Abbiamo bisogno di Speranza, che è sorella della Fede e madre della Carità

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 13.05.2025 – Vik van Brantegem] – Prima del Conclave, un sacerdote disse: «Tutti parlano di Conclave. Chiacchiere da bar, affini a quelle su sport e politica. Ma poi a loro cosa cambia? Che venga eletto Tizio o Sempronio? Vanno forse a Messa? Si confessano regolarmente? Pregano ogni giorno? Vivono da Cristiani? Per il prossimo Papa vengono preparate tre talari bianche, di tre taglie differenti, perché l’identità del prossimo Romano Pontefice è nota in anticipo solo ai chiacchieroni di cui sopra. Chiunque venga eletto, Viva il Papa. Lo si ama a prescindere in quanto Romano Pontefice, indipendentemente dalla persona». Poi, una volta eletto, ricominciò il chiacchiericcio, su come è, quelle dovrebbe fare e non fare, tirandolo per la talare. Come di consueto nella società drammaticamente liquida [QUI], «un mondo che non capisce più», che non sa attendere, che vuole tutto subito, che non è capace di un sano discernimento e che non conosce la Speranza, la Fede e la Carità. Che non prega, che non ha mai pregato, che non sa pregare. Che sa solo chiacchierare e mormorare, e odiare, non accogliere il Signore e pentirsi.
Invece, Mons. Georg Gänswein, il Segretario particolare di Papa Benedetto XVI, a Massimo Franco ha detto [QUI]: «Papa Leone XIV suscita speranza, speranza, speranza». Parla ad un mondo cieco e sordo, che non sa «cosa sia la Speranza. Non ne hanno mai fatto esperienza», come scrive Roberto Bonaventura nella sua riflessione, che riportiamo a seguire, nel giorno della Beata Vergine Maria di Fatima [QUI], che ha promesso che alla fine il suo Cuore Immacolato trionferà. E in questo mondo, non in Paradiso, assicurandoci che la nostra Speranza non è cosa vana, ma come il sicomoro di Zaccheo a Gericho (Lc 19,1-10):
«Entrato in Gerico, attraversava la città. Ed ecco un uomo di nome Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere quale fosse Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, poiché era piccolo di statura. Allora corse avanti e, per poterlo vedere, salì su un sicomoro, poiché doveva passare di là. Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: “Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua”. In fretta scese e lo accolse pieno di gioia. Vedendo ciò, tutti mormoravano: “È andato ad alloggiare da un peccatore!” Ma Zaccheo, alzatosi, disse al Signore: “Ecco, Signore, io do la metà dei miei beni ai poveri; e se ho frodato qualcuno, restituisco quattro volte tanto”. Gesù gli rispose: “Oggi la salvezza è entrata in questa casa, perché anch’egli è figlio di Abramo; il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto”».
Evitiamo, quindi, un equivoco. La Speranza Cristiana non si fonda su sogni, ma sulla realtà di Cristo e del Vangelo. La Speranza Cristiana si costruisce sulla Fede Cristiana, che è una realtà, non un sogno.
La Speranza, la Fede e la Carità
per sostenere colui che è stato scelto
di Roberto Bonaventura
«E adesso, come da copione, tocca assistere allo scatenarsi selvaggio di tutti coloro che non riescono a scorgere il bene in nessuna sua forma, in nessuna manifestazione, neppure nel più fievole barlume. Non sanno cosa sia la Speranza. Non ne hanno mai fatto esperienza. Ignorano – forse per colpa, forse per abbandono – cosa significhi il cammino dell’uomo illuminato dal lento e paziente addestramento di Dio, per mezzo della luce dello Spirito Santo. E allora giù, a valutare ogni dettaglio, ogni sospiro, ogni respiro, persino uno starnuto del nuovo Papa, come se da lì dovesse scaturire il segnale della fine dei tempi.
Si legge tutto, subito, attraverso la lente deformante della tragedia imminente, dell’irreparabile sciagura, dell’ineluttabile trionfo del demonio, che avrebbe – secondo questi profeti di sventura – già inquinato ogni cosa con l’aiuto dei suoi complici modernisti. Niente da salvare. Niente da attendere. Niente da costruire. Solo crollo, solo rovina.
Ecco, questo è il quadro apocalittico che si affannano a dipingere coloro che cercano il male ovunque, anche dove non c’è, anche dove, silenzioso, Dio comincia invece a restaurare ed edificare. Ma io dico: vogliamo forse impedire al Signore di agire nel tempo, nel mistero, nell’umiltà dei processi? Vogliamo – per una volta – dare tempo al tempo, e tempo agli uomini, perché nel tempo, Dio, che è Signore della storia, sistema le cose?
Ricordo sommessamente che da almeno sessant’anni – forse settanta – il tipo di sacerdote tradizionale che molti sognano, preparato, ardente, limpido, radicato, spiritualmente profondo e teologicamente saldo, difficilmente riesce a emergere nel corpo ecclesiale fino a divenire Vescovo, poi Cardinale, e infine Papa. È una figura che non nasce dal nulla, né può spuntare come un fiore di serra in un clima ostile. Per cui è semplicemente irrealistico aspettarsi che un tale profilo venga oggi issato sulla Cattedra di Pietro come per magia.
Allora, invece di sbraitare giudizi e anatemi, vogliamo forse accettare l’invito a pregare? A sostenere, con Carità vera, colui che è stato scelto? Vogliamo accompagnarlo, come si accompagna un seme nel grembo della terra, affinché maturi in ciò che il Signore vorrà trarne?
Se avessero fatto Papa me – ipotesi assurda, lo so – e nel mio cuore avessi voluto ripristinare tutto ciò che è stato bandito: la tiara, la sedia gestatoria, i segni solenni, gli orpelli carichi di significato teologico e spirituale… non avrei potuto farlo subito. Non il primo giorno. Né il primo anno. Forse nemmeno il terzo. Perché ogni cosa, anche la più santa, ha bisogno di essere compresa, metabolizzata, incarnata. E i simboli – che sono ponti tra la terra e il cielo – vanno offerti con amore, non sbattuti in faccia a un mondo che non li capisce più.
Una cosa, infatti, è demolire il Cattolicesimo con cinismo; un’altra è ricostruirlo con pazienza, pietra su pietra, come fece Neemia davanti alle rovine di Gerusalemme. E ricostruire, oggi, significa anche saper attendere.
Per questo vi supplico: non ascoltate le Cassandre. Non date retta ai mercanti di veleno. Siamo già abbastanza intossicati. Abbiamo bisogno di aria buona, di silenzi fecondi, di preghiera vera. Abbiamo bisogno di Speranza, che è sorella della Fede e madre della Carità».