Sulla voce di Pietro e l’ermeneutica del fiato

Papa Leone XIV
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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 16.10.2025 – Mario Proietti] – Provo un senso di disagio. Progressisti, tradizionalisti, militanti e non militanti, sedevacantisti, irriducibili tridentini, insaziabili piquintini, atei, nostalgici, agnostici e radicali: tutti uniti a fare le pulci al Papa. Meno male che Gesù ha detto: “Guai a voi se tutti diranno bene di voi.” Sono costretto a intervenire, così non si potrà dire che taccio, perché Gesù non prevede nemmeno che tutti parlino male di voi. C’è chi dice che non abbia parlato abbastanza da Papa, chi sostiene che abbia perso un’occasione, chi vorrebbe sentirlo ruggire come un leone. Alcuni lo sognano come un crociato, altri come un diplomatico. In realtà il Papa non risponde a queste immagini, segue soltanto il Vangelo e il compito che Cristo gli ha affidato.

Leone XIV parla con calma, sceglie parole sobrie, costruisce ponti di pensiero più che bastioni di parole. È un linguaggio che scende in profondità, non cerca il clamore, educa alla verità con la forza della luce. Quando ricorda la dignità dell’uomo, la memoria delle radici e la difesa della vita, non sta commentando l’attualità, sta ripresentando l’antropologia Cristiana nella lingua del nostro tempo.

Il Papa non è un giudice, non è un politico, non è un commentatore. È il successore di Pietro, colui che tiene unito il gregge nella Fede. Il suo compito non consiste nel soddisfare aspettative, ma nel confermare nella verità. Il suo silenzio teologico in certi contesti parla con la stessa forza di un’Enciclica, perché in un mondo stanco di grida la chiarezza nasce dalla sobrietà.

Leone XIV cammina con passo sicuro. Il Leone non deve ruggire per essere re della foresta. Gli basta avanzare nella luce che gli è affidata, e chi ha cuore attento riconosce la forza che lo guida.

Ogni volta che il Papa parla, c’è chi prepara la penna per correggerlo. Ogni volta che tace, qualcuno interpreta il silenzio. Le interviste vengono trattate come documenti magisteriali e ogni fiato come un dogma. La parola del Papa viene spesso estratta dal contesto e rimontata secondo il gusto del lettore. È nata un’ermeneutica senza Fede, una lettura che non vuole capire, ma giudicare.

Benedetto XVI aveva insegnato la via della continuità. Indicava il Concilio come parte di una storia guidata dallo Spirito. Oggi si preferisce la lettura frammentata, quella che misura ogni frase e cerca in essa conferme o sospetti. Chi rifiutava l’ermeneutica della Fede si dedica ora all’ermeneutica del fiato, analizzando ogni parola per stabilire se risponde alle proprie idee.

Il Papa non è un testo da interpretare, è una voce da ascoltare. Ogni suo gesto nasce da un incontro, ogni parola da una responsabilità. L’ascolto vero nasce dall’umiltà, non dal bisogno di avere ragione. Chi ascolta con cuore libero comprende anche ciò che non è detto. Chi ascolta per giudicare smarrisce il senso della comunione.

La Chiesa cresce nell’ascolto, non nella polemica. Il Papa è la voce che unisce, non l’oggetto di un’indagine. In un tempo che consuma le parole, l’obbedienza intelligente è la forma più alta di libertà. L’ermeneutica del fiato nasce dalla paura di perdere il controllo sul mistero.

La Fede autentica accoglie, prega e custodisce. La voce di Pietro attraversa i secoli come eco del Vangelo. Chi vive in comunione con essa non cerca il rumore delle piazze, ma la pace del cuore.

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