia di persone, si pensa che da questo luogo di dolore siano passate più di trecentomila persone”.

Gli risponde: “Hai ragione Padre Alfredo, prima di venire in Siberia mi sono documentato ed ho saputo che qui, sul territorio dell’attuale microdistretto di Lozhok, dal 1929 al 1956 è stato operativo un campo di prigionia di massima sicurezza. Ho letto questo sul sito web della parrocchia in onore dell’Icona della Sorgente che dona Vita della Santa Madre di Dio. In sostanza, si trattava di un campo di sterminio: la silicosi uccideva inesorabile i prigionieri nel giro di sei mesi. I prigionieri politici erano ospitati in una zona speciale del campo, insieme a criminali comuni e detenuti penali che scontavano lunghe pene per reati gravi” [*].

Padre Alfredo mi replica: “Certo Don Gigi, queste persone erano innocenti e ora sono state riabilitate. Molti di loro hanno sofferto per la loro Fede. Alla periferia del quartiere, una sorgente curativa – la Fonte Sacra – sgorga come memoriale intangibile di tutti coloro che avevano sofferto. Andiamo a vederla!”

Mentre calpestiamo la neve ghiacciata, il magico e bellissimo luogo si carica del mistero della sofferenza di tante persone. Cammina vicino a me Pavel ed è assorto in un mistico silenzio, quasi rispettoso del luogo che stiamo visitando. Florenskij guarda le prime stelle in cielo e poi si rivolge a me e mi sussurra a bassa voce: “Quando avrete un peso nell’animo, guardate le stelle o l’azzurro del cielo. Quando vi sentirete tristi, quando vi offenderanno, quando qualcosa non vi riuscirà, quando la tempesta si scatenerà nel vostro animo, uscite all’aria aperta e intrattenetevi da soli col cielo. Allora la vostra anima troverà la quiete” (Pavel Florenskij, Non dimenticatemi).

Queste meravigliose parole entrano nel mio cuore, e interrogo il mio cuore e le tempeste che spesso vivo in esso. È proprio vero la Siberia sta curando il mio cuore, grazie a questi luoghi ed alla guida eccezionale di tre vecchi amici. Partendo da Bergamo interrogavo il mio cuore sulle tempeste trascorse e su come spesso l’intrattenermi da solo con il cielo riusciva a dare risposte all’indovinello della vita descritto da Fëdor.

La Siberia è a sei ore di fuso orario di distanza dall’Italia, in questo luogo inizio a sentire anche la stanchezza dell’intera giornata. Mentre camminiamo nel paesaggio incantato è Suor Daria a spiegarmi bene questo luogo: “Guarda Don Gigi, il posto che stiamo per visitare custodisce una Fonte Sacra e ti racconto la leggenda molto amata dalla Chiesa Ortodossa. La sorgente sarebbe apparsa all’improvviso, in una regione che un tempo era aspra e desolata, nel momento in cui la fredda tundra fu inondata dal sangue sacro di un gruppo di martiri che, con il loro sacrificio eroico, rinnovarono la terra di Siberia. Costoro erano un numero di quaranta e inavvertitamente ostili alla dittatura per motivi religiosi. Secondo alcune versioni, la leggenda narra di quaranta sacerdoti deportati in Siberia proprio per la loro Fede. In altre, i protagonisti della storia sono quaranta prigionieri laici finiti nei Gulag per motivi politici indefiniti, ma che conservavano nel cuore una devozione autentica. Determinati a celebrare le festività, si rifiutano di lavorare di domenica e per questo motivo suscitano l’odio dei loro carcerieri, che decidono di eliminarli. In entrambi i casi, i carnefici avvertono la necessità di portare a termine la condanna a morte in relativa segretezza e al di fuori dei confini del Gulag, per evitare di provocare una rivolta tra gli altri prigionieri. I quaranta martiri, infatti, erano eccezionalmente carismatici e godevano di grande popolarità nel campo di lavoro. Così, le vittime vengono condotte nel folto di un bosco, e proprio lì offrono la loro anima a Cristo. Il prodigio che ne deriva, l’abbiamo già menzionato: quando il caldo sangue dei martiri bagna la terra siberiana, improvvisamente lì scaturisce miracolosa una sorgente d’acqua. Le autorità scosse cercano di mantenere riservato quanto accaduto, ma come in ogni leggenda esiste sempre l’amico di un cugino che si trova a conversare con un torturatore reso loquace dalla vodka. E, in modo provvidenziale, la storia si rivela. I fedeli increduli si dirigono verso il luogo del martirio e, immergendosi in quell’acqua sacra, ottengono infinite benedizioni. E da quel punto, inevitabilmente, scaturisce la devozione”. Suor Daria continua, dicendo che sotto la chiesa Ortodossa vi è un museo in cui sono raccolti oggetti appartenuti ai martiri ed anche la raccolta di alcuni libri a loro dedicati.

Il freddo si fa più intenso e per giungere alla Sacra Fonte dobbiamo passare terreni ancora recintati da filo spinato, che delimitava il campo in cui lavoravano i prigionieri. Guardo con attenzione il filo spinato arrugginito e non resisto… Con le mani afferro un pezzo e con forza piego il duro filo metallico diverse volte, dopo diversi tentativi riesco a staccarne un pezzo, quasi una reliquia.

Lo avvolgo nel fazzoletto appartenuto ad un amico Carlo e con devozione metto il filo spinato così avvolto in tasca.

Gli amici mi guardano, e Aleksandre commenta: “Vedi Don Gigi, lo scopo della vita è la maturazione dell’anima. Non rincorrere quello che è illusorio, come la proprietà o la posizione. Tutte cose che vengono ottenute a spese dei nervi, decennio dopo decennio, e sono confiscate nella notte della caduta” (Aleksandre Solženicyn, Arcipelago Gulag).

Davvero questo viaggio è un profondo itinerario interiore, le parole di Aleksandre mi interrogano: spesso nella mia vita ho vissuto per ciò che è illusorio ed ho rincorso magari il fascino della carriera… forse quello dei soldi no, ma in questa terra bellissima a contatto con la sofferenza che ricorda questo luogo sono costretto a ritornare all’essenziale.

Il nostro cammino nella notte prosegue e, avvolti nel silenzio giungiamo alla Sacra Fonte. Sopra di essa è sorta una bellissima chiesa Ortodossa. Tale architettura ortodossa ha un fascino formidabile su di me anche perché collocata in un cielo pieno di stelle, quelle stelle alle quali Pavel mi ha detto di rivolgermi per pensare con più calma.

Ci dirigiamo alla fonte, la temperatura è sottozero e l’acqua non è ghiacciata perché la fonte è custodita da un portale di legno.

Guardo Suor Daria, e lei capisce che vorrei bere quell’acqua miracolosa, apre il portellone e con un lungo mestolo toglie l’acqua miracolosa, raccolgo le mani e la donna versa acqua. La sensazione di acqua ghiacciata sulle mani è forte, ma riesco a berne due sorsi, mentre prego con le dita ghiacciate dico dentro di me: “Gesù per intercessione di questi martiri della Fede donami salute, donami di essere sempre prete felice e che possa servire i poveri attraverso la Fondazione Santina”.

Mentre bevo quest’acqua ghiacciata, la stanchezza svanisce e recupero le forze al termine della lunga giornata. Non sono sicuro che sia un autentico miracolo, ma a me piace pensare di sì, credere in una singolare coincidenza. E da quella sera sparisce ansia e preoccupazione, la testa si calma.

Suor Daria chiede di bere anche Lei e così anche io verso nelle sue mani l’acqua miracolosa… La pace entra nella mia mente e giunge nel cuore. Ero venuto dall’Italia con mille preoccupazioni e tante domande, e quella sera alla fonte miracolosa la pace entrava nel cuore: il sorriso buono e i meravigliosi occhi di Suor Daria promuovevano fiducia in Dio, un Dio che costruisce capolavori nelle più grandi sciagure e dolori in questo terribile campo di lavori forzati. Come ha saputo, cambia anche il dolore di mia madre Santina in opportunità di bene per questa terra.

Aleksandre sembra intuire il mio pensiero e all’orecchio mi suggerisce parole profondissime: “Gigi, qui ti è stato gradualmente rivelato, che la linea che separa il bene dal male non passa attraverso gli Stati, né tra le classi, né tra i partiti politici, ma attraversa il cuore di ogni uomo” (Aleksander Solženicyn, Arcipelago Gulag). Quella sera, Solženicyn con le sue forti parole chiedeva di essere consapevole che la linea di separazione del bene dal male la elaboro sempre nel cuore ed è proprio nel cuore che devo lavorare sulla mia interiorità.

Mentre camminavo, mi chiedevo: ma quanto tempo impiegherò a costruire una interiorità più vicina al cuore di Gesù? Pavel mettendomi una mano sulla spalla riempie di gioia la mia mente dicendomi: “L’importante è che tu non abbia fretta e badi con tranquillità alla tua crescita: non perdere tempo a vuoto, ma non cercare neanche di affrettare la crescita, tutto verrà a suo tempo” (Pavel Florenskij, Non dimenticatemi).

Ecco la risposta all’indovinello della vita di Dostoevskij che Florenskij mi suggerisce, e che io suggerisco a voi, da questa notte fredda incantevole e piena di stelle in Siberia.

Al mio ritorno in Italia, questa Terra mi mancherà molto…

[*] Il campo OLP-4 a Lozhok, operativo dal 1929 al 1956, era di un regime particolarmente severo, uno dei punti più terribili del sistema dell’Arcipelago Gulag. In 27 anni di attività del campo, più di 30.000 persone morirono in questo luogo. I prigionieri lavoravano in due cave di calcare senza dispositivi di protezione individuale: la polvere di calcare uccideva un uomo in media dopo sei mesi. I corpi venivano bruciati nelle fornaci di una vicina fabbrica di mattoni o sepolti nelle foreste e nei campi circostanti. I prigionieri non erano solo criminali, ma anche sacerdoti, persone che avevano tentato di fuggire da altri campi, così come prigionieri politici. Tra i prigionieri c’erano uomini, donne e bambini nati nel campo. Dopo la chiusura del campo, le baracche in cui vivevano i prigionieri furono distrutte. Al loro posto, negli anni settanta, furono costruiti il palazzo della Cultura, lo stadio sportivo e la scuola.

Le sorgenti sotterranee riempirono una delle cave, trasformandola in un lago. Sul suo fondo si trovano ancora trattori e altre attrezzature dell’epoca. Un’altra cava è ricoperta dalla vegetazione. Il paesaggio qui è saturo di narrazioni sul suo passato comunista e sugli eventi successivi. Nonostante i tentativi dell’uomo, della natura e del tempo di nascondere le tracce di quei terribili eventi, questo luogo ricorda tutto con precisione.

Foto di copertina: tornato a casa a Bergamo, Don Gigi ci mostra il pezzo dal recinto di filo spinato, che delimitava il campo in cui lavoravano i prigionieri del Gulag, a Lozhok. Quasi… no, è una vera reliquia.

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