Leone XIV e il ruolo degli ambasciatori del Papa

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 16.06.2025 – Andrea Gagliarducci] – In occasione del Giubileo dei Nunzi Apostolici il 10 giugno 2025, Papa Leone XIV ha donato ai suoi Rappresentanti Pontifici un anello con inciso l’iscrizione Sub umbra Petri – All’ombra di Pietro – e, in un discorso molto denso [QUI], sottolineò ai suoi ambasciatori, che sono chiamati a essere “lo sguardo di Pietro” nei Paesi e per i popoli presso i quali sono incaricati.


Nel suo discorso, Leone XIV sottolineò l’importanza del lavoro dei Nunzi Apostolici. “Il vostro ruolo, il vostro ministero è insostituibile”, affermò. Parole che posero fine a un dibattito iniziato durante gli anni del Concilio Vaticano II e mai sopito. Quando, negli anni del Concilio, si discusse anche di una Chiesa disincarnata e più spirituale, si sollevò anche l’idea di abolire il ruolo del Nunzio Apostolico. “Dobbiamo rinunciare ai segni del potere – si disse – e quindi dovremmo rinunciare anche alla nostra rete diplomatica”. Si trattava, naturalmente, di un’ipotesi da stanza comune di studenti universitari, ma faceva anche parte di un dibattito che si nutriva di ideologie e mirava a limitare l’influenza della Chiesa nello spazio pubblico. Eppure, i due Papi che avviarono e completarono il Concilio Vaticano II furono anche due grandi diplomatici: Giovanni XXIII era stato in Turchia, Bulgaria e Parigi come inviato del Papa, Paolo VI aveva lavorato come Sostituto per gli affari generali della Segreteria di Stato sotto un altro grande Papa diplomatico, Pio XII, e conosceva bene il significato e l’importanza della diplomazia pontificia.
Giovanni Paolo II, il Papa venuto da lontano, chiuse di fatto il dibattito. Lui, che avrebbe potuto nutrire riserve su come la diplomazia pontificia avesse agito nei Paesi oltrecortina – la tanto discussa Ostpolitik – non pensò mai di cambiare la diplomazia della Santa Sede. Anzi, volle il Cardinale Agostino Casaroli, l’artefice dell’Ostpolitik, al suo fianco come primo Segretario di Stato, integrando al contempo la diplomazia del Papa con vari gesti pastorali e simbolici, come le Giornate di preghiera per la pace ad Assisi. Con Papa Benedetto XVI, il ruolo dei diplomatici appariva forse secondario, ma quell’apparenza – se mai lo fu – era ingannevole. Benedetto XVI chiamò un non diplomatico, il Cardinale Tarcisio Bertone, a capo della Segreteria di Stato, principalmente perché desiderava una persona fedele e affidabile al suo fianco. E deluse l’intera cricca di diplomatici che, sotto Giovanni Paolo II – e soprattutto negli ultimi anni del suo pontificato – aveva acquisito importanza e influenza.
Molti degli attacchi al pontificato di Benedetto XVI provenivano dai leader della vecchia scuola diplomatica. Ma c’era anche una nuova generazione di diplomatici della Santa Sede che lavorava sui concetti cari a Benedetto XVI e Giovanni Paolo II. All’epoca si cominciò a parlare di “diplomazia della verità”, mentre l’attività diplomatica si basava più sui concetti e sui temi del diritto che sulla diplomazia fine a sé stessa. In questo contesto, ad esempio, la Lettera ai Cattolici Cinesi [1] rimane, ancora oggi, una pietra miliare per la comprensione delle attuali relazioni tra Cina e Santa Sede. Tuttavia, in questo contesto, il rinnovato dialogo islamo-cristiano è nato anche con la Lettera Una parola comune tra voi e noi di 143 intellettuali islamici, nata da quello che sembrava essere un significativo disastro diplomatico: la lezione di Benedetto XVI a Regensburg [2].
L’elezione di Papa Francesco è avvenuta in un contesto di shock: la rinuncia di Papa Benedetto XVI. Papa Francesco, fin dall’inizio, si è appoggiato alla vecchia classe di diplomatici, che si erano sentiti emarginati da Benedetto XVI. Nei suoi primi discorsi, Francesco ha anche elogiato l’uomo anziano della Curia. Tuttavia, non guardava alla generazione attuale di diplomatici della Santa Sede, ma a quella del passato.
Da un lato, Papa Francesco ha attribuito un tale valore ai diplomatici da aver creato diversi cardinali. All’ultimo Conclave, c’erano persino due Nunzi Apostolici in carica, il Cardinale Christophe Pierre e il Cardinale Mario Zenari. Dall’altro, Papa Francesco ha spesso insinuato che l’attuale struttura diplomatica fosse inefficace. In generale, Papa Francesco ha lanciato i suoi appelli, ha tracciato le sue linee e ha persino nominato i suoi inviati, coinvolgendo poco la Segreteria di Stato e intervenendo soprattutto quando c’erano dei vantaggi da ottenere, come quando la Santa Sede ha mediato per il ripristino delle relazioni tra la Santa Sede e Cuba.
Il fatto di essere tornati a una generazione più anziana, tuttavia, ha anche riportato in auge i grandi dibattiti del Concilio. Nei primi anni di Papa Francesco, si è anche commemorato il famoso “patto delle catacombe”. In diverse occasioni, sono emerse voci sulla volontà di Papa Francesco di cambiare i Nunzi Apostolici, forse rilanciando l’idea di nominare laici come ambasciatori del Papa.
Ora, il Nunzio Apostolico non è solo il rappresentante del Papa in un determinato Paese. È anche colui che aiuta il Papa nella scelta dei vescovi, e per questo motivo è arcivescovo. Nei casi in cui svolga la funzione di rappresentante presso un organismo multilaterale e non vengano scelti vescovi, il Nunzio Apostolico potrebbe non essere vescovo. È il caso, ad esempio, del Rappresentante della Santa Sede presso l’OSCE o il Consiglio d’Europa. In questo caso, si chiedeva che un laico guidasse la missione. L’idea era di introdurre nel mondo diplomatico la stessa riforma che Papa Francesco aveva introdotto nella Curia, ovvero separare l’ordine sacerdotale dal potere.
Papa Francesco si è costantemente opposto a questa possibilità, almeno nel Corpo Diplomatico, eppure ha permesso la ripresa di un dibattito che, di fronte a una situazione mondiale apparentemente indifferente alla Santa Sede, sembrava essere stato accantonato se non risolto.
In effetti, la prima bozza del documento di sintesi della prima fase del Sinodo su Comunione, Missione e Partecipazione prevedeva una forma di controllo da parte dei vescovi locali sui Nunzi Apostolici. Quest’idea è giustamente scomparsa dal testo finale – sarebbe come se un vescovo locale controllasse un Papa – ma è rimasta un’idea costante, spesso discussa nel Consiglio dei Cardinali e inaspettatamente riproposta dal Cardinale Mario Grech ai Nunzi Apostolici, durante l’incontro con loro in occasione di questo Giubileo.
Con il suo discorso, Papa Leone XIV chiuse il dibattito una volta per tutte, non perché nessun Papa possa riprenderlo, ma perché ora ci troviamo in una nuova generazione in cui i dibattiti postconciliari sono sopiti e le persone ora guardano ad altri temi.
Il problema della Chiesa, più che nelle sue strutture, sta nella sua testimonianza. Leone XIV lo ha chiarito più volte, chiedendo a tutti di rinnovare la propria unità. La scelta di dare l’anello ai Nunzi Apostolici è significativa. Il Papa chiama i suoi rappresentanti a una missione di comunione, ed è qualcosa che va oltre la mera attività diplomatica. Nel suo discorso al Corpo Diplomatico [QUI], ha anche ribadito il tema della verità diplomatica.
Cosa aspettarsi, quindi? La Santa Sede parlerà, e parlerà con forza nei consessi internazionali. L’era del compromesso a tutti i costi può essere finita, ma ciò non significa che la stagione delle battaglie culturali sia ricominciata. È una nuova stagione, con vecchie battaglie ma nuovi metodi, e Leone XIV vuole affrontare ciò che sta arrivando. Anzi: vuole affrontarlo con l’aiuto dei suoi Rappresentanti.
Questo articolo nella nostra traduzione italiana è stato pubblicato dall’autore in inglese sul suo blog Monday Vatican [QUI].
[1] Lettera del Santo Padre Benedetto XVI ai vescovi, ai presbiteri alle persone consacrate e ai fedeli laici della Chiesa Cattolica nella Repubblica Popolare Cinese, 27 maggio 2007 [QUI]
[2] Viaggio Apostolico di Sua Santità Benedetto XVI a München, Altötting e Regensburg (9-14 settembre 2006). Incontro con i rappresentanti della scienza. Discorso del Santo Padre. Aula Magna dell’Università di Regensburg. Martedì, 12 settembre 2006. Fede, ragione e università. Ricordi e riflessioni. Una parola comune tra noi e voi [QUI] è una Lettera aperta inviata il 13 ottobre 2007 da centotrentotto leader religiosi Musulmani ai maggiori leader religiosi Cristiani [QUI]. Il testo promuove la pace tra Musulmani e Cristiani e cerca un terreno comune di dialogo e comprensione basato sui due valori principali comuni alle due fedi: l’amore per l’unico Dio e l’amore per il prossimo.
Questa lettera ne segue una più breve scritta nel 2006 in risposta alla lezione all’Università di Ratisbona tenuta il 12 settembre 2006 da Papa Benedetto XVI.
In questa lezione, su fede e ragione, il Papa ha posto l’accento sul Cristianesimo e su quella che ha chiamato la tendenza ad “escludere il problema Dio” dalla ragione. Il riferimento all’Islam è in una parte del discorso in cui il papa cita le forti critiche dell’Imperatore bizantino Manuele II Paleologo nei confronti degli insegnamenti di Maometto.
Un mese dopo, trentotto saggi Musulmani in rappresentanza di tutte le correnti dell’Islam, hanno risposto al Papa, in Una lettera aperta a Sua Santità Papa Benedetto XVI del 13 ottobre 2006 [QUI]. Qui si invitava il Papa a proseguire il dialogo su argomenti di interpretazione scritturistica islamica, riguardo ai quali, secondo gli estensori della Lettera, il Papa era incorso in alcuni errori.