In visto del Conclave che ha il dovere di eleggere un successore di Pietro, Vicario di Cristo

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 01.05.2025 – Jan van Elzen] – Riportiamo di seguito la versione integrale pubblicata da Stilum Curiae [QUI] dell’intervista Mai come oggi nella Chiesa serve una autorità morale forte concessa da Ettore Gotti Tedeschi a Thomas Trenchi e pubblicata in versione ridotta dal quotidiano Libertà di Piacenza [QUI]. Inoltre, segue l’articolo Conclave. Tradita, divisa, umiliata: la Chiesa chiede giustizia pubblicato oggi su Silere non possum.

Mai come oggi nella Chiesa serve un’autorità morale forte
Intervista a Ettore Gotti Tedeschi
Ettore Gotti Tedeschi, lei ha ricoperto l’incarico di presidente dell’Istituto per le Opere di Religione, il cosiddetto IOR, la banca della Santa Sede. Insomma, di Vaticano se ne intende. Qual è ora, secondo lei, il futuro della Chiesa dopo la morte di Papa Francesco?
«La mia esperienza comincia quasi 15 anni fa anni fa (nel 2009 fino al 2012), in un momento in cui il Papa era Benedetto XVI, con cui ebbi il privilegio “unico” di collaborare. I tempi sono cambiati e sono stato da allora troppo lontano dalle “sacre mura“. Pertanto, tornando alla sua domanda: non lo so. Io credo che il futuro della Chiesa dipenda dal risultato del Conclave, da cui avremo molte spiegazioni illuminanti su un punto fondamentale, che tutte le persone interessate si pongono: quale Chiesa sarà quella post Conclave?. Che si rifaccia alle verità dottrinali? O che evolva molto di più con il mondo, grazie a un concetto di misericordia che integra o sostituisce la verità? Il Conclave ci spiegherà quale Chiesa i cardinali vogliono. La decisione sul successore di Papa Francesco dovrebbe aiutare a capirlo. Io credo che mai, come oggi, il mondo abbia bisogno di una Autorità Morale forte».
E secondo lei come deve essere questa Chiesa?
«Per me il problema è più ampio. Mi sembrerebbe limitativo dire semplicemente cosa vorrei che la Chiesa facesse o in che modo. In gioco, in questo momento, non c’è solo il futuro della Chiesa, ma quello dell’intera civiltà di origini cristiane, o meglio occidentale, frutto di un insegnamento di valori e principi vissuti negli ultimi millenni. La Chiesa rappresenta l’autorità morale più ascoltata al mondo, anche dalle altre religioni. In più, c’è un problema…».
Quale?
«Viviamo in un mondo cambiato drammaticamente negli ultimi decenni. Solo trent’anni fa l’Occidente controllava il 90 per cento del Pil mondiale; oggi meno della metà. Ciò significa che altre “culture e civiltà” sono più influenti. Poiché il cristianesimo ha contribuito fortemente a fondare l’attuale civiltà Occidentale, dobbiamo riflettere su quale sarà il futuro della civiltà Occidentale e quello della intera umanità in funzione di quello che la Chiesa vorrà essere lei stessa per influenzare moralmente questo futuro. Tenendo conto di queste trasformazioni geopolitiche, tecniche, economiche, sociali, culturali. Pensi solo che i cosiddetti Brics (paesi emergenti) valgono una percentuale del Pil mondiale vicino al 40% e crescono a ritmi del 5-7% all’anno, mentre noi siamo fermi. In questo mondo in grande trasformazione, cosa può e deve fare l’autorità morale? Il risultato del Conclave lo spiegherà».
Qualcuno dice che il futuro della Chiesa è in Asia e si guarda a un Papa di origine filippina e con parenti cinesi, Luis Antonio Tagle. Cosa ne pensa?
«Trent’anni fa la Cina pesava per circa il 2 per cento circa del Pil mondiale, era un Paese di contadini. Oggi pesa il 24 per cento, esattamente come gli Stati Uniti. Ricordo una discussione con Benedetto XVI su questo punto, mi chiese, rispetto alla delocalizzazione delle produzioni dall’Occidente all’Oriente ed alla conseguente crescita economica della Cina: “Quando saranno forti e ricchi, diffonderanno anche la loro cultura, oltre ai loro prodotti? Con che risultato per l’occidente?”. Badi bene: siamo noi ad aver creato il potere della Cina. Ratzinger ne aveva intuito le conseguenze. È un punto fondamentale. Ha ragione chi dice di guardare a quel continente. Presto l’Asia esporterà sempre più anche la propria cultura e i propri valori. Allora sì, è certo necessario pensare all’Asia e aiutare quei Paesi, soprattutto la Cina, a comprendere i valori dell’Occidente. Cosa che già sta avvenendo visto che da trent’anni lavorano soprattutto per fornire di bene l’Occidente. Ma oggi la Cina non è solo produttore a basso costo, produce anche qualità ed innovazione. Credo che il Cardinal Parolin sia una delle persone più esperte su questi temi. Anni fa, quando ero Presidente dello IOR, un Ministro degli Esteri mi chiese di organizzare una cena riservatissima con altissimi esponenti della Santa Sede. A un certo punto disse: “Ma voi sapete di avere un Ministro Diplomatico, Pietro Parolin, che noi consideriamo il diplomatico con maggior capacità ed esperienza nei rapporti con Asia e Cina?”».
Torniamo alla domanda che lei stesso poneva: cosa deve fare l’autorità morale? E quindi che Chiesa deve essere?
«In questi tempi di relativismo parlare di morale suscita reazioni negative. La domanda diventa: quale morale? Quale verità? Perciò la Chiesa deve proporsi come autorità morale, ma razionalmente, affrontando le “cause” dei problemi, anziché limitarsi solo proporre di agire solo sugli effetti. E dimostrando di avere una visione superiore e soluzioni attuabili per il bene comune».
Posso chiederle un esempio concreto?
«Penso all’ambientalismo: la Chiesa deve prendere posizione sui problemi ambientali e sulle loro cause vere. Ha mai pensato che il problema ambientale nasce proprio grazie al crollo delle nascite in Occidente ed alle soluzioni tentate per compensare l’impatto sul PIL di questo crollo, che son state iperconsumismo in Occidente e delocalizzazione produzioni “low cost” in Asia, per sostenere il potere d’acquisto consumistico sempre in Occidente? Altro esempio si potrebbe riferire alla famiglia, considerata nemica del pensiero-cultura che deve essere omogeneizzato, quando invece la famiglia da educazione soggettiva ai figli, considerata “divisiva”. Altro esempio ancora: non si può parlare di migranti senza capire e spiegare le vere cause delle migrazioni e le soluzioni veramente più opportune. Quindi la Chiesa, dopo aver stabilito che “tipo di Chiesa“ vuole essere — tenendo conto che è in gioco la civiltà stessa — deve cominciare studiando e affrontando le cause dei problemi, non solo gli effetti».
Quali sono le priorità, secondo lei?
«Le dico la mia opinione personale un po’ provocatoria: la priorità per capire il ruolo della Chiesa nel XXI secolo è tornare a studiare cosa ha scritto Papa Benedetto XVI. Lì c’è tutto ciò che serve per affrontare questi tempi di grande trasformazione. Le faccio un esempio…».
Prego.
«In Charitas in veritate, che è l’Enciclica della globalizzazione, scritta da Papa Benedetto XVI, a cui ho contribuito nella parte economica, c’è questa Introduzione che è fondamentale: “Come può l’uomo impregnato da cultura nichilista, senza tanti valori di riferimento, saper gestire strumenti così sofisticati? È possibile che essi gli sfuggano di mano e prendano autonomia morale”. Può uno strumento avere autonomia morale? Nella Conclusione invece Benedetto XVI spiega che in momenti di crisi così profonda non sono gli strumenti a dover essere cambiati, ma è il cuore dell’uomo. È fondamentale. E lascia una domanda aperta: chi deve cambiare il cuore dell’uomo?».
Chi?
«Lo spiega nella parte da Lui scritta in Lumen Fidei: «La Chiesa, attraverso i sacramenti, il magistero e la preghiera. Più che mai la Chiesa avrà un ruolo importantissimo sul modello di civiltà, non solo sulla sua sopravvivenza, e questo modello di civiltà si fonda sul “valori non negoziabili”. Gli eminentissimi Cardinali del Conclave son certo che sapranno tenerne conto. Altrimenti sarà la fine della civiltà cristiana e della intera civiltà occidentale».
Le manca, personalmente, Papa Benedetto XVI?
«Le rispondo con una premessa, ho avuto il privilegio di potermi occupare di tante cose, non solo dello IOR: anche delle finanze del Governatorato e della parte economica dell’Enciclica. E da sempre, adotto il principio del segreto pontificio, che vincola la mia risposta. Il mio rapporto con il Papa e con i vertici della Chiesa è riservato. Posso solo dirle che finché sono stato in Vaticano ho avuto un rapporto particolare con lui. Ho cercato di identificarmi molto con il suo pensiero. Stare mezz’ora con Benedetto XVI equivaleva a una lezione postuniversitaria di vent’anni. Solo ascoltare le sue domande, per preparare le risposte, ha cambiato il mio pensiero e la mia vita, anche prima che diventasse Papa, quando era il Cardinale Ratzinger. Era un uomo straordinario, con una visione strategica del mondo e delle sue trasformazioni».
Oggi, come osservatore esterno, quali riforme ritiene necessarie nella gestione delle finanze vaticane?
«Ho letto sui giornali che negli ultimi dodici anni sono crollati gli ingressi dell’8×1000 e dell’Obolo di San Pietro. Non so altro. La mia estromissione dallo IOR arrivò perché difesi con il Presidente dell’AIF Card. Attilio Nicora, la legge antiriciclaggio e le procedure di controllo che il Papa ci aveva chiesto di adottare. Benedetto XVI mi ripeteva che dovevamo essere esemplari, e io cercai di esserlo nei miei compiti».
Il crollo dell’8×1000 è un segnale da non ignorare. I soldi sono utili o no alla Chiesa? Il Papa deve avere una banca?
«Rispondere sì sarebbe troppo facile. È una domanda e risposta scontata. Già nel III e IV secolo i discepoli di Cristo si ponevano il problema se fosse lecito accettare e conservare beni materiali. Si rivolsero al filosofo Clemente Alessandrino. La sua risposta vale ancora oggi: i soldi servono, ma importante è capire come questi sono stati guadagnati e a cosa servono. I soldi nella Chiesa devono servire anzitutto per l’evangelizzazione. Per quella ragione i fedeli li offrono alla Chiesa. Se il Papa possa avere o no una banca meriterebbe un excursus storico interessante. Papa Clemente VIII nel 1601 fu costretto a farsi una banca perché erano fallite le banche “cattoliche“ che servivano la Chiesa. La banca che il Papa si fece si chiamò Santo Spirito, quella che diventò con più fusioni Banca di Roma, poi Capitalia e ora confluita in Unicredit».
Si parla del Segretario di Stato Pietro Parolin, definito un uomo di consenso, difficilmente etichettabile tra progressisti e conservatori, come possibile successore di Papa Francesco. È d’accordo?
«Non do valutazioni, e non lo faccio nemmeno sugli altri nomi che circolano. Ormai non li conosco più. Neppure i Cardinali che si preparano al Conclave si conoscono tra loro. Come potranno intendersi in pochi giorni? I Conclavi sono fatti di tante votazioni. Ci sono molte visioni diverse da conciliare. Temo che sarà un Conclave alquanto lungo. Ricordo che il Conclave più lungo della storia fu quello che portò all’elezione di un Papa piacentino, Gregorio X (Tebaldo Visconti) e durò ben tre anni, dal 1268 al 1271. Una volta a Roma: mi chiesero come Piacenza valorizzasse la figura di Gregorio X».
E lei, che a Piacenza è nato e tuttora vive, cosa rispose?
«Se valorizzare non significa solo costruire una statua, direi che abbiamo fatto poco. Gregorio X fu un Papa importante, eletto in un momento difficilissimo. Non ho mai sentito una commemorazione storica per lui a Piacenza, dove abito e mantengo rapporti, Ma forse son stato distratto…».
Vorrei aggiungere una domanda, se me lo permette. Ho letto che lei ha scritto anni fa un libro sulla Meritocrazia. Mi spiega perché?
«Negli ultimi tempi, in gran parte del mondo cattolico, si ritiene che “siamo già tutti salvi solo per i meriti di Cristo”. Conseguentemente pensare di poter “meritarsi” la salvezza è sintomo di “orgoglio“. Che ne penso? Penso semplicemente che se si scopre che fare il male rende più che fare il bene, e siamo già salvi, perché dovremmo fare il bene? Io credo invece che Dio sia anche Meritocratico oltreché Misericordioso…».
Ha premesso, prima dell’intervista, che non vuole esprimersi sul percorso impresso da Papa Francesco nella Chiesa. È sicuro?
«Non voglio dire niente».
Domanda secca. Chi sarà il prossimo Papa?
«Sarei stupido se rispondessi. E non le dico nemmeno chi preferirei».

Conclave. Tradita, divisa, umiliata: la Chiesa chiede giustizia
di d.L.A.
Silere non possum, 1° maggio 2025
Mentre il Conclave si avvicina, cresce l’attesa e, insieme ad essa, il peso delle domande sul futuro della Chiesa Cattolica. Quale Papa verrà scelto dai cardinali? Quali priorità dovrà affrontare? In un soleggiato pomeriggio di questa sede vacante, mentre nella Basilica Vaticana si celebrano i Novendiali, ci troviamo con un cardinale all’interno di una residenza religiosa, dove il porporato soggiorna in attesa di trasferirsi a Santa Marta. La conversazione si snoda tra ricordi e riflessioni: si parla di quanto accaduto negli ultimi dodici anni, di ciò che sta emergendo nelle Congregazioni generali, di speranze e timori. A un certo punto, il cardinale apre un cassetto e ne estrae un documento: circolato anonimamente nel 2022 tra i membri del Collegio cardinalizio, tracciava un quadro drammatico dello stato della Chiesa sotto il pontificato di Francesco. Un testo lucido e impietoso, che – pur nella sua natura riservata – ha guadagnato attenzione per la precisione delle critiche e la chiarezza delle priorità indicate per il futuro.
Ripristinare l’unità e la chiarezza dottrinale
La prima priorità indicata dal memorandum è forse anche la più urgente: il ripristino dell’unità della Chiesa attraverso la chiarezza nella dottrina della fede e della morale. Negli ultimi anni, l’assenza di interventi correttivi da parte del papato davanti a proposte eterodosse emerse in vari contesti – dal Sinodo tedesco al Cardinale Hollerich – ha generato confusione, rafforzando l’impressione che Roma non sia più guida, ma spettatrice. L’anonimo autore ha scritto: “Roma loquitur, confusio augetur”, denunciando la perdita della funzione del Papa come garante dell’ortodossia.
Il prossimo Papa, auspica il documento, dovrà rimettere al centro Cristo e l’insegnamento apostolico, riaffermando con coraggio verità scomode per il mondo ma essenziali per la Chiesa: l’indissolubilità del matrimonio, la verità sull’uomo e la sessualità, la centralità della Messa e del sacramento della Penitenza, la necessità della missione.
Risanare il governo e restaurare il diritto
Il memorandum accusa il pontificato di Francesco di aver ridotto lo Stato della Città del Vaticano a un’area di instabilità legale e autoritarismo procedurale. La giustizia – sostiene – è stata manipolata: processi condotti senza garanzie, leggi cambiate ad hoc, mancanza di trasparenza, licenziamenti arbitrari. Il nuovo Pontefice dovrà urgentemente ristabilire il primato del diritto nella Chiesa, partendo dalla Curia Romana e dal rispetto dei diritti fondamentali di ogni persona. La riforma della giustizia vaticana, così come quella delle finanze, non potrà prescindere da criteri di verità, equità e legalità.
Ricostruire credibilità morale e finanziaria della Santa Sede
I continui scandali finanziari – da Sloane Avenue alla questione del Cardinale Becciu – hanno compromesso gravemente la fiducia nella gestione vaticana. Il nuovo Papa dovrà completare la riforma finanziaria avviata e poi interrotta da Francesco, assicurando competenza, trasparenza e indipendenza nei processi decisionali. Ma il memorandum ammonisce: la vera emergenza non è il bilancio, ma la fede. Il pericolo maggiore per la Chiesa non è il deficit economico, ma quello spirituale. Le riforme finanziarie sono importanti, ma non devono diventare il fine della Chiesa.
Fermare la deriva sinodale e preservare la cattolicità
Il rischio più grande indicato nel documento è che la Chiesa universale si frammenti in una sorta di federazione di chiese locali, ognuna con una propria dottrina. Il Sinodo universale, secondo questo memorandum, ha perso la rotta, trasformandosi in un processo indefinito, costoso e dispersivo. Il nuovo Papa dovrà ridefinire i confini del processo sinodale, evitando che esso diventi una piattaforma per il cambiamento dottrinale, e riaffermare il principio “unitas in necessariis”: unità nelle cose essenziali.
Reintegrare i fedeli esclusi: todos, todos, todos
Una delle accuse più dure al pontificato di Francesco è la disparità di trattamento: tolleranza verso derive teologiche, severità verso i fedeli legati alla Tradizione. I monasteri contemplativi e i sacerdoti tridentini sono stati perseguitati senza causa. Peraltro, molti superiori generali hanno cavalcato l’onda dello stupro del diritto per poter mettere in atto abusi di autorità e di coscienza nei confronti di monaci, monache e monasteri che hanno preso di mira per motivi personali. L’autonomia dei monasteri sui iuris è sparita. Il nuovo Papa dovrà sanare queste ferite, promuovere la riconciliazione liturgica e restituire dignità ai carismi che sono stati emarginati. È anche necessario ricollegarsi con il giovane clero e con i seminaristi, spesso delusi e disorientati.
Ridare voce alla Chiesa nella scena internazionale
Negli ultimi anni, la voce morale della Santa Sede si è indebolita. I silenzi su questioni di persecuzione religiosa (Cina, Ucraina, Venezuela) e la mancanza di sostegno pubblico a intere comunità cattoliche hanno ridotto il peso del Vaticano nella geopolitica mondiale. Il prossimo Papa dovrà rilanciare la diplomazia vaticana come voce di verità e giustizia, non come eco del politicamente corretto.
Riformare i gesuiti, ripensare il ruolo degli ordini
Il memorandum conclude con una nota preoccupata sullo stato della Compagnia di Gesù, ridotto numericamente e, secondo l’autore, anche moralmente. Una visita apostolica – suggerisce – potrebbe essere necessaria. In un momento in cui molti ordini religiosi sono in declino, è urgente ridefinire il ruolo della vita consacrata nella Chiesa, distinguendo ciò che è essenziale da ciò che è divenuto sterile.
Verso il Conclave
Il prossimo Papa erediterà una Chiesa affaticata, ferita, divisa. Ma è proprio nei momenti di crisi che la Provvidenza suscita figure capaci di guidare il popolo di Dio verso la verità. Il prossimo Pontefice dovrà essere, prima di tutto, un uomo di fede profonda, saldo nella dottrina, libero dalle logiche mondane, capace di restaurare la speranza attraverso la chiarezza e la carità. “Il memorandum, spiega questo porporato, deve guidare le nostre decisioni perché questo testo iniziò a circolare in tempi non sospetti e metteva già in evidenza un ‘sentire comune’ fra i membri del Sacro Collegio e non”.
A differenza di alcuni interventi di circostanza, che in queste ore si ascoltano anche nell’Aula nuova del Sinodo, questo testo ha posto sul tavolo questioni reali e profonde. Ora, più che mai, la Chiesa ha bisogno di un pastore, non di un manager; di un testimone, non di un promoter pubblicitario; di un successore di Pietro, non di un portavoce del pensiero dei media.