Un convegno fuori luogo alla Gregoriana. Ad Aliyev mancava solo la scusa delle radici Cristiane per massacrare gli Armeni

Aliyev e Erdogan
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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 08.05.2025 – Renato Farina] – È una vergogna, mi rendo conto, rimando ancora la trattazione del film dedicato a Komitas, il genio musicale del Cristianesimo del Novecento: Armeno e perciò universale. Ma la realtà mi prende per la gola qui vicino al lago di Sevan, in attesa probabile (non sono un allegrone, mi rendo conto) di deportazione ad opera degli Azeri. E questo trasloco forzato – di noi Molokani e dei miei e vostri fratelli d’anima Armeni – è diventato più probabile dopo un convegno purtroppo propagandistico che l’Università pontificia, la nobilissima Gregoriana, ha proposto con la collaborazione esclusiva (ed escludente) dell’Azerbaigian sull’antica comunità di Albània, che fiorì nelle terre più o meno corrispondenti all’attuale superficie dello Stato governato da Ilham Aliyev. Il popolo si convertì al cristianesimo nei primi secoli del primo millennio grazie alla predicazione di Sant’Eliseo.

L’Albània rappresenta per molti versi ancora oggi un mistero. Ma che sia esistita, lasciando tracce della propria fede (prima di rinunciarvi durante le persecuzioni) e che le stirpi che la costituirono siano qua e là ancora presenti nel Caucaso, è certo. Da decenni, queste reliquie del passato sono usate per rivendicare la primogenitura Albano-Cristiana (di cui gli Azeri si ritengono eredi) sull’Artsakh (Nagorno-Karabakh), e di conseguenza a preparare il terreno per giustificare la sovranità sull’intero Caucaso, Armenia compresa, da ottenersi con le buone o con le cattive. Una sorta di diritto a premere sotto il proprio calcagno per ora soltanto l’ex Repubblica autonoma dell’Artsakh falsificando – senza possibilità di contraddittorio – l’appartenenza alla civiltà Albana (e dunque a Baku) di chiese e abbazie di quel territorio sottoposto a pulizia etnica e spogliazioni oscene dopo l’invasione del 19 settembre 2023.

Bugie sul sigillo

La sovranità dell’Azerbaigian sul Nagorno-Karabakh è riconosciuta dall’ONU, e oggi anche dalla Repubblica armena (con la pistola alla tempia), sulla base assai discutibile – dal punto di vista del diritto internazionale e della morale su cui si dovrebbe regge – della volontà di Stalin che assegnò a Baku e non a Erevan quelle terre, fregandosene dei referendum che si celebrarono in Nagorno-Karabakh nel 1988 (sotto la legge sovietica) e poi nel 1991. Ma si sa: il diritto non basta averlo, occorre che qualcuno che può gestire il mondo te lo dia. E non è il caso degli Armeni, che dalla loro parte – come insegna la storia antica e recente – hanno solo Uno che si è fatto mettere in croce, non proprio un protettore vittorioso in tempi brevi.

Qual è il problema rispetto a quel convegno? In un certo senso non c’è nulla di nuovo, in un altro senso tutto questo è nuovissimo. Sono anni che Ilham Aliyev fa insegnare nelle scuole azere che la capitale della Repubblica di Armenia, Erevan, è in realtà una città azera, e che tutto quel territorio che inizia con il lago di Sevan e si sviluppa a ovest, è in realtà Azerbaigian occidentale. L’ho scritto su Tempi un sacco di volte. Così come ho ricordato che il socio di Aliyev, cioè Erdoğan, intende restaurare l’Impero ottomano estendendolo di popolo turco in popolo turco fino all’Afghanistan, spianando l’anomalia Cristiana dell’Armenia. La differenza dove sta? Quelli che in precedenza erano argomenti di tipo storico simili a quelli che useranno gli alieni quando invaderanno il pianeta sostenendo che Noè sull’Arca era uno di loro, insomma bugie risibili, adesso gli Azeri possono dire di aver ricevuto il sigillo scientifico della più prestigiosa università pontificia, che di civiltà Cristiana e non solo, ha una autorità indiscussa.

Vedrete: occuperanno l’Armenia, e diranno noi siamo i legittimi eredi degli Albàni, di cui parlarono gli storici e geografi classici Cassio Dione, Plutarco e Strabone. E poi siamo ancora noi dell’Azerbaigian ad essere eredi del Cristianesimo diffuso nel Regno dell’Albània da Sant’Eliseo. Ehi, cari amici della Gregoriana, reverendissimi padri e professori Gesuiti, come avete potuto consentire questo esercizio di propaganda sotto il vostro manto? Gli organizzatori e gli studiosi a cui avete offerto la vostra cattedra, senza alcun contraddittorio, negando il dialogo con i maggiori esperti al mondo sul tema (a parte Monsignor Fekete, grande e bella persona, Salesiano slovacco, e Vescovo cattolico di Baku), tagliando fuori gli studiosi Armeni, si sono posti sotto l’egida di uno Stato e di una cultura ufficiale che nega il genocidio armeno. Proprio quello che Papa Francesco riconobbe il 12 aprile 2015 come il primo genocidio del XX secolo.

Come spiegano i signori organizzatori la distruzione sistematica, totale delle diecimila croci armene, appena gli Azeri si sono insediati in Nakhchivan, la città capoluogo dell’exclave a sovranità di Baku sottratta all’Armenia sempre da maneggi sovietici e post-sovietici? Proprio lì dove predicò a Ordubad, l’Apostolo San Bartolomeo, non esiste più alcuna traccia di Cristianesimo, né albano né armeno. Insomma: o scempio sacrilego o – quando va bene – damnatio memoriae: un simile sistematico trattamento azero dei segni apostolici vi pare dia garanzie di dialogo interreligioso? Nachchivan è parola dell’antico armeno, e significa letteralmente “il Primo Paradiso”, e fu fondata nei luoghi dell’Eden, secondo tradizione, proprio da Noè disceso dall’Ararat dov’era approdato dopo il diluvio. Che ne hanno fatto gli Azeri… E questo lo sanno i reverendi padri professori Gesuiti?

Una palese contraddizione

Noi Molokani non siamo oscurantisti. Tendiamo a informarci. Attingiamo preziose ipotesi dal libro avventuroso e onesto di Augusto Massari, già ambasciatore italiano a Baku, dedicato a Il Regno perduto dell’Albània caucasica (Cantagalli 2024, 464 pagine). E se ci sono prove scientifiche che attestano una diffusione del cristianesimo transcaucasico coeva a quella armena, va bene, benissimo, al diavolo le gelosie del passato, ma perché allora rifiutare di mettere a confronto in questa università del Papa le scoperte e le interpretazioni? Non perdiamo certo l’unicità della nostra storia qualora se ne trovasse un’altra, sorella di essa, fissandone ambiti e reperti autentici. Che poi gli Albàni abbiano perso la fede, cedendo alle lusinghe e arrendendosi alle persecuzioni, chi siamo noi per giudicare? E la piccola comunità di Albàni (tremila fedeli, coccolati dal regime azero in chiave anti-armena, peraltro) che vive ancora, sia benedetta.

Resta un fatto. Gli Azeri, nel valorizzare questo passato cristiano dei loro territori, legandolo all’etnia albana e a quella lingua, sono in palese contraddizione con l’ostinata rivendicazione del ceppo turcico (si scrive così) che è il faro geopolitico e motivazionale dei leader turchi e turcici? Ammettere da parte di Aliyev di avere radici cristiane non accadrà mai, se non per situarle in una bacheca per acchiappare i gonzi. Propaganda. Anzi peggio. Se si usano sacre memorie non per il Vangelo ma per impossessarsi di terre altrui, questa è simonia. E tributare attestati di cristianesimo a chi sta perseguitando i tuoi fratelli, che nome ha?

Non mi viene la parola. Forse Realpolitik? O Patto faustiano?

Il Molokano

Questo articolo è stato pubblicato sul numero di maggio 2025 di Tempi in formato cartaceo.

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Foto di copertina: l’autocrate azero Ilham Aliyev con il suo grande alleato e protettore, il Presidente turco Recep Tayyip Erdoğan.