Conclave: Il gregge di Cristo attende il suo pastore

Basilica di San Pietro
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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 07.05.2025 – Miguel Cuartero] – «Extra omnes!». Dopo giorni di parole, di costruzioni e ricostruzioni, di tentativi di previsione e di ipotesi sugli scenari futuri; dopo giorni di preghiere e di trepidante attesa, è finalmente arrivata l’ora del Conclave. L’ora in cui i cardinali sceglieranno tra loro l’uomo che guiderà la Chiesa, il successore di Pietro, il Sommo Pontefice.

Sono ore di trepidazione: la Chiesa non può restare senza Pietro. Ubi Petrus, ibi ecclesia: i fedeli hanno bisogno di vedere Pietro, di sapere che c’è, di ascoltarlo, perché è attorno a lui che si raduna il gregge di Cristo. E se i fedeli sono un gregge il Papa ne è il pastore. Un pastore che non può che essere immagine del vero, buono e bel Pastore che è Cristo, che disse: «Io sono il buon pastore… che offro la vita per le pecore».

«Pregate per me, perché io non fugga, per paura, davanti ai lupi», chiedeva Papa Benedetto XVI nell’omelia del giorno della sua intronizzazione. Era infatti consapevole della gravità del suo ruolo e della sua missione, la stessa affidata da Gesù a Pietro: «Pasci le mie pecorelle». Benedetto XVI ne era persuaso: «Pascere vuol dire amare, e amare vuol dire anche essere pronti a soffrire». Ma allo stesso tempo sapeva di non essere solo e di poter contare su un popolo, su una comunità: la Chiesa. «Non sono solo. Non devo portare da solo ciò che in realtà non potrei mai portare da solo. La schiera dei santi di Dio mi protegge, mi sostiene e mi porta. E la Vostra preghiera, cari amici, la Vostra indulgenza, il Vostro amore, la Vostra fede e la Vostra speranza mi accompagnano».

Gesù, vedendo le folle che lo seguivano, ebbe compassione perché erano “pecore senza pastore”. Quante volte, in questo tempo, ci siamo sentiti come quelle folle stanche e afflitte, bisognose di una guida, di un pastore? Gesù non disprezza questo sentimento di smarrimento ma, al contrario, si lascia commuovere: le sue pecore non possono rimanere senza pastore, rischierebbero di perdersi, metterebbero a rischio la propria vita. Gesù si commuove e chissà se in quel momento non abbia pensato a Pietro, quel pescatore della Galilea capace di giurargli fedeltà e di tradirlo subito dopo, di tirare fuori la spada e poi di crollare davanti a una donna…

Chissà se Gesù ha pensato a Pietro quando vide le folle smarrite come pecore senza pastore. Alla sua partenza da questo mondo, affidò a Pietro i suoi agnelli, ricordando che la sua prima missione è quella di amare Cristo: «Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?». «Pasci le mie pecore».

Dopo aver espresso le proprie preferenze, indicato (e invocato) i nomi graditi e quelli non graditi, quelli da sperare e quelli da scongiurare… a questo punto non importa il nome che il futuro Pontefice porterà (né quello che sceglierà), quanto che sia un pastore che pascoli le pecore dell’ovile di Cristo, che le ami, le conosca, che sia capace di dare la vita per loro.

Se le pecore vedranno un pastore radicato nel Pastore, un pastore con l’odore del Pastore, lo riconosceranno e lo seguiranno, senza timore né remore. Le pecore attendono un pastore che sia disposto a morire per loro: un pastore non indaffarato negli affari del mondo, nelle questioni sociali o politiche, nelle interviste o nelle dirette televisive dei programmi blasonati, non circondato dall’applauso e dall’approvazione del mondo e dei media.

In un momento di grave responsabilità, di fronte ad attacchi feroci di lupi senza pietà, Papa Paolo VI disse: «Noi non siamo obbligati a rispettare l’opinione dei più! Portiamo il peso dell’umanità presente e futura» (J. Guitton, Paolo VI segreto, pp. 86-88).

Le pecore non attendono un pacificatore di conflitti, un dispensatore di buoni consigli, una star mondiale, un leader globale, un campione della comunicazione, ma un uomo che sappia mettersi al servizio della verità, guidando la Chiesa con umiltà e con fede; che riconosca in Cristo il vero e unico pastore; che parli al mondo di quel Pastore e che guidi le pecore con fermezza «alle acque della vita» per trovare ristoro in tempi di incertezza e di conflitti e coltivare la speranza di un futuro che superi ogni barriera, anche quella della morte, per approdare lì dove il Risorto attende trasfigurato per radunare il suo gregge.

Questo articolo è stato pubblicato oggi dall’autore sul suo blog Testa del Serpente [QUI].