Il Vaticanista, la Sede Vacante e il Conclave

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 05.05.2023 – Andrea Gagliarducci] – Cosa significa essere vaticanista in tempo di Sede Vacante? E cosa significa essere vaticanista Cattolico in tempo di Sede Vacante? Da quando questo nuovo periodo nella storia della Chiesa è iniziato, lo scorso 21 aprile, mi ritrovo a dover rispondere a questa domanda, per ragioni differenti. Ma è una domanda che pongo soprattutto a me stesso, quando mi accingo a coprire professionalmente il terzo Conclave della mia vita, con un po’ di esperienza in più e ancora tanto da imparare.
Un po’ di contesto. Fare il vaticanista è un mestiere specifico, che necessita di una visione delle cose ampia. Non è un buon vaticanista chi guarda solo alla prospettiva italiana, per intendersi, ma non è un buon vaticanista nemmeno chi lo fa ideologicamente. Ovviamente, tutti andiamo verso quello che riteniamo più vicino alla nostra sensibilità. I giornalisti leggono la realtà con i loro occhiali, e riportano le cose secondo il loro punto di vista. Questo punto di vista, però, non deve diventare un assoluto. Tutto va contestualizzato. Tutto va compreso nella sua realtà, anche quando ci sembra così diversa dalla nostra.
Quando ho iniziato questo mestiere, ho cercato di leggere il più possibile qualunque cosa. Viene molto facile essere influenzato dalle letture “forti” della storia, che descrivono un mondo di complotti, un dibattito intellettuale che rasenta i toni della guerra, giochi di potere e trame interne. La verità è che ci piace pensare che sia così, perché se le cose stessero davvero così anche il nostro lavoro avrebbe più dignità. La verità ancora più vera è che, in fondo, le cose si sviluppano a volte in modo molto banale. Tutto sta ad accettare questa banalità, che non è né banalità del bene, né banalità del male. È semplicemente banalità di vita.
Se si parte con un pregiudizio, insomma, tutta la lettura sarà influenzata dal pregiudizio. Non è che i pregiudizi si possono evitare. Li abbiamo. Ci sono momenti in cui io mi esprimo verbalmente in maniera molto dura riguardo delle persone o delle cose che conosco. Ma resta un tono di una conversazione personale. Quando scrivo, io sono chiamato a spiegare, ad argomentare, a neutralizzarmi. Sono chiamato a non attaccare nessuno ingiustamente, e a prendermi la responsabilità di dire alcune cose che mi raccontano o che vedo succedere, a essere sempre giusto anche quando vedo delle ingiustizie patenti.
Queste premesse sono necessarie per comprendere quello che succede alla morte – o rinuncia – di un Papa. Ora, è evidente che la corsa alla successione del Papa comincia nel momento in cui inizia il pontificato. Non quando il Papa sta male, non quando il Papa sta per morire, ma sin dall’inizio del pontificato. Essere Papa significa anche sapere che, mentre si è sul Soglio di Pietro, ci sarà sempre qualcuno che vorrà prendere il tuo posto, e ragionare perché qualcuno dei suoi prenda il suo posto.
Alla morte del Papa, tuttavia, tutto questo esplode in maniera incredibile. La pressione mediatica diventa molto forte, ed è solo parzialmente giustificata dal fatto che la gente vuole sapere. Il pettegolezzo è sempre qualcosa che interessa le persone, ma è anche vero che descrivere la Chiesa come un eterno gioco di potere, sebbene i giochi di potere ci siano come in tutte le realtà che sono fatte da esseri umani, è più esso stesso un esercizio di potere che non la volontà di raccontare qualcosa che sta succedendo.
Ho più volte lamentato la presenza di “un mondo di mezzo” vaticano che usa quelli che oggi chiamiamo leaks, o informazioni gettate a caso come forma di pettegolezzo, per fare pressioni indirette sulla Chiesa Cattolica. Questo mondo di mezzo durante i pontificati si fa largo attraverso i processi (mediatici, quasi sempre, e vaticani, soprattutto nel corso di quest’ultimo pontificato), e nel periodo pre-Conclave diventa particolarmente aggressivo. Vuole che le notizie siano pubblicate. Vuole che i giornalisti si schierino. Vuole usare i giornalisti, perché vuole usare i media.
A questo mondo di mezzo, si aggiunge il fatto che tutti vogliono sapere cosa succede. C’è richiesta da parte dei governi, che cercano di prevedere chi sarà il prossimo Papa. C’è richiesta da parte degli istituti finanziari, anche per comprendere cosa poter guadagnare dalla prossima elezione. C’è richiesta generale.
Il vaticanista deve diventare, secondo tutti, una sorta di “vaticinante”, con l’idea di cominciare a comprendere dove andrà la Chiesa. Quasi mai ci azzecca, e se lo fa è un colpo di fortuna. Il vaticanista, in realtà, sente delle cose, ma se è minimamente onesto deve anche ammettere che quello che sente non è detto che non arrivi alle sue orecchie manipolato. Anche una notizia manipolata può essere vera. A me, nel 2013, arrivò la voce di Bergoglio Papa, ma io non ci credevo in alcun modo, perché era venuta fuori da circoli che manipolavano le notizie. Non era una manipolazione, ma come si fa a sapere?
Io ho personalmente sviluppato una mia politica generale riguardo il Conclave. Racconto quello che vedo, e lo faccio con un linguaggio diverso a seconda dei media con in quali collaboro (con il dato storico in ACI Stampa, l’analisi più hardcore nel National Catholic Register, la cronaca pura e vivace con Il Messaggero, il pettegolezzo colto su Il Foglio, per citare le collaborazioni più frequenti). Allo stesso tempo, cerco sempre di fare un passo indietro. Cerco di non guardare solo al dato politico, anche quando quello mi è richiesto. Cerco di giocare con le parole in modo che i messaggi passino senza che però si vada a rompere il mio personale patto con il lettore.
Il mio personale patto con il lettore è quello: io non nasconderò quello che sono e quello che penso, sarò critico e anche feroce in alcuni casi, ma cercherò prima di tutto di essere un filtro, di spiegare e lasciarti comprendere, e niente di quello che dirò non sarà argomentato, né niente vorrà convincerti del mio punto di vista. Non dirò sempre tutto, dirò quello che sento giusto dire.
In semiotica si parla anche di Lettore Capace, che però prevede un impegno successivo da parte di chi legge. È il mio lettore ideale. E però io mi sforzo di essere prima di tutto uno Scrittore Capace, con tutti i limiti che può avere il mio punto di vista.
In Sede Vacante, dunque, cerco di non chiedere interviste formali ai cardinali, né di raccoglierle per strada. So che non ci potrà essere niente di decisivo nelle loro parole, so che una situazione del genere crea loro un problema, e so che riesco a comprendere molto di più dei loro umori se vado a prendere un caffè con loro di nascosto, piuttosto che se mi metto a chiedere una dichiarazione su qualunque cosa. Se ho un amico, evito di contattarlo, o di farlo troppo spesso.
In Sede Vacante, cerco di guardare al dopo, e agli strumenti di analisi. So che sarà tutto da ricostruire nel momento in cui ci sarà un nuovo Papa, e so che dunque studiare ogni dettaglio è importante. Ma so anche che ho bisogno di staccarmi dai testi e dalle situazioni, di riposare, perché lo stakanovismo può funzionare per un po’, ma non per troppo. È come quando si legge un testo che si conosce: ci si perde nei dettagli, si perde di vista la grande cornice. Ma la grande cornice è quella che conta davvero.
In Sede Vacante, mi sforzo di raccontare i cardinali per quello che sono, senza indulgere nella questione dei giochi di potere o delle loro presunte volontà di prendere il potere. Questo a volte risulta in ritratti positivi anche laddove non ci sarebbe da raccontare solo cose positive. Tuttavia, io ritengo sia giusto così, che si deve dare alle persone prima di tutto il diritto alla loro ingenuità e alla loro buonafede. E in questo, c’entra molto anche essere giornalista Cattolico.
E il giornalista cattolico in Sede Vacante si trova a dover gestire un momento che riguarda poi la sua fede personale, e quella di miliardi di persone che seguono il Conclave e l’elezione del nuovo Papa. Per questo, nel raccontare la Sede Vacante, si deve comunque dare il famoso “anticipo di simpatia” che Benedetto XVI chiedeva per i suoi libri. Si deve, insomma, accettare e raccontare anche le debolezze dei cardinali e della Chiesa, senza fare inquisitorio, ma con la capacità di rendersi conto che di fronte si hanno prima di tutto esseri umani.
Io ho le mie idee su chi sarà il prossimo Papa, ma non faccio classifiche e rifiuto di fare previsioni perché semplicemente so che la storia mi può e mi dovrà smentire. A chi mi chiede, non rispondo. So che oggi la mia autorevolezza si regge sull’equilibrio che riesco a mantenere quando scrivo su richiesta e sull’equilibrio che sono chiamato a tenere quando scrivo per me stesso. So che c’è una responsabilità, e che questa responsabilità riguarda non solo il mio essere giornalista, ma anche il mio essere cristiano.
La parola d’ordine è: calma. Calma nell’eccitarsi ai nomi dei papabili. Calma nel fare le nostre considerazioni para-geopolitiche prima dell’inizio del Conclave, perché ogni ragionamento cade di fronte alla volta della Sistina o nelle stanze di Santa Marta – e Santa Marta Vecchia, pare. Calma nel cercare di capire chi sarà il prossimo Papa. Calma nel cercare di individuare le campagne mediatiche di questa o quella cordata. Tutto questo è interessante, ma inessenziale. Si deve accettare che esiste, e poi guardare alla realtà con l’antica tecnica del Rasoio di Occam.
Sede Vacante e Conclave ti costringono, piuttosto, a cercare le cose di lassù, a vivere dell’essenziale, a superare le divisioni che si sono create. C’è un obiettivo comunque, che è quello di raccontare il nuovo Papa al mondo e di raccontare l’inizio di un nuovo capitolo di Chiesa.
Con un nuovo Papa, tutto cambierà, di qui ad un mese. Ma il mestiere di vaticanista resterà quello. Sempre più specializzato, ma anche meno ansioso di dare uno scoop, anzi piuttosto comprensivo che non ci sono scoop nella Chiesa se si parla di dottrina – un po’ come non c’è periferia nella Chiesa quando c’è l’Eucarestia, e dunque il centro della fede Cristiana è là.
Quello che mi viene da dire ai più giovani è molto semplice. La stampa non è un potere e non è un quarto potere. È un servizio e come tale va vissuto. Al netto dei nostri piccoli e grandi errori personali, dobbiamo vivere nei media senza l’ansia di portare a casa risultati, ma con la volontà di fornire spiegazioni. Il mondo va da un’altra parte, e non è facile, ma è essenziale.
È la grande sfida del vaticanista oggi. Deve ricomprendere simboli e storia, li deve introdurre in un contesto, deve scrivere semplice senza semplificare, deve raccontare senza strafare. Forse ci è richiesto troppo equilibrio. O forse no.
Questo articolo è stato pubblicato dall’autore sul suo blog Vatican Reporting [QUI].