L’ingiusta condanna del Cardinal Becciu e sua esclusione dal Conclave. Approfondimenti e valutazioni – Seconda parte

Cardinal Becciu
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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 05.05.2025 – Vik van Brantegem] – Dopo l’appunto di Tonino Solarino L’ incredibile ingiustizia in Vaticano ai danni del Cardinale Angelo Becciu, che abbiamo condiviso ieri [QUI], oggi riportiamo la trascrizione integrale della prima parte di un’intervista esclusiva al Cardinale Giovanni Angelo Becciu a cura di Giorgio Meletti e Federica Tourn, registrata per Appunti il 12 febbraio 2025, due giorni prima che Papa Francesco venisse ricovero al Policlinico Gemelli. Una corposa sintesi dell’intervista è inserita nel podcast La Scomunica – Episodio 3: Al nemico neppure giustizia di Stefano Feltri, Giorgio Meletti e Federica Tourn, pubblicata mercoledì 30 aprile 2025. Il Cardinal Becciu racconta le accuse di Papa Francesco nei suoi confronti e l’inizio della sua caduta, che l’ha portato a rimanere fuori dal Conclave.

Nell’intervista il Cardinal Becciu dà due precise indicazioni sulle sue sventure giudiziarie in Vaticano. La prima, che viene sviluppata in questa prima parte, è riassunta in questa frase: “A distanza di tempo e poi alla luce di quanto è emerso nel processo appare chiaro che il Papa fu raggirato. Gli furono dette, suggerite delle accuse che si sono rivelate false”. Non sappiamo quanto ci sia di diplomatico in questa affermazione, fatta quando Papa Bergoglio era ancora in sella.

La seconda indicazione, che viene sviluppata nella seconda parte dell’intervista, di cui il testo integrale è stata pubblicata su Appunti il 2 maggio 2025 [che riportiamo domani [QUI]], è che il Cardinal Becciu si mostra fiducioso di una possibile pacificazione con Papa Francesco. Nel momento in cui è stata registrata questa intervista non sapeva che in quei giorni, mentre era al Gemelli in pericolo di vita, Bergoglio avrebbe avuto modo di siglare la lettera che escludeva Becciu dal Conclave, a lui sottoposta dal Segretario di Stato Pietro Parolin tra le poche questioni di primaria importanza severamente selezionate a causa delle condizioni di salute precarie del Papa.

La versione di Becciu. Intervista esclusiva di Appunti al Cardinal Becciu – Prima parte
“Ecco cosa mi disse il Papa nel nostro colloquio”
di Giorgio Meletti e Federica Tourn
Appunti, 30 aprile 2025

Cardinale Becciu, come spiegherebbe a chi non conosce i dettagli della vicenda l’ingiustizia che ritiene di aver subito con il processo con cui, a dicembre 2023, è stato condannato a cinque anni e mezzo di carcere?
Ma io direi anzitutto che questa ingiustizia è apparsa già nel modo di fare il processo. È stato definito da tanti un “non giusto processo”. Questo non da me, certamente gli avvocati, i miei difensori si sono battuti per far notare le incongruenze varie, però poi ci sono stati anche dei cultori di diritto come il Professor Paolo Cavana e la Professoressa Elisabetta Boni, ordinari di Diritto canonico rispettivamente della Lumsa, Università Pontificia di Roma, e dell’Università di Bologna che hanno pubblicato studi giuridici sulle irregolarità del processo.
Addirittura lo stesso Cardinale George Pell, che non si può dire che fosse stato mio amico, in uno scritto lasciato pare qualche mese prima della sua morte, al vaticanista Sandro Magister che pubblicò nel suo blog, definiva il processo Becciu un non giusto processo. E si lamentava che il Vaticano da culla del diritto stesse diventando quasi un cimitero del diritto.
Il movimento dei Radicali ha preso a cuore la mia causa. I Radicali – mi spiace, non i movimenti cattolici – hanno preso a cuore l’innocenza di un cardinale. Ecco, poi se entriamo nel merito, io mi sento di dire che la vera ingiustizia del processo è stata quella di non essere riuscito, o se preferite, quella di non aver voluto riconoscere la mia innocenza.
Io lo dico e lo dirò sempre, il dramma di questo processo è proprio l’aver condannato l’innocente.
Gli stessi giudici nella loro sentenza riconoscono che io non ho rubato niente. Non ho rubato niente io, non hanno rubato niente i miei familiari perché furono accusati anche i miei familiari di aver preso soldi in qualche maniera, e che non vi sono stati dei vantaggi personali. Ci domandiamo allora perché mi hanno condannato? Ecco, me lo chiedo io e se lo chiede la gente, perché, se non vi sono stati vantaggi personali?

Quali sono i reati per cui lei è stato condannato?
Dovrebbero essere tre. Sono stato condannato per il cosiddetto peculato Vaticano, lo chiamano così, peculato Vaticano, sulla questione del palazzo di Londra, poi per peculato sui soldi spediti alla Caritas della mia diocesi e per truffa per il denaro destinato alla liberazione di una suora colombiana rapita nel Mali: addirittura io avrei truffato il Papa.
“Peculato Vaticano”: molti hanno sorriso di questa definizione. In che cosa consisterebbe? Cioè, da una parte ammettono che non ci sono stati dei vantaggi personali, dall’altra però c’è peculato perché in Vaticano si considera tale quando non si adottano i criteri del pater familias nell’amministrare i beni che vengono affidati a qualcuno responsabile di qualche dicastero.
Ecco, quindi io sarei accusato di non aver usato tutti quei criteri che un pater familias usa per amministrare i soldi della Segretaria di Stato.
Sì, è giusto, però devo ricordare che il codice di diritto canonico, voglio dire il codice ecclesiastico e quindi Vaticano al quale i giudici si appellano, prevede che il reato di peculato si configura come tale quando in chi lo compie vi è la manifesta intenzione di delinquere. Quando cioè si agisce con dolo e con la coscienza di perpetrare un crimine.
Ma io ho agito con dolo? Perché avrei dovuto? Non appare che io agito con dolo e con la consapevolezza di commettere il male. Perché fare il dolo e fare del male se non avevo vantaggi? È una teoria impossibile. Cioè sarei fuori di testa. Fare il male tanto per fare il male sarebbe un sadomasochismo. È una cosa che non sta né in cielo né in terra.
Una domanda semplice: ma è possibile che i giudici non sappiano che non ci si improvvisa delinquenti? Mi pare che il mio passato smentisca la teoria dei giudici. In tutta la mia vita mai sono stato accusato di aver compiuto alcunché di male.
Ma se poi fossi stato un malintenzionato, un disgraziato – perché è da chiamare così uno che prende gusto a fare il male per il male – forse che Giovanni Paolo II mi avrebbe nominato Nunzio Apostolico? Che Papa Benedetto mi avrebbe nominato Sostituto? Che lo stesso Papa Francesco mi avrebbe confermato per cinque anni nell’incarico di Sostituto e poi mi avrebbe elevato al cardinalato? Sì a me sembra che proprio è assurdo.
La cosa si può spiegare solo col fatto che il tribunale aveva in mente una sola cosa: condannare.
Poi non entro nel merito degli altri due reati. Ci penseranno gli avvocati a contestarli in sede di appello, speriamo il più presto possibile.
Io mi limito a dire solo questo: gli altri due reati cioè quello di avere inviato i soldi alla Diocesi di Ozieri e poi il fatto che avrei truffato il Papa per avere soldi da utilizzare per la liberazione della suora, a che poi ne avrei fatto un uso personale, per scopi personali.
Io dico questo. Che i giudici mi avrebbero dovuto condannare per un reato unico. Un reato di stupidità. Perché se io avessi voluto quei soldi io li avrei potuti prelevare dalla banca in maniera legale, perché io potevo, ero il titolare dei conti. Avrei potuto dire al direttore della banca “scusami, inviami tanto in una busta”. E io in maniera tutta legale li avrei potuti dare, in privato, alla Diocesi di Ozieri e li avrei potuti dare a chi era stata incaricata di portare avanti l’operazione “liberazione della suora” (Cecilia Marogna, ndr).
L’Ufficio amministrativo avrebbe visto l’estratto conto, avrebbero visto che era uscita una tale somma, non avrebbero osato neppure chiedermelo, non era tenuto a dar loro spiegazioni. L’avrei spiegato al Papa, quando, alla fine del semestre, come in ogni semestre, portavo il rendiconto e avrei detto: “Qui c’è questa spesa. L’abbiamo usata per questo e per quest’altro motivo”.
Quindi qui è il colmo. Io l’ho fatto alla luce del sole: sono passato per l’Ufficio amministrativo e mi condannate. È qualcosa di legale, è qualcosa che ho fatto facendolo conoscere già.

In tutta questa vicenda quali sono stati i suoi momenti di maggior sofferenza?
Sono stati vari, è difficile elencarli. Che dovrei menzionare varie persone, come chi ha complottato, chi mi ha portato in tribunale e, pur sapendo della mia innocenza, ha richiesto la condanna (il Promotore di giustizia Alessandro Diddi, ndr). E chi ha accolto tale richiesta (il Presidente del Tribunale vaticano Giuseppe Pignatone, ndr). Ecco, non vorrei soffermarmi su di essi. Però in altra occasione documenterò tutto, perché la verità nei suoi dettagli deve emergere e la storia parlare chiaramente.
Mi appello al mio essere Cristiano. E soprattutto essere prete, e come prete devo pregare perché tutte queste persone si rendano conto del male fatto e si pentano. Il danno è stato grande, non solo contro me, la mia famiglia, la stessa mia diocesi, ma contro la Chiesa tutta. E anche contro lo stesso Santo Padre. Sì, prego perché si mettano la coscienza a posto.
Noi ci crediamo che c’è un giudizio divino. E adesso si dovranno sottoporre anche loro. Io come prete non posso fare che questo e pregare per loro. Però è grave quanto da essi fatto. Hanno giocato sulla vita altrui ed è intollerabile che ciò avvenga in qualsiasi sede giudiziaria, ma ancor più qui in Vaticano, che è il centro della Cristianità e che da secoli è visto come un faro di civiltà giuridica.
Ecco, nei momenti di sofferenza più acuta, soprattutto all’inizio, quando fui sommerso a livello planetario dalla fiumana mediatica di accuse feroci e surreali, con il rischio di perdere la testa, mi furono di sostegno la fede, l’affetto dei miei familiari nonché la vicinanza dei pochi ma veri amici rimasti. E anche durante lo stesso procedimento dibattimentale mi furono di sostegno i miei avvocati che mi garantivano sulla vacuità delle accuse.

Quando il 24 settembre del 2020 il Papa le chiese la rinuncia, quali accuse le presentò? E con quali elementi, appresi da quali fonti?
Eh sì. Fu una sera speciale, forse meglio dire drammatica. Io ero andato tutto contento perché presentavo le pratiche per approvare le proposte di beatificazione, di canonizzazione di qualche santo. E invece il Papa aveva nel cuore una sofferenza, perché la espresse come sofferenza: mi doveva manifestare delle accuse.
Ricordo che egli esordì con questa premessa: “Io le devo fare delle accuse di peculato. Però io non l’accuso per i soldi inviati per la liberazione della suora, perché l’abbiamo concordata insieme. Non l’accuso neppure per il palazzo di Londra perché lei, nei pasticci che sono stati commessi, non c’entra niente. Io l’accuso di peculato perché ha inviato centomila euro alla Caritas di Ozieri. E su questi centomila euro i magistrati mi hanno detto che, su informazione dei finanzieri italiani, è stata vista la manina, mi disse proprio testualmente la manina, di suo fratello Tonino. Prelevare soldi e metterli sul suo conto. Mi aggiunse pure che, per un birrificio che mio fratello Mario stava per fare qui a Roma, avrei fatto pressione sulla Caritas di Roma.
Io rimasi scioccato. E dissi: “Ma Santo Padre, mi sembrano accuse senza fondamento. Mi sembra strano che mio fratello abbia preso soldi, e poi io su questo alla Caritas non ho mai detto niente”. E lui insisteva.
A questo punto dissi: “Santo Padre, se lei non ha più fiducia in me, io mi dimetto da Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi”. E lui di rimando: “Sì, mi spiace, devo accettarle. Anzi le chiedo di rinunciare anche a tutte le prerogative cardinalizie”.
E io: “Ma Santo Padre, non capisco. Io ho la delega per inviare soldi. In tutti questi sette anni quanti ne ho inviati?”.
Ero, è chiaro, scioccato. Non avevo più parole da dire, presi congedo e me ne andai con la morte nel cuore. Arrivato qui in casa telefonai subito a mio fratello e al vescovo (di Ozieri, ndr). “Che è successo con i centomila euro? Cosa ne avete fatto?”. La risposta dell’uno e dell’altro fu: “Perché?”. Ancora non avevano ricevuto la notizia. “I centomila sono sempre lì, fermi. Non li abbiamo mai toccati”. “Non è possibile! Allora richiamo subito il Papa”, mi sono detto.
Ma in quel momento mi arriva la notizia che era stato già pubblicato il comunicato con le mie dimissioni. Ecco. A distanza di tempo e poi alla luce di quanto è emerso nel processo appare chiaro che il Papa fu raggirato. Gli furono dette, suggerite delle accuse che si sono rivelate false. I centomila euro inviati ad Ozieri sono sempre lì, non sono stati toccati.
Gli stessi giudici nella sentenza riconoscono che nessuno si è appropriato di quei soldi, e che la responsabilità del cardinale è nell’avere infranto un canone del diritto canonico che prevede che non si debbano alienare beni o dare in locazione beni a parenti al di sotto del quarto grado. Questo è quanto dice quel canone. Che però, detto tra noi: che cosa c’entra alienare beni e dare un contributo di soldi?
Perché poi il contributo dei soldi non era destinato alla persona fisica ma era destinato all’istituzione. E quell’istituzione avrebbe avuto il tempo di controllare se andavano alla persona o no.
Comunque, quello che conta in questo momento è che le accuse fatte a me dal Papa non erano vere.
Il Papa è stato raggirato. Questa è la cosa che più mi fa soffrire e che farà soffrire il Papa il giorno che si renderà conto che proprio è stato raggirato.

Ci chiarisca un punto. Lei ha detto che il Papa le riconosce che non ha niente da addebitarle sulla questione della suora rapita e sulla questione di Londra perché lei ha agito d’accordo con lui o addirittura su sua indicazione. Però nel processo lei non è riuscito a farsi riconoscere questo dal Papa. Cioè durante il processo c’è questa vicenda in cui lei chiede al Papa una lettera che confermi queste dichiarazioni liberatorie e il Papa si rifiuta.

Il Papa si rifiuta però nella telefonata dice che sì, è vero, è vero, è vero e poi nello stesso tempo mi dice “Ecco, mi scriva come devo inviare questa dichiarazione”, per due volte. E io glielo scrivo. È un gergo molto giuridico con cui mi risponde il Papa. E nella stessa telefonata gli dico: “Ma Santo Padre, quella lettera non l’ha fatta lei?”. E lui: “No, no, no. Mi sono rivolto a un consulente giuridico. Però me la scriva di nuovo questa dichiarazione. Come deve essere la dichiarazione?”.
E di nuovo [mi scrive] una lettera, una lettera severa. Anzi chiedendosi come mai insisto. Ma me l’ha chiesto lui!
Quindi, poi, anzitutto nel procedimento non è mai apparso che mi accusassero di truffa, casomai di peculato in concorso con la signora incaricata di gestire questi soldi. E i giudici che hanno cambiato la natura del reato.
Per due anni noi ci siamo difesi contro un certo tipo di reato. Di punto in bianco, di notte, i giudici cambiano la natura del reato dicendo che io ho truffato il Papa con la scusa, col pretesto di aiutare la liberazione della suora, ma l’intento era solo quello di darlo in appoggio purtroppo, purtroppo si lasciano andare con leggerezza ma anche con cattiveria, che [i soldi] li avrei dati alla mia amica.
Io truffare il Papa? Ma vi rendete conto? Io al Papa glielo dissi: “Ma Santo Padre, in sette anni in cui ho collaborato con lei, ma si è accorto che ero io un trafficone? Che ero un truffatore? Che facevo affari alle sue spalle?”. Il Papa mi ha risposto: “Ma no, ma no! Io ho parlato sempre bene di lei e continuo a parlare bene di lei”. Ma che senso ha? L’ho già detto. Se io volevo quei soldi li potevo prendere, darli senza che nessuno lo sapesse.

Scusi, quindi lei chiede la lettera al Papa, e il Papa sostanzialmente si sottrae. Quindi lei ritiene che anche in quel momento il Papa sia stato raggirato dai suoi collaboratori e consulenti legali?
Beh, io vedo da una parte il Papa che mi dice “Faccio, faccio, scriverò, mi dica come deve essere questa dichiarazione”. Ammette pure dopo la prima lettera che a scriverla non è stato lui. “Santo Padre, io conosco il suo stile”, gli avevo detto. E lui: “Sì sì, è chiaro, però adesso lo darò a un altro consultore”. Quindi ognuno tragga le sue conclusioni.

Rispetto all’atteggiamento del Papa nei suoi confronti, che spiegazione si è data della decisione di farla processare dal tribunale statale anziché dal tribunale ecclesiastico come lei rivendica che fosse la norma e il suo diritto?
Sì, era questa la norma. Era questa la norma e adesso non so a quando risale però è la norma. Che cioè arcivescovi e cardinali qui in Curia devono essere sottoposti alla Segnatura Apostolica, al tribunale messo su della Segnatura Apostolica, composta appunto dal Prefetto della Segnatura Apostolica più altri tre, quattro cardinali che collaborano con lui. Quindi vi è stato questo cambiamento. Certo, è stato un cambiamento in corso d’opera.
Ora, le leggi non mi pare che si cambino in corso d’opera. E poi ad personam, perché alla fine si è rivelato che era stata fatta per me.
Ecco, il Papa è un potere assoluto e io non posso chiamarlo un atto illegittimo, però ci sono queste riserve.
E poi io mi sono ritrovato, questo sì mi ha un po’ scompensato. Cioè mi è stata cambiata l’identità della mia persona. Perché io per cinquant’anni sono stato un prete, considerato e qualificato servitore della Chiesa. Di punto in bianco mi ritrovo un funzionario dello Stato.
Quando fui chiamato nella mia diocesi, giovane prete, e fui invitato a venire all’Accademia Pontificia, chiesero al Vescovo di inviarmi come alunno dell’Accademia Pontificia, che prepara i sacerdoti che devono entrare al servizio diplomatico. Mi fu presentato e l’ho sempre visto come un servizio alla Chiesa, alla Santa Sede, non allo Stato.
Se mi avessero detto che era un servizio allo Stato del Vaticano, non quarant’anni come li ho dati alla Chiesa, alla Santa Sede, ma manco un minuto avrei dato.
Non rispondeva alla mia vocazione sacerdotale finire ad essere funzionario di Stato. Io volevo servire la Chiesa perché lavorare, vivere nelle nunziature apostoliche nei vari Paesi del mondo era servire la Chiesa. Era un lavoro ecclesiale che mi dava gioia ed entusiasmo. Quindi è stato un momento di sconcerto vedermi cambiata la regola di punto in bianco.
Sono cose molto complesse da comprendere per chi non conosce bene la distinzione tra la Chiesa e lo Stato Vaticano. È una questione sottile.
Ma è essenziale. Il Vaticano è composto dalla Santa Sede e dallo Stato del Vaticano. Lo Stato del Vaticano è uno stato organizzato, nello Stato del Vaticano Governatorato ci sono più laici che preti. Ma la vita sarebbe finita qui dentro questo perimetro del Vaticano, se si viene a lavorare per il Governatorato. Il Governatorato è, diciamo, l’organo centrale dello Stato del Vaticano.
La Santa Sede invece è il soggetto giuridico internazionale che rappresenta tutti i Cattolici del mondo. Le Nunziature, le cosiddette ambasciate del Vaticano non sono chiamate ambasciate del Vaticano ma ambasciate della Santa Sede.
Se va in giro per il mondo e trova la Apostolic Nunciature of Holy See o la Nonciature Apostolique du Saint-Siège. Il Papa qui è capo dello Stato ma è soprattutto pastore universale e responsabile della Santa Sede, e per Santa Sede intendiamo tutti i dicasteri, tutti gli organismi che collaborano con il Papa per il suo esercizio ministeriale universale.
Quindi quando ti chiamano per servire nelle Nunziature vieni chiamato per fare un servizio alla Chiesa, tant’è che nelle Nunziature il più grande nostro lavoro è quello di lavorare per le Chiese locali.

Indice – Caso 60SA [QUI]

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