La Chiesa verso COP30 per una giustizia climatica

Oggi è stato presentato un documento sui temi della giustizia climatica, della conversione ecologica e della cura della Casa Comune, che è stato frutto del discernimento collettivo delle Chiese dell’Africa, dell’America Latina e dei Caraibi e dell’Asia in preparazione alla COP30, intitolato ‘Un llamado por la justicia climática y la casa común: conversión ecológica, transformación y resistencia a las falsas soluciones’ e redatto dal Simposio delle Conferenze Episcopali di Africa e Madagascar (SECAM), dalla Federazione delle Conferenze Episcopali dell’Asia (FABC) e dal Consiglio Episcopale Latinoamericano (CELAM), coordinate dalla Pontificia Commissione per l’America Latina (PCAL).
Presentando il documento il card. Jaime Spengler, arcivescovo di Porto Alegre, e presidente del CELAM e della CNBB, ha sottolineato che questo documento non è un gesto ‘isolato’, ma trae ispirazione dall’enciclica ‘Laudato sì’: “E’ il frutto di un processo sinodale, di un discernimento spirituale e comunitario tra Chiese sorelle del Sud del mondo: Africa, Asia e America Latina e Caraibi. Contiene i principali punti di difesa, proposte e denunce avanzate dalla Chiesa, in conformità con il Magistero di papa Francesco e papa Leone XIV, in relazione alla crisi climatica e alle questioni in discussione alla COP30”.
Il documento stabilisce un’importante relazione, per cui non esiste giustizia climatica senza conversione ecologica, e non esiste conversione ecologica senza resistenza alle ‘false soluzioni’: “Dal cuore dell’Amazzonia, sentiamo un grido che grida: come possiamo permettere che un mercato senza regole etiche decida il destino degli ecosistemi più vitali del pianeta? Come possiamo accettare che la soluzione climatica sia un affare per pochi e un sacrificio per i popoli indigeni, gli afrodiscendenti e le comunità locali? Abbiamo urgente bisogno di prendere coscienza della necessità di cambiamenti negli stili di vita, nella produzione e nel consumo”.
Il documento è una denuncia degli ‘interessi’ capitalisti: “Denunciamo il mascheramento di interessi dietro nomi come ‘capitalismo verde’ ed ‘economia di transizione’, che perpetuano logiche estrattive e tecnocratiche. Rifiutiamo la finanziarizzazione della natura, i mercati del carbonio, le ‘monocolture energetiche senza previa consultazione’, la recente apertura di nuovi pozzi petroliferi, ancora più grave in Amazzonia, e l’attività mineraria abusiva in nome della sostenibilità”.
L’arcivescovo ha ribadito il valore della conversione ecologica: “Siamo convinti che la conversione ecologica non sia un’opzione per i cristiani, ma un’opzione evangelica, e crediamo, con speranza pasquale, che sia ancora possibile cambiare. Naturalmente. Lo faremo con i piedi per terra e il cuore nel Regno”.
Anche il card. Filipe Neri Ferrão, arcivescovo di Goa e Damão, presidente della FABC indiana, ha sottolineato la valenza pastorale del documento: “E’ un appello alla coscienza di fronte a un sistema che minaccia di divorare il creato, come se il pianeta fosse solo un’altra merce. Il documento che presentiamo è il riflesso di un discernimento collettivo, in prospettiva sinodale e in comunione con le Chiese d’Africa e d’America Latina. Non si tratta solo di cambiare le politiche; si tratta di cambiare i cuori”.
L’intervento si è focalizzato sulla situazione ambientale asiatica: “In Asia, milioni di persone stanno già subendo gli effetti devastanti del cambiamento climatico: tifoni, migrazioni forzate, perdita di isole, inquinamento dei fiumi… E nel frattempo, avanzano false soluzioni: mega infrastrutture, spostamenti per un’energia ‘pulita’ che non rispetta la dignità umana, e attività minerarie senza anima in nome delle batterie verdi”.
Ed ha chiesto maggiore responsabilità agli Stati più ‘sviluppati’: “E’ necessario che i Paesi più sviluppati riconoscano e si assumano il proprio debito sociale ed ecologico, in quanto principali responsabili storici dell’estrazione di risorse naturali e delle emissioni di gas serra. Si stima che questo debito climatico del Nord del mondo raggiungerà i 192 trilioni di dollari entro il 2050. Inoltre, si stima che circa due trilioni di dollari vengano sottratti ogni anno al Sud del mondo, attraverso meccanismi aziendali, bancari e governativi. Chiediamo pertanto finanziamenti per il clima equi e accessibili per le comunità e le organizzazioni locali, comprese le donne, che non generino ulteriore debito, per garantire la resilienza nel Sud del mondo”.
E’ stata anche una richiesta precisa alla Chiesa: “Allo stesso modo, come Chiesa, al di là delle critiche, vogliamo promuovere alternative: programmi educativi, nuovi percorsi economici basati sulla decrescita, economie circolari, spiritualità ecologica, politiche di protezione, accompagnamento di donne e ragazze ((le più colpite) e rafforzamento delle reti interreligiose per la difesa della vita”.
Mentre dall’Africa il card. Fridolin Ambongo Besungu, arcivescovo di Kinshasa, nella Repubblica Democratica del Congo e presidente del SECAM, ha ribadito che il documento è un ‘grido di dignità’: “Noi, pastori del Sud del mondo, chiediamo la giustizia climatica come diritto umano e spirituale…. E’ necessaria un’azione urgente per evitare impatti irreversibili sul clima e sui sistemi naturali. Chiediamo pertanto un’economia che non si basi sul sacrificio dei popoli africani per arricchire altri”.
E la cura è un impegno della Chiesa africana: “Come Chiesa in Africa, ci impegniamo a rafforzare la spiritualità della cura, a formare le nuove generazioni a un’etica ecologica e a costruire un’alleanza intercontinentale del Sud del mondo per dire con una sola voce: ‘Il tempo dell’indifferenza è finito’. L’Africa vuole vivere. L’Africa vuole respirare. L’Africa vuole contribuire a un futuro di giustizia e pace per tutta l’umanità. E lo farà con la sua fede, la sua speranza e la sua invincibile dignità”.
Infine la dott.ssa Emilce Cuda, segretaria della Pontificia Commissione per l’America Latina, ha ripercorso le tappe del cammino: “Le Chiese del sud del mondo, consapevoli che ‘non si salva da sole’, come ci ha insegnato il nostro caro papa Francesco, hanno iniziato a costruire ponti come espressione della cattolicità che le costituisce. Frutto di questo lavoro comunitario, questo è il documento congiunto che è presentato oggi al papa ed alla stampa, come anticipazione di quanto verrà presentato tra cinque mesi a Belém. Esso costituisce di per sé un esempio concreto di questa pratica di costruzione di ponti, tipica della virtuosa capacità di organizzazione comunitaria che contraddistingue le Chiese cattoliche del Sud del mondo, capace di superare: la parte, il conflitto, lo spazio e l’ideologia”.
Riprendendo le parole di papa Leone XIV, la segretaria ha sottolineato il motivo per cui la Chiesa è presente alla prossima COP: “Come apostoli missionari di una Chiesa sinodale, andremo alla COP30 per costruire quella pace in mezzo a questa guerra a pezzi contro il creato, dove molti moriranno e moriranno ancora di più se non agiamo, come consigliano gli scienziati delle Nazioni Unite. Lo facciamo perché, come dice papa Leone XIV, la Chiesa ‘cerca sempre di essere vicina soprattutto a coloro che soffrono’. E la nostra gente soffre perché, nel Sud del mondo, la vita dipende da una collina”.
(Foto: Osservatore Romano)