Coma e stato vegetativo: come “fanno notizia” sui media, come sono vissuti dalle famiglie

Mano nella mano familiare e malato
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Mano nella mano in ospedaleQuando finiscono sui giornali, i due temi sono affrontati troppo spesso in modo sensazionalistico ed emotivo: a picchi di attenzione per casi personali non si accompagna neppure un linguaggio privo di ambiguità. Ecco la sintesi di una recente indagine dell’Università di Bologna sul tema e l’appello di tante famiglie: quando si spengono le luci della ribalta, che cosa resta? Le poche strutture pubbliche adatte alla cura e riabilitazione delle persone in stato vegetativo non possono fare l’impossibile: centinaia di famiglie costrette a vivere in solitudine il dramma di accudire per lungo tempo i propri cari.

NOTIZIA – Quando il coma “fa notizia”, quasi sempre questo avviene in modo sensazionalistico ed emotivo. Non è un luogo comune, ma il risultato di una ricerca realizzata dall’Università di Bologna insieme all’associazione “Amici di Luca” nell’ottobre 2007: il monitoraggio per sei mesi delle notizie sul coma apparse su quattro quotidiani (Repubblica, Resto del Carlino, Avvenire e Metro) mostrava cinque tendenze: 1) la spettacolarizzazione della notizia, ossia la tendenza a trattare il coma in relazione a personaggi noti del mondo della politica, dello spettacolo e dello sport; 2) la prevalenza di un’attenzione al coma in relazione alla malattia e alla morte come vicenda personale, ma anche come dibattito etico sul tema dell’eutanasia; 3) la rilevazione di picchi di attenzione al fenomeno legati a “casi” in cui predomina l’elemento sensazionalistico ed emotivo, con l’uso della categoria del “miracolo”; 4) l’uso di un linguaggio talvolta ambiguo in cui tendono a confondersi le definizioni di coma, coma farmacologico, morte cerebrale e stato vegetativo, accentuata dal ricorso frequente al linguaggio metaforico (buio, risveglio, sonno, lotta); 5) l’attenzione al prima e agli stadi finali del coma, definendo il coma più come problema personale anziché familiare e sociale.

VITA – “Le famiglie con una persona cara in coma o in stato vegetativo chiedono che il cono di luce che periodicamente si accende sui loro problemi possa trasformarsi, una volta ritornati nell’ombra, in qualcosa di fattivo, di costruttivo, in qualcosa che continui a illuminare le loro vite e i loro bisogni”, commentava allora Fulvio De Nigris, direttore del Centro studi per la ricerca sul coma e fondatore dell’associazione ”Gli amici di Luca” di Bologna. “Chiedono non più sensazionalismi, non più storie fini a se stesse, non più soltanto lacrime e richieste di sfoghi, ma aiuti concreti attraverso approfondimenti sulle problematiche dell’assistenza, senza sottrarsi alla disponibilità di parlare. Anche a nome dei loro cari, che a volte non hanno parola diretta ma che comunque hanno modo di esprimersi attraverso il loro sentire”. Un riferimento chiaro alla estrema rarità di strutture pubbliche adatte alla cura e riabilitazione delle persone in stato vegetativo a seguito di traumi. Tale carenza condanna centinaia di famiglie a vivere in solitudine il dramma di accudire per lungo tempo persone in stato vegetativo, una condizione che richiede livelli di assistenza a basso contenuto tecnologico ma ad elevato impegno umano ed assistenziale. La sfida è quella di mettere la famiglia al centro della terapia per i pazienti in coma, con una “alleanza” tra familiari, personale sanitario e volontari. Un’azione che ogni 7 ottobre vive in una vera e propria “Giornata nazionale dei risvegli per la ricerca sul coma”.

CENTRI – Un piccolo elenco di strutture: c’è l’Istituto “Eugenio Medea”, fondato dall’associazione “La Nostra Famiglia”, che ha varie sedi in diverse regioni (a Bosisio Parini, in provincia di Lecco, ma anche nel Veneto con i centri di Conegliano e Pieve di Soligo, in Puglia con la struttura di Ostuni vicino Brindisi, e in Friuli Venezia Giulia a San Vito al Tagliamento, vicino Pordenone). A Bologna, ci sono il Centro studi per la ricerca sul coma e la Casa dei risvegli “Luca De Nigris”, mentre a Porto Potenza Picena (Marche) c’è l’Istituto di riabilitazione “Santo Stefano”. A Roma esistono “Casa Dago”, il fiore all’occhiello dell’Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico Fondazione Santa Lucia che opera in collaborazione con Arco92 (Associazione per la riabilitazione del comatoso), e le due Unità di neuroriabilitazione speciale di risveglio dell’ospedale San Giovanni Battista (gestito dall’Associazione dei cavalieri italiani del sovrano militare ordine di Malta). Al Sud, infine, sono attivi l’Istituto Sant’Anna di Crotone, Villa Verde a Lecce e il Centro neurolesi “Bonino Pulejo” di Messina. Tutte strutture dove i pazienti in coma e quelli in stato vegetativo sono curati, pur con tutte le ovvie differenze di ogni singola situazione personale.

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