Le associazioni per salvare i bambini a Gaza

Diverse fonti hanno rivelato a Sky News Arabia che è sempre più probabile che ‘il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, annunci un cessate il fuoco a Gaza nei prossimi giorni’, aggiungendo che ‘l’annuncio di Trump avverrà nell’ambito di un accordo che include il rilascio degli ostaggi israeliani’. Nel frattempo, oggi, in occasione della Giornata di Gerusalemme, alcune decine di giovanissimi israeliani hanno marciato tra le viuzze del suq (il mercato della Città Vecchia), prendendo a calci porte di negozi, urlando insulti razzisti, sputando su passanti e cantando cori d’odio, mentre alcuni testimoni, tra i quali alcuni membri dell’organizzazione pacifista israelo-palestinese ‘Standing Together’, hanno riferito che la polizia di guardia al mercato non ha un numero di agenti sufficiente a contrastare gli aggressori e che alcune richieste di rinforzi non hanno ricevuta risposta.
Mentre nella notte almeno 52 palestinesi sarebbero stati uccisi in due distinti attacchi aerei israeliani, tra cui un raid sulla scuola e poche ore prima, un raid aereo ha colpito una casa nel centro di Gaza City, uccidendo 19 persone. E la Croce Rossa aveva riferito che due membri del suo personale sono stati uccisi in un attacco alla loro casa, sabato, a Khan Yunis. L’uccisione di Ibrahim Eid, un ufficiale addetto alla contaminazione delle armi, e di Ahmad Abu Hilal, una guardia di sicurezza presso l’ospedale da campo della Croce Rossa di Rafah ‘indica l’intollerabile bilancio delle vittime civili a Gaza’ ha detto il Cicr, ribadendo il suo appello per un cessate il fuoco.
Intanto nei giorni scorsi le ACLI ed IPSIA, la loro ong di cooperazione internazionale, hanno preso parte alla ‘Carovana Solidale’, che ha raggiunto il valico di Rafah, al confine tra Egitto e la Striscia di Gaza. Un’iniziativa che ha voluto portare solidarietà concreta al popolo palestinese e denunciare l’inaccettabile inazione della comunità internazionale di fronte alla tragedia umanitaria in corso, come ha raccontato Italo Sandrini, vicepresidente nazionale delle ACLI:
“La cosa più inquietante è stato sentire il rumore delle bombe. Prima nella notte, in un ex hotel in disuso a pochi chilometri dal confine, con le vibrazioni dei vetri in camera. Poi mentre eravamo al valico: si sentivano questi tonfi, che mi poterò a lungo dentro, e il paradosso era che noi eravamo lì per loro, ma non potevamo fare nulla per salvarli. Loro erano là dentro.
E’ stato un senso di impotenza mai provato prima. Torniamo indietro con l’intenzione di far sentire ancora più forte la nostra voce per denunciare quello che sta succedendo a Gaza. Di fronte all’orrore che si consuma a Gaza, non possiamo permettere che cali il silenzio. Le ACLI continueranno a levare la propria voce perché si fermi la violenza, si aprano i corridoi umanitari e si riconosca pienamente la dignità del popolo palestinese. La pace non è un sogno, è un dovere politico e morale”.
Davanti all’impossibilità di entrare nella Striscia, i partecipanti alla carovana hanno dato vita a un flash mob al valico, chiedendo con forza: il cessate il fuoco immediato, la fine delle operazioni militari, lo stop alla complicità dei governi internazionali. A tal proposito Marco Calvetto, presidente nazionale di IPSIA Acli, ha sottolineato il significato dell’iniziativa: “Il senso di questa Carovana è quello di interrompere il silenzio che circonda quanto sta accadendo a Gaza. Un silenzio che si fa complicità, davanti all’inazione dei governi che non intervengono per fermare crimini contro l’umanità. A Gaza c’è una crisi umanitaria, ma anche una crisi dell’umanità. Una crisi dell’Occidente, che vede fallire il proprio modello di diritto e di giustizia costruito in decenni”.
Con tale iniziativa le ACLI hanno ribadito l’impegno per la pace: “Quanto accade a Gaza non può lasciarci indifferenti. La nostra voce continuerà a levarsi, più forte, più determinata, perché nessuno possa dire di non sapere. Le ACLI ribadiscono con forza il proprio impegno per la pace, la difesa dei diritti umani e la giustizia internazionale. Quanto accade a Gaza non può lasciarci indifferenti. La nostra voce continuerà a levarsi, più forte e più determinata, perché nessuno possa dire di non sapere”.
Altro appello con petizione online è stato lanciato questa mattina da Flavio Lotti, presidente Fondazione ‘PerugiAssisi per la Cultura della pace’ e da Marco Mascia, presidente Centro Diritti Umani ‘Antonio Papisca’ dell’Università di Padova: “Diamo il via ad una grande ‘Operazione di Salvataggio’. Salviamo i ‘sopravviventi’ di Gaza! L’Italia invii a Gaza le nostre due portaerei cariche di aiuti e soccorritori…
silenzio,Salviamoli! Non c’è altra cosa da fare. Le parole (nemmeno quelle di condanna) non fermano lo sterminio. Dobbiamo andare a salvarli! Questo chiediamo al governo italiano! Non basta nemmeno il riconoscimento dello Stato di Palestina. L’Italia lo deve fare, ma non basta. Quello che serve ora è andare a salvare le persone che stanno per essere sterminate”.
Quindi Mascia e Lotti hanno chiesto di far “partire subito le due portaerei italiane Cavour e Garibaldi e tutte le navi che abbiamo a disposizione. Carichiamole di aiuti e affidiamo ai nostri militari il compito di consegnarli al personale delle agenzie dell’Onu ed alle organizzazioni della società civile che ancora resiste nel cimitero di Gaza. Facciamo in modo che tutti i bambini e le bambine possano riceverli. Nessuno escluso. Di fronte all’inazione dell’Unione europea, l’Italia faccia partire subito una grande Operazione di salvataggio per i bambini e le bambine di Gaza. Rispondiamo all’impensabile, con l’impensabile”.
Infine nel sito l’Azione Cattolica Italiana ha raccolto la testimonianza di Elia Giovanni, pseudonimo di un associato, che da un paio d’anni vive in Terra Santa prestando servizio in una casa-famiglia: “Cara Azione cattolica, in un mondo in cui l’informazione viaggia più veloce dei razzi che cadono su Gaza, non possiamo più permetterci il lusso dell’ipocrisia. Il tempo dei doppi standard è finito. Il silenzio, oggi più che mai, è una complicità attiva. E’ una bomba sganciata con discrezione. E’ un’arma che non fa rumore, ma uccide ugualmente.
La differenza di trattamento tra i conflitti globali è un’ingiustizia che grida vendetta. Abbiamo assistito, giustamente. a una mobilitazione senza precedenti a sostegno del popolo ucraino, invaso da una potenza straniera. Abbiamo visto i media occidentali riempirsi di bandiere gialloblù, i governi stanziare miliardi, la solidarietà umana trasformarsi in aiuto concreto. Ma di fronte al genocidio in corso a Gaza, il mondo trattiene il fiato. O, peggio, tace”.
Il testimone invita a prendere posizione non contro un popolo, ma contro un governo: “Non si tratta di schierarsi contro un popolo, ma contro un governo che infrange sistematicamente il diritto internazionale. E’ possibile, e doveroso. denunciare i crimini di un regime senza essere accusati di antisemitismo. E’ possibile difendere la dignità dei civili palestinesi senza negare quella degli israeliani. La sofferenza non è una gara: il dolore di una madre israeliana il 7 ottobre è identico a quello di una madre palestinese che perde tre figli sotto le macerie a Rafah. Ma a differenza della narrazione che ci viene servita, c’è un contesto, una causa e, soprattutto, c’è un modo per fermare tutto questo”.
Ed ha concluso la testimonianza con l’invito a non rimanere in silenzio: “Il silenzio è una forma di violenza. E’ il carburante che alimenta ogni futuro crimine. Eppure, ciò che resta ancora più inascoltato è la voce di tanti ebrei, dentro e fuori Israele, che si oppongono con forza al proprio governo. Uomini e donne che denunciano apertamente le politiche terroristiche, la distruzione sistematica, la morte per fame dei bambini, i massacri.
Associazioni come ‘Jewish Voice for Peace’, negli Stati Uniti, gridano da anni contro l’apartheid israeliano e chiedono il rispetto dei diritti umani per i palestinesi, opponendosi pubblicamente alla violenza e al sostegno militare degli Stati Uniti a Israele. In Israele, organizzazioni come B’Tselem, autorevole centro per i diritti umani, hanno definito apertamente il regime imposto ai palestinesi come un sistema di apartheid. Denunciano, documentano, resistono. E spesso pagano un prezzo altissimo per il loro coraggio…
. Il genocidio subito non può mai essere un lasciapassare per infliggerne uno nuovo. Il dolore non può essere monopolizzato. La memoria non può essere armata, la giustizia non può essere selettiva. Non ci può essere pace senza giustizia, né giustizia se non per tutti. Senza distinzione alcuna. Il mondo ha già sbagliato troppe volte nella storia. Stavolta, però, non potremo dire ‘non lo sapevamo’. Perché lo sappiamo. E perché non c’è più tempo”.