Il Vescovo di Piazza Armerina – a processo per falsa testimonianza – si nasconde dietro il rito abbreviato e si oppone all’ammissione come parte civile della vittima dell’ex parroco pedofilo

Rosario Gisana
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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 30.10.2025 – Ivo Pincara] – Ieri abbiamo riferito, che in un Tribunale di Enna blindato da polizia e carabinieri si era aperto il processo contro il Vescovo di Piazza Armerina, l’insabbiatore seriale Mons. Rosario Gisana e il Vicario Giudiziale diocesano, Mons. Vincenzo Murgano, Parroco della chiesa madre di Enna, ambedue accusati di falsa testimonianza nel processo all’ex sacerdote della Diocesi di Piazza Armerina, Signor Giuseppe Rugolo, condannato per violenza sessuale a danno di minori a 4 anni e mezzo in primo grado e 3 in appello. La vicenda ha scosso profondamente la comunità ecclesiastica e civile ennese, portando alla riduzione allo stato laicale del sacerdote.

Oggi, Federico Tourn è ritornato sull’Udienza preliminare di ieri, con un contributo da cui riportiamo le parti significative. La giornalista d’inchiesta spiega cosa sta succedendo. Osserva, che il Vescovo di Piazza Armerina, Mons. Rosario Gisana – a processo al Tribunale di Enna per falsa testimonianza nel provvedimento in cui Don Giuseppe Rugolo è stato condannato in primo e in secondo grado – ha richiesto il rito abbreviato, per escludere il pubblico e i giornalisti dalle Udienza. Inoltre, ha chiesto che la vittima dell’ex prete, Antonio Messina, non sia ammessa come parte civile (ma non avevano detto che erano solidali con le vittime):

«Anche da imputato, Gisana continua ad aggredire Antonio Messina: il vescovo insiste a difendere il parroco pedofilo e ad accusare la vittima e la sua famiglia. (…)

La Diocesi di Piazza Armerina, nel cuore della Sicilia, continua a essere l’epicentro di un terremoto che scuote la Chiesa italiana e che tutti sembrano far finta di non sentire.

(…) il nuovo difensore di Gisana, l’avvocato Pierfrancesco Bruno, ha presentato istanza per accedere al rito abbreviato, che non soltanto permette lo sconto di un terzo della pena in caso di condanna, ma prevede anche che le udienze si tengano a porte chiuse. (…) ancora una volta, come per il processo Rugolo, non sarà possibile per i giornalisti registrare le udienze, o per i fedeli sentire con le proprie orecchie gli edificanti esempi della morale del loro vescovo.

Ma non è tutto: gli avvocati degli imputati hanno chiesto di inserire tra le parti offese il Ministero della Giustizia, sostenendo che in questo caso l’unico soggetto leso è lo Stato. (…) “Il reato di falsa testimonianza è contro l’amministrazione della giustizia, quindi la parte offesa per eccellenza è il Ministero della Giustizia, che rappresenta lo Stato – chiarisce Eleanna Parasiliti, avvocata di Antonio Messina – ma la giurisprudenza riconosce come parti lese anche chi ha subito pregiudizio dal reato e chi era parte offesa nel processo in cui si è verificata la falsa testimonianza». «Inoltre – aggiunge l’avvocata Parasiliti – la Procura ha espressamente riconosciuto Antonio Messina come parte offesa nel decreto di citazione a giudizio di Gisana e Murgano”.

(…) al di là delle opportunità giuridiche, fa indignare che la richiesta di escludere Antonio Messina e la sua famiglia dalle parti offese venga da un vescovo. In particolare da quel vescovo, Rosario Gisana, che per anni aveva assicurato ad Antonio e alla sua famiglia (mentendo) che era dalla loro parte; lo stesso vescovo che aveva anche promesso che avrebbe allontanato per sempre Rugolo da Enna e invece lo aveva poi promosso parroco della chiesa di San Cataldo. Ora Gisana – che, lo ricordiamo, veniva definito da Papa Francesco «uomo giusto», «calunniato e perseguitato» – non vuole che Messina venga annoverato fra le parti civili perché non lo ritiene parte lesa: in sostanza non lo riconosce come vittima di tutta questa storia.

Ma se Gisana e Murgano hanno mentito durante il processo in cui si doveva stabilire se Giuseppe Rugolo era un abusatore, chi più delle sue vittime (fra cui Antonio Messina) può definirsi parte lesa? Tanto più che una delle menzogne di cui il vescovo Gisana dovrà rispondere riguarda direttamente Antonio e la sua famiglia: al centro delle contestazioni, infatti, c’è la famigerata richiesta di 25 mila euro della Caritas che, secondo la versione del vescovo, sarebbe arrivata dalla famiglia Messina ma che invece veniva proprio da Gisana, che aveva proposto alla vittima la somma in contanti in cambio del silenzio. Una dinamica che abbiamo già visto in molti altri casi di abusi clericali, utile a prevenire lo scandalo pubblico, massima preoccupazione della Chiesa.

Per usare le parole dei giudici, durante l’udienza del 10 ottobre 2022 Monsignor Gisana aveva “affermato il falso o negato il vero”, omettendo quindi parte di ciò che sapeva. “Le false testimonianze riguardano più aspetti – ricorda l’avvocata Parasiliti – non solo Gisana ha mentito sulla richiesta dei soldi prelevati dalla Caritas, ma ha anche negato di essere a conoscenza di altri casi di abuso di Rugolo, così come ha negato di essere al corrente di altri abusatori nella sua diocesi”. Dettagli certamente non di secondo piano, raccontati dalla viva voce del vescovo e registrati dal solerte Rugolo con il telefono durante un incontro privato fra i due, come abbiamo documentato nel podcast La Confessione. Dalle indagini emerge anche un altro episodio: secondo gli inquirenti, il vescovo avrebbe informato Don Rugolo dell’indagine ecclesiastica a suo carico e gli avrebbe persino consegnato una copia della denuncia presentata dalla vittima.

Don Murgano, dal canto suo, durante l’udienza del 14 marzo 2023 “negava di aver dato a Rugolo Giuseppe consigli sulla strategia difensiva da adottare in sede processuale” e, per ridimensionare il proprio ruolo nella vicenda, “affermava falsamente di essersi intrattenuto soltanto per i saluti, ‘una decina di minuti’, nelle due occasioni in cui aveva accompagnato Rugolo Giuseppe dal suo difensore”. Ma i rapporti tra i Murgano e Rugolo risalgono a molto tempo prima. Già nel 2015, quando Antonio Messina gli aveva confidato l’abuso subito, Don Murgano gli aveva suggerito di non denunciare l’accaduto e di non informare nemmeno il vescovo. Il prete, che all’epoca dell’abuso aveva raccolto le confidenze dell’adolescente, oggi si accoda al vescovo nella volontà di escluderlo dalle parti civili (e quindi anche dalla possibilità di assistere alle udienze).

Per il vescovo e il vicario, insomma, Messina non è una vittima, nonostante due sentenze di condanna a Don Rugolo che gli danno ragione. Alla faccia delle tante parole di solidarietà alle vittime di abuso spese da papi e gerarchie in questi ultimi anni, e alla faccia anche della Vos estis lux mundi, il Motu proprio di Papa Francesco dedicato alla prevenzione, al contrasto e alla repressione degli abusi sessuali sui minori, che prevede fra le altre cose che i vescovi segnalino all’autorità giudiziaria gli abusi di cui vengono a conoscenza. Non è un obbligo giuridico (in Italia i vescovi non sono ufficiali giudiziari in virtù del Concordato e Gisana sa benissimo che non è obbligato a riferire quel che sa alla polizia: è lui stesso a ricordarlo ai magistrati che lo interrogano durante l’inchiesta su Rugolo) ma rimane perlomeno un obbligo morale. Dell’una e dell’altro, della solidarietà e dell’obbligo morale, Gisana se ne infischia altamente, non preoccupandosi di rivittimizzare Antonio Messina con la meschina richiesta di escluderlo dalla costituzione delle parti civili.

Sembra incredibile che un vescovo, intercettato più volte mentre dichiara complicità e proclama candidamente insabbiamenti, sia rimasto al suo posto. È stupefacente che sia ancora in sella come se nulla fosse successo: come se il prete che ha protetto non fosse stato condannato per violenza sessuale e come se lui stesso – prima volta in Italia – non fosse ora alla sbarra a dover rispondere di falsa testimonianza in un caso di abuso su minori. Ma l’Italia, si sa, è un paese pieno di sorprese e la Chiesa lo è ancora di più: come non ricordare, a questo proposito, che l’attuale Papa era fino al maggio scorso Prefetto del Dicastero per i Vescovi? Il massimo che ha fatto nei confronti di Gisana è stato inviare a inizio anno a Enna un visitatore apostolico, l’Arcivescovo di Gorizia, Monsignor Carlo Roberto Maria Redaelli, per relazionare a Papa Francesco sulla salute della diocesi. Qualunque cosa fosse scritta in quella relazione non deve aver impressionato Bergoglio, che era amico di Gisana e quindi un suo intervento sanzionatorio era fuori discussione, e tantomeno Prevost, che si guardava bene dal fare qualcosa che potesse indisporre il suo bizzoso superiore.

E ora che è diventato Papa, Prevost sembra non riuscire a procedere e a prendere decisioni nette, come si capisce bene dalla gestione del caso Quispe: sta lì, tentenna, esita, attende, quasi che Francesco potesse ancora intervenire a fargli una lavata di capo per aver toccato un suo amico e magari licenziarlo. Di questo attendismo di Leone XIV, Gisana approfitta per diventare sempre più arrogante come un monarca sordo alle proteste dei suoi sudditi, mentre Antonio Messina deve aspettare il prossimo 19 novembre per sapere se potrà essere riconosciuto parte lesa al processo del vescovo che ha coperto, finanziato e sostenuto il prete che lo ha abusato quando era ragazzino».

In un podcast allegato a questo articolo. Federico Tourn fa ascoltare Antonio Messina che spiega nei dettagli che cosa è successo al Tribunale di Enna e perché il Vescovo Gisana ha mentito:

«Nel corso dell’udienza dibattimentale che si è tenuta ad Enna, a carico del Vescovo Rosario Gisana e di Monsignor Vincenzo Murgano, che ho denunciato il 2 luglio dello scorso anno, rinviati appunto a giudizio per aver dichiarato il falso nel corso del procedimento penale a carico del sacerdote, sempre da me denunciato, Giuseppe Rugolo, ha avuto dei connotati, ancora una volta, del tutto sintomatici e particolari. Già all’inizio, onestamente, del mio ingresso in tribunale sono rimasto alquanto turbato per l’ennesima volta degli atteggiamenti e quindi delle misure di assoluta tutela che vengono attuate da parte di determinate istituzioni e mi dispiace coinvolgendo anche gli agenti delle forze dell’ordine che poi si ritrovano a dover svolgere un servizio su determinate indicazioni perché è stato impedito l’accesso al tribunale da parte di alcune persone che volevano semplicemente sostenermi e che volevano anche condividere con me del tempo prima dell’udienza predibattimentale che in quanto svolta in Camera di Consiglio, non era un’udienza chiaramente pubblica e aperta al pubblico, ma nessuno di queste persone avrebbe avuto la pretesa di voler accedere forzatamente dentro l’aula, volevano semplicemente entrare in una struttura pubblica. Ecco, vedere ancora una volta la presenza di decine di agenti delle forze dell’ordine in borghese presenti in un tribunale a dover a questo punto sbattere e chiudere le porte a gente perbene che fino a questo momento si è sempre distinta per la correttezza con la quale anche poche forme di manifestazione sono sempre state svolte nel completo e nel pieno rispetto della legge mi ha fatto particolarmente specie perché questa, ripeto, è ancora una volta non solo un’ingerenza del potere istituzionale, ma significa voler lanciare un messaggio ben chiaro, tutelare non l’ordine pubblico. Questo mi permette, mi assumo le responsabilità delle mie affermazioni, questo significa volere tutelare le persone di Rosario Gisana e di Vincenzo Murgano che sono fino a prova contraria cittadini italiani al paro degli altri e qui invece si fa una discriminazione ancora una volta e mi ha riportato alla mente l’udienza che ha visto come testimoni proprio il vescovo e il vicario Nino Rivoli nel processo Rugolo. In quell’occasione i due testimoni sono stati fatti accomodare in una stanza appartata per non essere visibili al pubblico. Dico, lascio molte le considerazioni su questo caso, ma io ripeto, trovo assolutamente assurdo che persone perbene siano state allontanate da un tribunale, che fino a prova contraria tuttavia è un luogo pubblico, e tuttavia io credo che ci si possa recare all’interno dei tribunali anche per poter eseguire delle udienze altre che sono per l’appunto pubbliche e che possono dare la possibilità alle persone di partecipare.

Ma tolta questa parentesi in merito al processo, Gli avvocati della difesa di Gisana e di Murgano hanno avanzato la richiesta di non ammettere parte civile, l’associazione dell’abuso e l’associazione contro tutte le violenze, di non ammettere parte civile a questo procedimento i miei genitori, ma cosa ancora più grave, di non ammettere quale parte civile me in quanto persona offesa, in quanto sostengono che io non avrei appunto ricevuto un danno dalla falsa testimonianza. Io premetto che questo in realtà è tutto da vedere, perché io un danno da questa falsa testimonianza invece ritengo di averlo assolutamente ricevuto, anche perché ad oggi nessuno può dire che i giudici in primo e in secondo grado non siano stati influenzati da quelle che sono le dichiarazioni del Vescovo Rosario Gisana e di Vincenzo Murgano. Basti già pensare semplicemente a quelle che sono le faccende di natura economica, che io ho più volte segnalato e i cui atti appunto non sono talvolta stati valutati nell’ambito del procedimento anche per un vero e proprio tentativo del vescovo di continuare a sviare questa vicenda così come anche quanto riferito dal vescovo in merito ad altri casi di abuso che sono emersi nel corso del procedimento e all’interno degli atti e delle indagini. Ecco, di questi ulteriori casi di abuso di cui il vescovo è a conoscenza, perpetrati da altri sacerdoti della sua diocesi, ad oggi nessuno è intervenuto per attestare e quindi di conseguenza verificare le responsabilità penali di chi si è macchiato di questi reati. Quindi, a mio avviso, nel momento in cui il Vescovo è venuto anche a dichiarare di non avere contezza di altri casi o di non conoscere altri casi, lo ha fatto sia dinanzi al Pubblico Ministero e tradendo poi le sue parole e quanto invece era presente all’interno delle intercettazioni. Lo ha fatto anche in aula, questo è automaticamente già un danno che ha recato alle vittime e che ha recato anche a me perché comunque il vescovo ha adottato ancora una volta una condotta nella quale lui cerca di sollevarsi da responsabilità che invece poi sono chiare all’interno degli atti delle indagini. Quindi, io onestamente mi auguro che il presidente valuti effettivamente la necessità di ammettermi quale parte civile a questo processo. Io lo ritengo doveroso anche per tutto quello che io sto portando avanti da numerosi anni a questa parte».

Intanto, rimaniamo in attesa delle dimissioni del Vescovo di Piazza Armerina.

Caso Rugolo – Indice

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