La famiglia non ce la fa più!

“In occasione della Giornata internazionale della famiglia istituita dall’Onu, il Forum delle associazioni familiari rinnova l’appello a riconoscere fattivamente il valore della famiglia come nucleo fondamentale della nostra società, cardine della coesione e della solidarietà tra generazioni. La famiglia è una risorsa per tutti senza la quale non c’è futuro”: lo ha sottolineato il presidente del Forum nazionale delle associazioni familiari, Adriano Bordignon, in occasione della Giornata internazionale della famiglia istituita dall’Onu che ricorre oggi.
Ed ha ricordato che per l’Organizzazione mondiale delle Nazioni Unite, la famiglia è il ‘fondamentale gruppo sociale e l’ambiente naturale per lo sviluppo e il benessere di tutti i suoi membri, in particolare i bambini’: “Molti Paesi, nelle proprie leggi fondamentali, mettono al centro della società la famiglia dedicandole alcuni articoli molto importanti e densi di grandi obiettivi morali e sostanziali, tuttavia, in un gran numero di essi le famiglie si trovano spesso ad essere prive degli adeguati supporti per educare i più piccoli, sostenere i più fragili, supportare la crescita economica, culturale, sanitaria e lavorativa dei componenti.
Le sfide epocali che stanno attraversando la società e trasformando le famiglie chiedono uno sforzo supplementare fatto di investimenti di risorse, progetti e pensieri. Amareggia un mondo che, attraversato da oltre 60 conflitti, sceglie di spendere ancora per armamenti che distruggono vite, culture ed intere società, invece che investire per rilanciare la natalità e per la funzionalità delle famiglie”.
Quindi è necessario dare un adeguato supporto alle giovani coppie che vogliono ‘costruire’ una famiglia: “La spesa per la famiglia non può essere considerata un costo ma un investimento strategico per il benessere e la sostenibilità del nostro tessuto sociale. Investire sulla natalità non è solo una scelta valoriale: è una necessità economica. Senza nuove nascite, viene meno la base stessa su cui poggia il nostro sistema di welfare, si indebolisce il mercato del lavoro, crollano la competitività e la produttività e si mette a rischio la tenuta delle pensioni e dei servizi pubblici essenziali”.
Ed ecco la richiesta al governo italiano di “un potenziamento dell’Assegno unico universale, un rafforzamento dei congedi parentali e un’estensione dei servizi educativi, sanitari e di prossimità sui territori, affinché ogni famiglia possa contare su un ambiente favorevole in cui crescere figli e prendersi cura dei propri cari. Ma tutto questo non basta se non si accompagna a una vera e propria azione culturale: serve restituire alla famiglia il suo ruolo centrale nel dibattito pubblico, nei media, nella scuola, superando stereotipi e marginalizzazioni”.
Infatti secondo una ricerca dell’IREF dedicata al reddito delle famiglie italiane, sulla base di dati rigorosamente anonimi forniti dal Caf Acli di circa 550.000 nuclei familiari riferiti a 5 anni fiscali consecutivi (2020-2024) il reddito delle famiglie si sta ‘sgretolando’ con uno scivolamento del ceto medio, ben il 10%, e quindi di coloro che hanno anche un lavoro, verso la povertà:
“La crisi non solo ha eroso i redditi, ma ha anche allargato la forbice tra le aree del Paese e tra le fasce sociali. Rischiamo che alcuni pilastri fondamentali del nostro Stato, come la salute, non siano più un diritto ma una scelta. Servono politiche strutturali che riescano ad aumentare il valore reale dei salari e poi bisogna garantire tutela dell’esercizio dei diritti fondamentali”.
Lo studio, intitolato ‘Sempre meno ceto medio’, mette in luce le crescenti disuguaglianze territoriali e la contrazione della fascia intermedia della popolazione, come ha sottolineato Lidia Borzì, delegata per la Famiglia e gli Stili di vita delle Acli: “Il Panel Redditi Acli (PRA) che abbiamo costruito in questi anni, con la pandemia ancora in corso, segue oltre 549.000 famiglie italiane, parliamo di numeri veri e non di campioni, con un raffronto reale lungo cinque anni fiscali che ci offrono davvero una delle immagini più dettagliate disponibili sullo stato dei redditi reali nel nostro Paese. Questo impoverimento del ceto medico rischia anche di influenzare i dati già drammatici, sulla denatalità.”
La ricerca ha messo in evidenza una serie di diseguaglianze e di squilibri che si sono accentuati negli ultimi anni: le famiglie residenti nelle grandi città dichiarano redditi medi superiori del 17% rispetto a quelle delle aree interne. Il gap può arrivare ad oltre € 9.000 annui tra i nuclei familiari più ricchi a seconda dell’area geografica.
Quindi, anche considerando differenti composizioni familiari, con diversi livelli di impegno nel mercato del lavoro e carichi non si appiana il gap reddituale tra città e territori marginali. L’unica comunanza che si riscontra è nei redditi molto bassi, rispetto ai quali la geografia non fa purtroppo grande differenza.
Dalla ricerca è emerso che tra il 2020 e il 2024, la percentuale di famiglie appartenenti al ceto medio è scesa dal 59,6% al 54,9%; in particolare, oltre 55.000 famiglie sono passate dal ceto medio al ceto inferiore. In sostanza il 10% delle famiglie del panel è passata dal ceto medio al ceto inferiore mentre solo lo 0,8% è riuscito a salire al ceto superiore.